LIBERTÀ

LIBERTÀ

Giannino Piana

 

1. Tra negazione e totalizzazione

2. Per una definizione della libertà concreta

2.1. Il fondamento della libertà

2.2. Libertà e condizionamenti

2.3. Libertà fondamentale e libertà particolare

3. La libertà nella prospettiva cristiana

3.1. Il dato biblico

3.1.1. Libertà da

3.1.2. Libertà per

3.2. La riflessione teologica

3.2.1. Libertà e grazia

3.2.2. Libertà e carità

4. Libertà-liberazione: un processo aperto

4.1. Liberazione e storia

4.2. Liberazione come sviluppo integrale

4.3. Liberazione e impegno politico

5. Per un'educazione al senso della libertà

 

1. Tra negazione e totalizzazione

La definizione del concetto di libertà incontra oggi una serie di difficoltà collegabili tanto alle dinamiche del contesto socio-culturale quanto agli sviluppi della ricerca antropologica e filosofica. La società in cui viviamo sembra caratterizzata, al riguardo, da pesanti contraddizioni. Mentre, da un lato, si afferma sul piano formale la massima possibilità di esercizio della libertà, vengono, dall’altro, imponendosi forme sempre più accentuate e preoccupanti di condizionamento, che limitano drasticamente le possibilità di espressione dei singoli e dei gruppi. Alla centralità assunta dalla tematica dei diritti della persona e dei popoli si oppone infatti il processo di massificazione sociale e di omologazione culturale in atto — processo acutizzato dall’introduzione delle nuove tecnologie informatizzate — che, oltre ad appiattire l’identità soggettiva, provoca la scomparsa delle tradizioni locali, e perciò dell’identità delle diverse culture. D’altra parte, il prevalere della mentalità consumistica finisce per asservire l’uomo a logiche di pura fruizione dei bisogni, spesso artificiosamente indotti, impedendogli di esercitare il discernimento critico, e ridimensionando pertanto lo spazio della libertà personale.

L’attuale situazione di complessità sociale accresce ulteriormente questa condizione di ambivalenza. Il moltiplicarsi delle appartenenze favorisce senza dubbio una più ampia possibilità di scelta, ma crea, al tempo stesso, gravi difficoltà sul terreno dell’identificazione soggettiva. L’attenuarsi della conflittualità sociale libera l’uomo dalla pressione condizionante delle ideologie, ma rischia insieme di proiettarlo verso forme di ripiegamento su sé stesso, che lo rendono schiavo dei propri interessi individuali o di quelli della propria corporazione di appartenenza. La dialettica tra «pubblico» e «privato» alimenta nuove forme di tensione, tanto a livello di coscienza personale che a livello istituzionale. La spinta verso la privatizzazione della vita si scontra infatti con l’emergere di una sempre maggiore pubblicizzazione dei modelli comportamentali. Gli stessi «mondi vitali», all’interno dei quali hanno luogo i processi fondamentali di personalizzazione e di socializzazione che concorrono alla produzione del senso, soffrono di uno stato di grave lacerazione. Alla perdita delle funzioni sociali esercitate in passato si accompagna infatti l’incapacità di elaborare in proprio valori autonomi per la forte pressione della società circostante. La libertà appare così, sul terreno del vissuto concreto, affermata e negata, perché alla sua forte proclamazione in linea di principio non corrisponde di fatto la creazione di condizioni culturali e strutturali che consentano un effettivo dispiegarsi della responsabilità di tutti e di ciascuno.

Ma le difficoltà maggiori in relazione a una corretta definizione della libertà derivano soprattutto dalle interpretazioni che di essa vengono date da parte della ricerca scientifica e filosofica. Le scienze umane hanno avuto l’indubbio merito di mettere a fuoco i condizionamenti della libertà dell’uomo. Il peso dei meccanismi dell’istinto e delle dinamiche psicologiche, che sono alla base dell’evoluzione della persona, nonché delle strutture sociali e della «cultura» — intesa, in senso antropologico, come sistema di valori e di norme comportamentali — non può essere certo misconosciuto. Vi è tuttavia il rischio che tale peso venga sopravvalutato fino a pervenire alla totale negazione della libertà. L’uomo è in tal modo ridotto alla risultante di un insieme di epifenomeni, che interpretano in maniera del tutto deterministica il suo agire. Lo spazio della libertà, lungi dall’essere giustamente ridimensionato, è, in questo caso, negato, e la responsabilità umana destituita di senso.

A questa prospettiva sembra reagire una corrente di pensiero che ha le sue radici nella fenomenologia e nell’esistenzialismo e che rivendica, in termini assoluti, la libertà umana. L’attenzione alla singolarità dell’uomo, perciò alla sua differenza qualitativa rispetto al mondo subumano, conduce a enfatizzare la libertà, fino a farla diventare l’unica prerogativa del suo essere. L’uomo non possiede soltanto la libertà, ma è libertà, nel senso che essa è la struttura ontologica originaria che lo costituisce. È come dire che la libertà non è nell’uomo ad altro finalizzata che a sé stessa; che essa tende verso una illimitata espressione di sé; che è per definizione libertà incondizionata, perciò assoluta. Questa concezione della libertà si scontra, d’altra parte, con i limiti inevitabili dell’esperienza umana nel mondo e, paradossalmente, ha come risultato la sua stessa negazione. Laddove infatti la libertà non si apre a qualcosa, non si orienta verso un obiettivo, finisce per chiudersi in sé stessa, per diventare impotente e, in definitiva, per autonegarsi. Riducendosi a pura istanza individuale non rapportata ad altre libertà e soprattutto non finalizzata a un quadro di valori, essa si trasforma in dura necessità. L’esito al quale conduce la totalizzazione della libertà è dunque il nichilismo, la trasformazione della vita in un’inutile passione, che ha come sbocco il nulla della morte.

La riflessione sulla libertà deve pertanto, ai nostri giorni, fare correttamente i conti con i gravi problemi posti tanto dalla concreta esperienza storica quanto dalla riflessione culturale. È come dire che si tratta di tener conto realisticamente dello spessore dei condizionamenti, che caratterizzano l’essere-nel-mondo dell’uomo, ma soprattutto della complessa rete di rapporti entro i quali si sviluppa la vita di ciascuno. E, ancor più radicalmente, si tratta di far uscire la libertà dal vuoto formalismo in cui finisce per chiudersi quando si riduce ad essa il senso della vita umana, aprendola alla ricchezza fecondante dei valori, attraverso i quali è possibile dare sviluppo autentico all’esistenza dell’uomo nel mondo.

 

2. Per una definizione della libertà concreta

L’analisi della libertà umana deve essere condotta a livelli diversi e tra loro complementari. È infatti, in primo luogo, necessario interrogarsi sul fondamento della libertà, attingendo alle stesse radici ontologiche della persona. Ma non è meno necessario far luce sui condizionamenti psico-sociologici che segnano l’esperienza quotidiana dell’uomo e che delimitano lo spazio di esercizio della libertà. Solo dal confronto tra questi due livelli è infatti possibile pervenire a una definizione concreta della libertà, che consenta l’accertamento della responsabilità dell’uomo nel quadro del proprio comportamento etico.

 

2.1. Il fondamento della libertà

Il pensiero filosofico occidentale ha strettamente collegato la libertà dell’uomo alla facoltà della volontà. Questa facoltà si presenta come una tendenza che ha per oggetto la realizzazione dell’uomo nella linea della sua essenza. Si tratta, in altri termini, di una spinta interiore volta a dare pieno compimento all’essere dell’uomo, in conformità con la propria struttura originaria. È evidente che alla radice di tale tendenza opera l’intelligenza dell’uomo, mediante la quale egli conosce ciò verso cui deve tendere per essere sempre più sé stesso. Il bene conosciuto diviene in tal modo oggetto dell’appetito umano, dando sviluppo a un processo in cui si intersecano tra loro attività di conoscenza e di volizione.

L’analisi dei meccanismi propri delle facoltà superiori consente, inoltre, di cogliere la loro connaturale apertura trascendentale al bene assoluto. Intelligenza e volontà sono di per sé orientate al bene totale, così da essere necessitate a perseguirlo nel caso in cui l’uomo ne potesse fare immediata esperienza. Ma il limite dell’attuale condizione umana è dato dal fatto che l’uomo ha a disposizione, nel presente contesto storico, soltanto beni particolari, incapaci di soddisfare da soli e pienamente la dinamica del desiderio umano. Nasce di qui la possibilità della libertà, intesa come libero arbitrio o libertà di scelta. La sproporzione esistente tra il bene assoluto, che costituisce l’oggetto trascendentale della volontà — oggetto al quale essa non può sottrarsi — e i beni particolari, che l’uomo concretamente esperisce, è il motivo che giustifica la libera decisione umana. Non essendo determinato dai beni particolari, l’uomo ha infatti la possibilità di autodeterminarsi, mediante un processo per il quale le ragioni presenti nei singoli beni diventano la ragione della propria scelta. Il libero arbitrio implica pertanto uno stato di indeterminazione, che non coincide tuttavia con l’indifferenza, in quanto i singoli beni esercitano (e non possono non esercitare) una loro precisa attrazione sulla volontà dell’uomo. È come dire che la scelta compiuta dall’uomo è la conseguenza di un atto di «giudizio voluto» o di «volere giudicato». L’intelligenza offre all’uomo le motivazioni per orientarsi nella direzione di un determinato bene, ma, essendo di loro natura motivazioni contingenti, diventa indispensabile un atto di volontà perché effettivamente ci si muova verso di esso. Da quanto detto appare chiaramente l’importanza della libertà di scelta, ma insieme anche il limite che la connota. Essa rappresenta soltanto l’aspetto negativo della libertà — l’assenza cioè di uno stato di assoluta necessità — ma non dice ancora verso quali obiettivi la libertà deve tendere. La vera libertà si esplica infatti attraverso le scelte concrete che l’uomo pone in atto e che finalizza alla propria realizzazione. È come dire che la «libertà da» è la condizione preliminare per l’esercizio della «libertà per», cioè per la messa in atto di processi che garantiscano all’uomo il pieno sviluppo della propria identità. L’uomo, in quanto essere libero, è chiamato a «liberarsi», aderendo alle esigenze inscritte nella struttura ontologica del suo essere e dando concreta risposta alla sua vocazione.

In questo senso l’esperienza della libertà chiama in causa l’esperienza del valore come dato dal quale non è possibile prescindere. Esso affiora, all’orizzonte della coscienza dell’uomo, non come un oggetto preconfezionato, ma come l’oggetto di una libera elezione, come ciò verso cui si protende dinamicamente la volontà dell’uomo, in quanto ha come obiettivo la realizzazione personale. La libertà si definisce pertanto come la risultante dell’impatto tra possibilità di scelta e scelta concreta, nel senso che la prima non è che il presupposto per la messa in atto della seconda, nella quale si esplica pienamente la vita morale dell’uomo. Se l’uomo non fosse dotato di libero arbitrio non avrebbe accesso al mondo dell’eticità. Ma il libero arbitrio non è sufficiente. L’eticità postula, in ultima analisi, la necessaria relazione a un quadro di valori, che conferiscono senso e orientamento alla stessa libertà. Libertà e valore sono grandezze correlative, non solo nel senso che non esiste libertà vera senza valore, ma anche nel senso che non si dà valore morale senza libertà, poiché la possibilità che un determinato obiettivo venga percepito dal soggetto umano come valore è legata all’esperienza che egli fa del suo essere libero.

La vita morale appare così come un incessante processo di liberazione: processo che si sviluppa attraverso una dinamica faticosa e lacerante. Le scelte che l’uomo mette in atto implicano, infatti, sempre, in primo luogo, una serie di rotture con altre possibilità, che vengono per ciò stesso scartate. Ma queste rotture non sono fine a sé stesse; sono la condizione per accedere all’unità della persona, per consentire ad essa di appropriarsi della propria identità e di sviluppare il progetto di vita, che è inscritto nella sua stessa datità originaria.

La persona è dunque all’inizio e al termine della libertà: all’inizio, in quanto ne costituisce il fondamento, e al termine, in quanto ad essa la libertà tende come a suo ultimo obiettivo. Edificare l’unità personale è, in definitiva, il compito della libertà. Un compito che può essere realizzato solo attraverso la concreta messa in atto di scelte corrispondenti alla vocazione di ciascuno.

 

2.2. Libertà e condizionamenti

La libertà dell’uomo, che abbiamo fin qui tentato di fondare e di descrivere nel suo dinamismo essenziale, non è tuttavia libertà assoluta ma «situata», e dunque limitata. A determinare tale limitazione è la realtà stessa dell’essere dell’uomo in quanto «spirito incarnato». La corporeità, che appartiene costitutivamente alla definizione ontologica dell’uomo — il corpo che io sono, e non solo il corpo che io ho — lo situa nello spazio e nel tempo, nel qui e ora. L’agire umano si svolge pertanto all’interno di queste coordinate; è cioè radicalmente segnato dalla presenza di un insieme di fattori che delimitano l’ambito concreto di esercizio della libertà. Certo lo spirito trascende la dimensione corporea dell’uomo, ma è, nello stesso tempo, in essa radicalmente inserito, così da non poterne prescindere. Ogni azione umana è espressione della complessa unità della persona: riflette cioè la dimensione corporea e spirituale dell’uomo.

Le scienze umane hanno notevolmente contribuito ad evidenziare le dinamiche del condizionamento della libertà, mettendo a fuoco le interazioni esistenti tra i fattori interni di carattere bio-psichico e quelli esterni di carattere socio-culturale. I meccanismi dell’istinto e i dati inerenti la costituzione originaria del soggetto — temperamento, carattere, struttura dell’inconscio, abitudini, ecc. — ricevono diverso sviluppo a seconda dell’evoluzione psicologica della persona, la quale è legata alla rete di rapporti che essa stabilisce con gli altri fin dai primi anni di vita. È d’altronde evidente che l’articolarsi di tali rapporti — compresi quelli con le figure parentali — è, in larga misura, dipendente dal contesto sociale e culturale in cui si vive. Le tradizioni, i modelli e le norme comportamentali, gli statuti educativi dominanti, lo​​ status​​ sociale e la stessa identità sessuale esercitano un ruolo decisivo sulla crescita di singoli soggetti.

Non è questa la sede per un’analisi dettagliata delle diverse tipologie di condizionamento, le quali assumono caratteri qualitativi e quantitativi diversi a seconda della struttura personale e della concreta esperienza di vita. È tuttavia importante sottolineare come di per sé il situarsi dell’uomo entro una determinata struttura bio-psichica e all’interno di un determinato contesto socio-culturale non comporti soltanto una limitazione della libertà, ma definisca anche positivamente lo spazio concreto entro il quale la libertà può e deve esercitarsi. Temperamento, carattere, sviluppo psicologico della personalità, affettività, ambiente sono il luogo a partire del quale l’uomo è chiamato a esprimere la propria libertà. Se questo si presenta, da una parte, come una condizione di limite, offre, dall’altra, una serie di possibilità, che ciascuno deve responsabilmente sviluppare. Ogni esperienza che l’uomo fa ha sempre carattere ambivalente: può cioè condurlo verso la deriva di un condizionamento assoluto, ma può anche aprirgli la possibilità di nuove forme di realizzazione.

 

2.3. Libertà fondamentale e libertà particolare

La libertà morale come libertà concreta è dunque espressione dell’essere profondo dell’uomo, della sua datità ontologica e del condizionamento che segna strutturalmente di sé l’esperienza dell’uomo nel suo mondo.

Il problema di fondo diviene allora quello di stabilire se e in quale grado, nelle azioni concrete, l’uomo disponga di sé come un tutto così da potere determinare le sue scelte e, più radicalmente, il senso stesso della sua esistenza. Ora, pur riconoscendo i limiti strutturali della libertà umana, già delineati, non si può negare che esista nell’uomo, nella misura in cui si sforza di vivere in autenticità la propria vocazione, la capacità di realizzarsi nella libertà, progettando l’orientamento da imprimere alla sua vita. È questa la libertà fondamentale, che coincide essenzialmente con la disposizione da parte della persona di tutta sé stessa, nella sua esistenzialità concreta, in rapporto all’assoluto. La realizzazione della persona in libertà fondamentale costituisce pertanto l’aspetto trascendentale dell’agire, entro il quale si inscrivono le azioni concrete e che ha perciò una dimensione di profondità qualitativamente diversa rispetto ad esse.

D’altra parte, questa scelta di base, che fonda il senso ultimo dell’agire morale, non è un atto che si realizza una volta per tutte. L’essenziale storicità dell’uomo implica il suo farsi progressivo mediante scelte particolari, segnate dalla presenza di una libertà limitata. Si stabilisce così una relazione di reciprocità tra libertà fondamentale e libertà particolare, nel senso che, da un lato, la libertà fondamentale ha bisogno di esplicitarsi nelle concrete scelte della vita quotidiana e, dall’altra, che tali scelte acquistano valore morale in quanto sono segno dell’autodeterminazione della persona in libertà fondamentale.

La dinamica della libertà come libertà morale concreta è pertanto, in definitiva, data dal rapporto tra la libertà, che la costituisce e mediante la quale essa tende ad autoprogettarsi nella sua globalità, e l’esplicitarsi di questa libertà nelle concrete scelte dell’esistenza quotidiana, segnate dai condizionamenti delle situazioni in cui essa si incarna. L’esprimersi della libertà fondamentale nell’opzione di fondo che l’uomo fa — sia in positivo che in negativo — orienta evidentemente le scelte particolari, senza tuttavia determinarle in termini assoluti. L’uomo può infatti decidere di tutto sé stesso, ma non mai totalmente, in quanto la decisione di sé avviene sempre in uno spazio e in un tempo precisi, entro i quali non gli è dato di conoscere e tanto meno di possedere il futuro. La corporeità, e conseguentemente la spazio-temporalità proprie della condizione umana, sono la ragione della possibilità del cambiamento o del ribaltamento di indirizzo della stessa scelta fondamentale. Un ribaltamento che, normalmente, si realizza attraverso una serie di atti che attenuano lo spessore della scelta precedente, e che si estrinseca in un atto particolare di segno opposto, ma che ha la stessa profondità di quello con il quale tale scelta aveva avuto luogo.

 

3. La libertà nella prospettiva cristiana

La libertà, che ha la sua radice nella struttura ontologica dell’uomo, acquista nuovi significati nella prospettiva cristiana.

La rivelazione non solo presuppone l’esistenza nell’uomo di una reale libertà di scelta, ma fa soprattutto di essa il fondamento della responsabilità morale attraverso la quale egli attinge la salvezza di Dio. La libertà è soggetta a un dinamismo storico, quello stesso dinamismo che accompagna l’evoluzione dell’essere dell’uomo fino alla piena esplicitazione di sé nel mistero di Cristo Accogliendo le sollecitazioni della bibbia, la riflessione teologica si sforza di interpretarle e di sistematizzarle alla luce dell’odierna ricerca antropologica, fornendo una visione rigorosa del senso e delle dimensioni della libertà.

 

3.1. Il dato biblico

La rivelazione insiste soprattutto sul potere di liberazione conferito da Dio all’uomo. La libertà non è dunque colta soltanto, negativamente, come sottrazione dell’uomo alla situazione di schiavitù indotta dal peccato, ma è, più profondamente, lumeggiata come nuovo dinamismo interiore che lo conduce a mettere in atto il progetto di Dio.

Nell’AT tale libertà è prefigurata da alcuni avvenimenti decisivi della storia della salvezza ed è insieme attesa come frutto dei tempi messianici. La storia della salvezza è storia di liberazione, che si dispiega attraverso il succedersi di avvenimenti liberatori. La libertà portata da Cristo è tuttavia qualcosa di assolutamente nuovo, in quanto appare legata alla sua stessa persona e al potere che viene attraverso di lui comunicato all’intera umanità.

 

3.1.1. Libertà da

È soprattutto Paolo a interpretare l’essere e l’agire del cristiano nell’ottica della libertà (Gal 4,26-31; 51,1-13; 1 Cor 7,22). La libertà del cristiano, che ha il suo fondamento in Cristo, è anzitutto «libertà da», nel senso del superamento di alcuni fondamentali impedimenti propri dell’uomo peccatore. Il peccato, cui soggiacciamo come schiavi per la nostra origine (Rm 5,12ss) e per le nostre colpe personali (Rm 6,17-20), è il vero despota al quale Cristo ci sottrae. Da esso deriva, infatti, come inevitabile conseguenza lo stato di morte, sia fisica che spirituale. La libertà cristiana, in quanto è fondamentalmente libertà dal peccato, include dunque la liberazione dalla morte. Mediante la risurrezione di Cristo noi siamo definitivamente riscattati dalla schiavitù del suo timore (Eb 2,14s) e viviamo «nell’attesa della redenzione del nostro corpo» (Rm 8,23), essendo ormai passati «dalla morte alla vita» (1 Gv 3,14) nella misura in cui viviamo nella fede e nell’amore. Ma la liberazione che Cristo ha portato si estrinseca soprattutto nella libertà dalla legge (Rm 6,14; Gal 5,18). Essa non costituisce più per il cristiano la via della salvezza, la quale è invece opera dello Spirito, che è Spirito di libertà.

 

3.1.2. Libertà per

Il dono della libertà, frutto dell’opera redentrice di Cristo, non va tuttavia inteso come qualcosa di puramente passivo e tanto meno come possibilità di un assoluto libertinismo. La libertà cristiana è impegno a vivere nel servizio a Dio e ai fratelli, a crescere cioè nell’unione sempre più profonda con il Signore e nella pratica della giustizia verso gli uomini: «Voi certo siete stati chiamati alla libertà, o fratelli; soltanto non invocate la libertà quale pretesto per una condotta carnale» (Gal 5,13). La libertà del cristiano è una libertà orientata al bene; è, in definitiva, una libertà orientata alla carità. La rinuncia al diritto personale, se il bene del fratello lo esige, non è una limitazione della libertà, ma il modo più alto e più perfetto di esercitarla. Affrancato dall’antica schiavitù e fatto figlio di Dio, il credente è infatti chiamato a porsi al servizio degli altri, aderendo alle sollecitazioni dello Spirito (Gal 5,13-26). Il segreto della libertà cristiana sta dunque nel vivere la carità, cioè nel dono costante di sé a Dio e ai fratelli.

 

3.2. La riflessione teologica

La teologia riflette sul concetto di libertà presente nella rivelazione, approfondendo concretamente il rapporto che intercorre tra Dio e l’uomo. Tale rapporto è costitutivo dell’essere stesso dell’uomo: egli infatti esiste in quanto è radicalmente aperto come creatura al suo creatore. In Gesù di Nazaret questa apertura raggiunge il suo culmine: in lui la libertà umana è definitivamente liberata, poiché nella sua incarnazione, morte e risurrezione Dio e l’uomo si sono pienamente riconciliati.

La liberazione operata da Dio in Gesù Cristo non deve tuttavia essere intesa soltanto come un evento del passato, ma come una realtà viva e operante nel presente per l’uomo e insieme come una promessa per il futuro.

La chiesa è il luogo in cui, mediante l’annuncio della parola di Dio e l’azione sacramentale, il credente diviene ogni giorno libero dalla schiavitù del peccato e della morte e viene chiamato, nello stesso tempo, a portare a compimento il proprio processo di liberazione. La libertà è perciò per il cristiano una missione da sviluppare nel quotidiano. È il senso stesso della sua vocazione. La vita «secondo lo Spirito», che gli è stata partecipata in Cristo, deve infatti trovare concreta espressione nella storia mediante la risposta responsabile dell’uomo.

 

3.2.1. Libertà e grazia

La libertà del cristiano trova dunque il suo fondamento nella grazia. La partecipazione alla vita di Dio giustifica l’uomo, operando una radicale trasformazione della sua persona. La grazia è offerta all’uomo in quel centro profondo della persona dove egli si conosce e decide di sé in libertà fondamentale. La vita morale si caratterizza così come accettazione o rifiuto di essa, in un atto attraverso il quale l’uomo dispone totalmente di sé stesso.

La grazia non elimina ovviamente i condizionamenti umani, sia di carattere bio-psichico che socio-culturale. La libertà fondamentale, che si attua sotto il segno della grazia nelle scelte particolari, è sempre libertà umana e, in quanto tale, situata. Il che spiega la costante tensione esistente tra scelta fondamentale e scelte particolari e l’incapacità dell’uomo di vivere fino in fondo e sempre la libertà fondamentale nelle concrete decisioni quotidiane. Ma non si può, d’altronde, misconoscere che la grazia, nel momento in cui viene dall’uomo accettata, influisce, con la sua forza di trasformazione, su tutti gli strati del suo essere. È infatti naturale che l’uomo, il quale accoglie mediante un atto di libertà fondamentale il dono della partecipazione alla vita di Dio, sia inclinato a estrinsecare tale opzione nelle scelte particolari, dando concreto sviluppo a una forma di autorealizzazione di sé che è risposta positiva al progetto del Signore.

 

3.2.2. Libertà e carità

Il contenuto di tale risposta è la carità come amore indiviso di Dio e dei fratelli. La libertà fondamentale si esprime infatti anzitutto nella scelta, che l’uomo è chiamato a fare, tra la ricerca di sé e il dono di sé. Tale scelta, nella misura in cui viene positivamente messa in atto, obbliga l’uomo a dare corso a una serie di atti caratterizzati dalla presenza della libertà particolare, i quali altro non sono che la concretizzazione della libertà fondamentale in scelte quotidiane di amore.

E come dire che la carità riveste il primato assoluto nella vita morale. Essa coincide infatti con l’autorealizzazione che l’uomo fa di sé mediante l’assunzione di un atteggiamento di dedizione totale. Gli atti morali particolari della giustizia, della verità, della fedeltà, ecc., hanno valore nella misura in cui sono permeati da essa, cioè in quanto sono manifestazione del dono della persona a Dio e ai fratelli. La relazione che esiste tra le diverse virtù e la virtù della carità corrisponde pertanto alla relazione che esiste tra la libertà di scelta categoriale e la libertà fondamentale, che ha carattere trascendentale. L’amore, che dispone della persona come tale, non è un semplice atto categoriale; è espressione della libertà fondamentale dell’uomo. Esso costituisce il criterio ultimo di giudizio dell’agire umano, poiché i singoli atti virtuosi acquistano il loro ultimo significato in quanto vengono animati dalla carità (1 Cor 13).

È di conseguenza chiaro che nell’atto di amore ha luogo la più alta realizzazione della libertà, che si esplicita di fatto in una vera e propria presa di posizione positiva dell’uomo davanti a Dio. Ciò non avviene necessariamente attraverso un riconoscimento categoriale di Dio, ma attraverso una adesione esistenziale a lui mediante la scelta cosciente e libera di orientare la propria vita secondo la logica del dono di sé. L’atto libero di amore, che presuppone una conoscenza immediata e diretta di Dio nel profondo della coscienza, appare così come l’aspetto decisivo della moralità, ciò da cui essa trae, in ultima analisi, il suo senso.

 

4. Libertà-liberazione:​​ un processo aperto

La libertà umana è insieme dato e possibilità. Appartiene alla struttura ontologica dell’uomo, ma è, nel contempo, una realtà che sta all’impegno umano sviluppare. È, in altri termini, una libertà da liberare. Per il credente la libertà è dono di Dio in Cristo, ma questo non esclude, anzi implica, che egli debba far crescere tale dono mediante uno sforzo costante di liberazione di sé stesso e degli altri.

4.1. Liberazione e storia

La storia è il contesto concreto entro il quale tale liberazione deve realizzarsi. Il mistero dell’incarnazione è la manifestazione più alta del «sì» di Dio alla storia umana. Essa diviene infatti definitivamente «storia di salvezza», liberata dalla soggezione al peccato e alla morte. È come dire che il definitivo esiste ormai nella storia, anche se questa definitività non è tale da escludere il futuro, inteso come piena realizzazione della salvezza dell’uomo e del mondo. Tra il «già» del compimento in Cristo delle promesse veterotestamentarie e il «non-ancora» della promessa contenuta nel mistero della morte e della risurrezione di Cristo vi è posto per l’azione responsabile dell’uomo, chiamato a trasformare il mondo. La storia è infatti una storia aperta, che ha ormai acquisito un significato e una mèta: la consumazione escatologica dell’umanità e del mondo in Cristo. La libertà umana, ormai affrancata, diventa il presupposto di un processo di liberazione che sta all’uomo intraprendere nel segno della speranza.

La speranza storica acquisisce pertanto nel messaggio cristiano la sua piena legittimazione, ma viene, nello stesso tempo, ridimensionata, in quanto l’orientamento escatologico ultimo della storia è l’apertura a un orizzonte metastorico, cioè al futuro assoluto di Dio. La liberazione cristiana è, in ultima analisi, attesa dei «cieli nuovi» e delle «terre nuove» che Dio donerà alla fine dei tempi all’umanità, e insieme impegno responsabile a realizzare, qui e ora, il progetto divino.

4.2. Liberazione come sviluppo integrale

L’antropologia moderna considera l’uomo e il mondo come realtà in divenire. L’inquietudine umana nasce dall’esperienza antinomica del limite creaturale e della contemporanea apertura dell’uomo all’infinito. Questa esperienza è la forza vitale che spinge l’uomo verso il futuro. Egli vive in quanto ha delle aspirazioni e fa dei progetti.

La libertà è ciò che rende possibile tale progettazione, la quale è necessariamente contrassegnata dall’esigenza di costruire rapporti veri con gli altri e con il mondo.

La liberazione cristiana coincide perciò con lo sviluppo integrale dell’uomo nel quadro di una rete di relazioni interpersonali e sociali e di un corretto rapporto con la natura. L’azione liberatrice di Cristo è redenzione dal peccato e dalle sue conseguenze, che hanno uno spessore sociale e storico. La riconquista della comunione con Dio è la condizione per lo sviluppo di un processo di liberazione, che implica la responsabilità dell’uomo e che ha come obiettivo l’edificazione di una società più giusta e più fraterna attraverso la quale si rende trasparente nella storia la venuta del regno

4.3. Liberazione e impegno politico

L’azione del cristiano, liberato da Cristo, deve allora necessariamente tradursi in impegno politico per la liberazione dell’umanità e l’umanizzazione del cosmo.

La fede implica l’assunzione di una chiara posizione nei confronti delle situazioni sociali, specialmente di quelle dove è in gioco l’alienazione umana; implica soprattutto il coinvolgimento responsabile del credente nelle strutture e sulle istituzioni della convivenza umana, che determinano i diversi processi di socializzazione. L’impegno a costruire una società diversa è infatti condizione indispensabile per la concreta attuazione della liberazione umana, che è possibilità di esercizio della libertà nella giustizia e nell’amore. Si tratta di denunciare con coraggio il disordine esistente, le sperequazioni tra gli uomini e tra i popoli, che sono all’origine dello stato di conflitto in cui versa la famiglia umana, e di lottare per la realizzazione di un ordine che garantisca a tutti la piena espressione di sé, e dunque la possibilità di un esercizio totale della propria libertà.

La sporgenza utopica, che qualifica la coscienza del cristiano, lo mette al riparo dalla tentazione di assolutizzare qualsiasi progetto storico, ma, insieme, lo stimola a produrre ogni sforzo perché l’uomo nuovo possa realizzarsi anche attraverso la creazione di nuovi spazi sociali e di forme istituzionali che garantiscano, sul piano politico, ad ogni uomo di potersi sentire effettivo cittadino della comunità in cui vive e del mondo.

La libertà di Cristo, che rende l’uomo radicalmente libero, lo spinge in definitiva, a liberare l’umanità e il mondo, fino al compimento definitivo di tale processo che avrà luogo alla fine dei tempi.

 

5. Per un’educazione al senso della libertà

La libertà, tanto nella sua struttura umana quanto nel suo significato cristiano, appare così come una realtà in divenire. L’autopossesso della persona, che costituisce la premessa indispensabile perché essa possa attuarsi mediante scelte e decisioni corrispondenti alla propria vocazione, è il frutto di un itinerario educativo lungo e impegnativo. L’educazione è fondamentalmente educazione alla libertà e della libertà, nel senso che l’obiettivo da perseguire è la piena maturazione dell’uomo, la capacità cioè di decidere, in modo autonomo, del proprio destino. Educare significa allora, in primo luogo, aiutare l’altro ad essere sé stesso, metterlo in condizione di prendere coscienza dei propri doni e delle proprie potenzialità nascoste e creare il contesto entro il quale egli possa pienamente esprimersi. Ma significa anche orientare la libertà verso obiettivi precisi, aprirla cioè al mondo dei valori, i quali soli garantiscono ad essa il suo autentico sviluppo.

L’educazione ha perciò come fine l’acquisizione della responsabilità personale, che è coscienza della propria unicità e della propria irripetibilità, ed è, nel contempo, convinzione della necessità di vivere la propria vocazione e di progettare la propria esistenza come servizio agli altri e al mondo.

Ciò presuppone, evidentemente, attenzione alla crescita graduale, che caratterizza lo sviluppo del soggetto umano. Persona si nasce e si diviene mediante una serie complessa di processi di socializzazione, il cui esito positivo è legato al concreto rapportarsi agli altri, perciò alle modalità esistenziali secondo le quali si concreta l’incontro, il dialogo e la comunicazione. La piena assunzione della propria identità personale è lo sbocco positivo di una serie di passaggi attraverso dinamiche relazionali, che hanno inizio dai rapporti parentali e si estendono progressivamente alle diverse sfere della vita sociale. Il disadattamento sociale è infatti la conseguenza di un’insicurezza esistenziale, alla cui origine vi è normalmente il non essere stati accolti e il non sentirsi amati, soprattutto negli anni in cui più fragile è la propria costituzione personale e più limitato il proprio grado di sviluppo.

La libertà come superamento dei condizionamenti negativi e come capacità di progettare in positivo la vita è il frutto di un itinerario la cui fecondità dipende dunque dal clima che si respira nell’ambiente in cui si vive e dall’assimilazione corretta di valori in base ai quali orientare le proprie scelte personali. È allora evidente che la sua maturazione, la quale coincide con la maturazione della persona, dipende dalla testimonianza delle persone con cui si entra in dialogo e ci si confronta. Dipende, in altri termini, non tanto dalla loro astratta capacità di annunciare con le parole i valori, ma piuttosto dalla forza con cui sanno renderne trasparente il messaggio mediante la concreta aderenza esistenziale ad essi nella vita. Solo così la libertà ha la possibilità di diventare per l’uomo lo spazio della propria autorealizzazione, il luogo a partire dal quale progettare sapienzialmente l’esistenza, nella fedeltà alla propria vocazione personale e allo stesso progetto di Dio.

 

Bibliografia

Aron R.,​​ Essai sur les libertés, Parigi 1977; Cerroni U.,​​ La libertà dei moderni, Bari 1973; De Finance J.,​​ Existence et libertà, Parigi-Lione 1955; Fuchs J.,​​ Libertà fondamentale e morale, in «Esiste una morale cristiana? Questioni critiche in un tempo di secolarizzazione», Brescia 1970, 1 15-139; Gutierrez G.,​​ Teologia della liberazione, Brescia 1972; Lyonnet S.,​​ Libertà chràtienne et loi nouvelle selon S. Paul, Roma 1954; Ricoeur P.,​​ Le volontaire et l’involontaire, Parigi 1950; Spicq C.,​​ Charità et libertà dans le Nouveau Testament, Parigi 1961; Valori P.,​​ Libero arbitrio. Dio, l’uomo, la libertà, Milano 1987.

image_pdfimage_print

 

LIBERTÀ

Condizione umana in cui si agisce non per costrizione esterna, ma per decisione cosciente e volontaria in vista di qualcosa che si intende perseguire o realizzare in situazioni concrete. Nella pedagogia contemporanea la l. è vista come​​ ​​ fine specifico dell’educazione e come tratto qualificante del rapporto educativo (​​ autorità educativa).

1.​​ La comprensione storica della l.​​ Nel mondo greco-romano la l. (in gr.​​ eleuthería;​​ in lat.​​ libertas)​​ era principalmente di carattere politico, riferita all’autonomia dello Stato (della​​ pólis​​ o della​​ res publica)​​ o ai cittadini in quanto non sottomessi a poteri dispotici di imperatori, re, tiranni o in quanto non in condizione di schiavitù. Ma della l. si trattava anche in relazione al fato e alla responsabilità morale (cfr. poesia, tragedia, sofisti, stoici,​​ ​​ Socrate). Nell’Etica Nicomachea​​ (III, 1),​​ ​​ Aristotele ha sottolineato l’imputabilità soggettiva, la dimensione conoscitiva e la non costrittività esterna dell’agire libero. Il platonismo e il neo-platonismo hanno indicato il Bene come orizzonte della l. Nel pensiero cristiano, si pone l’accento sulla dimensione interiore e morale. La l. è stata messa in relazione con il tema del peccato personale e di quello dell’umanità nella sua globalità, della salvezza, della grazia, dell’aiuto divino creatore, liberante, redentore e provvidente; ma anche con i temi difficili del libero arbitrio personale, della pre-scienza divina, della predestinazione dei giusti. L’età moderna ha accentuato l’autonomia soggettiva, la l. d’azione, le l. civili e politiche, ma ha cercato di discutere il divario tra idealità e concretezza per una l. incarnata nella storia. Peraltro il sec.​​ xx​​ l’ha collegata con la tragicità, l’assurdità, la finitezza dell’esistenza, come anche con le lotte di​​ ​​ liberazione dei popoli, delle classi oppresse, delle minoranze e dei gruppi soggetti a poteri disumanizzanti e alienanti.

2.​​ Per un concetto comprensivo di l.​​ L’idea di l., per chi si muove nella tradizione culturale occidentale e moderna, è più che un semplice concetto. È carica di emozionalità, di atteggiamenti di difesa, di aspettative, di desideri. Come concetto contiene aspetti diversi che, se assolutizzati, rischiano di contraddirsi a vicenda: come può succedere quando la si pensa come spontaneità assoluta; o all’opposto come controllo razionale di tutto; o come autonomia soggettiva senza alcun legame esterno; o come adesione incondizionata a un’idea suprema o ad un gruppo o partito o movimento. In tal senso nel discorso sulla l. si devono tener insieme livelli diversi e aspetti tra loro complementari. Anche considerata astrattamente come atto isolato, risulta costituzionalmente insieme e sempre «l. da» (costrizione, almeno psicologica), «l. per» (qualcosa che si pone come termine intenzionale dell’agire), «l. in» (interiore capacità di scelta «ragionevole» rispetto a possibilità concretamente date) e «l. di» (esercizio pratico in qualche ambito del reale, ad es. di pensiero, di parola, di circolare, di commerciare, ecc.). In quanto realtà non è tanto del tipo «c’è / non c’è», ma piuttosto del tipo «più / meno», «nella misura in cui», «in quanto», «a patto che», e così via. D’altra parte è pure abbastanza chiaro che essa non si realizza in astratto né come singolo atto, slegato da ogni contesto e da ogni storia. Le scienze umane, la letteratura e i mass-media hanno messo in luce le complesse dinamiche consce ed inconsce che attraversano, condizionano e stimolano la l. umana. Non è una l. «senza condizioni», né è una l. senza storia o fuori della storia. È, come si dice, sempre una l. «incarnata», una l. «in situazione», «intrisa di tempo e di giorni»: fisica, psichica e spirituale, pratica. Peraltro, il pensiero esistenziale e fenomenologico ha messo in risalto che l’essere umano più che possedere la l.,​​ è​​ l. Essa è struttura ontologica originaria che lo costituisce. Non è una «cosa», ma piuttosto il modo specifico di essere dell’agire umano, individuale e collettivo, caratterizzato da assenza di costrizione e procedente da decisione razionale pratica («deliberato consenso»). Essa dà forma e completezza ai contenuti dell’azione dell’uomo, qualificandola come umana, ma a sua volta è misurata proprio dalla sua rilevanza umana. Trova cioè il suo criterio di valore nella promozione umana integrale, individuale e generale, di cui è capace. Senza di essa le azioni dell’uomo rimarrebbero infra-umane o sub-umane. La nostra diretta esperienza ci attesta amaramente come molte delle nostre azioni sono di questo tipo. S.​​ ​​ Tommaso d’Aquino distingueva per questo gli​​ actus humani​​ dagli​​ actus hominis​​ (atti procedenti dall’essere umano, ma non qualificabili come umani). In tal senso la l., più che un dato è un compito, che chiede impegno morale e educazione.​​ 

3.​​ Tra l. negata e ricerca di l.​​ La condizione umana contemporanea sembra radicalizzare la questione della l. Essa viene esaltata e difesa contro ogni forma di soggezione, di alienazione, di plagio, di indottrinamento, e d’altro canto appare praticamente negata dalla massificazione sociale e dall’omologazione culturale (attuata tramite il sistema mass-mediatico che invade il «privato»), dalle spinte del mercato internazionale (che utilizza le tecnologie informatiche e telematiche), dalla diffusa mentalità consumistica (che getta individui e masse in un presentismo alienante e in una ricerca spasmodica di sensazioni senza quadro e senza progetto). La complessità dell’esistenza sociale, come anche la mondializzazione del sistema economico-politico, sembrano rendere evanescente la l. personale e quella dei popoli, nella trama intricata delle dinamiche strutturali psicologiche, intellettuali, culturali, socio-economiche. D’altra parte la diffusa «preoccupazione per l’uomo», per i diritti umani di tutti, per una buona e migliore qualità della vita, per il destino del mondo e degli eco-sistemi, per l’accesso di tutti i popoli e dei diversi gruppi o strati sociali alla scena della storia, spinge ad andare oltre la difesa delle «l. moderne» e ad aprirsi all’altro, ad uscire da sé nella dedizione senza misura o lungo le strade non sempre controllabili dell’amicizia e dell’amore, nell’impegno solidale di liberazione. In effetti la l. è «con-l.», che chiede di coniugare interdipendenza effettiva e solidarietà voluta e ricercata fattivamente, nella coscienza della corresponsabilità storica per l’umano. In questa linea il pensiero cristiano contemporaneo prospetta l’idea che se non si vuol ridurre la l. ad una «passione inutile» (J.-P. Sartre), occorre non costringerla entro la «curva dei giorni» (A. Camus), ma porla in relazione con la trascendenza di Dio: visto non come concorrente dell’uomo nella l., ma promotore di essa. A questo scopo si fa riferimento alle indicazioni bibliche di Dio che chiama l’uomo alla vita, lo forma a sua immagine e somiglianza, fa alleanza con lui, lo soccorre e lo libera per farne un popolo; che nell’incarnazione, nella morte e resurrezione del Cristo toglie la separazione tra cielo e terra, tra sacro e profano, tra carne e spirito in modo che «ogni carne vedrà la salvezza» di Dio, la cui «gloria è l’uomo vivente» e i cui comandamenti sono la «legge dell’amore» di un Dio Padre, non l’imposizione di un «dio-tiranno».

Bibliografia

Rigobello A.,​​ Il futuro della l., Roma, Studium, 1978; Laeng M.,​​ Educazione alla l. civile,​​ morale,​​ religiosa,​​ Teramo, Lisciani e Giunti, 1980; Penati G.,​​ Decisione e origine. Sulla verità della l.,​​ Brescia, Morcelliana, 1983; Laeng M.,​​ Educazione alla l., Teramo, Lisciani e Giunti, 1992; Smith Michael P.,​​ Educare per la l., Milano, Eleuthera, 1990; Zavalloni R.,​​ Educarsi alla responsabilità,​​ Assisi, Porziuncola, 1996; Sen Amartya K.,​​ La l. individuale come impegno sociale, Roma / Bari, Laterza, 2007.

C. Nanni

image_pdfimage_print

Related Voci

image_pdfimage_print