INCULTURAZIONE
1. Dopo un periodo in cui si è parlato molto di adattamento e di acculturazione del cristianesimo, si è introdotto progressivamente, a partire dal 1959, il neologismo “inculturazione”.
Per I. s’intendono realtà diverse tra loro. I. significa “piantare il germe della fede in una cultura e farlo sviluppare, esprimersi secondo le risorse e il genio di quella cultura” (Y. Congar, Cristianesimo come fede e come cultura, in «Regno-Documenti» 21 [1976] 1, 43). “La fede deve essere seminata come un seme in un determinato mondo culturale, un determinato spazio socio-culturale umano, e in esso deve trovare la propria espressione partendo dalla cultura stessa. Questo è un problema estremamente difficile” (R. Coffy, Synode – Catéchèse, in “Catéchèse” 18 [1978] 70, 89). A un secondo livello il termine I. sottolinea la “incarnazione della vita e del messaggio cristiano in una concreta area culturale, in modo tale che questa esperienza non solo riesca ad esprimersi con gli elementi propri della cultura in questione (il che sarebbe ancora un adattamento superficiale), ma diventi il principio ispiratore, normativo e unificante, che trasforma e ricrea questa cultura, dando origine a una nuova “creatura”“ (P. Arrupe 1978).
Diverse istanze si sovrappongono quindi nell’idea di I.:
— superare l’identificazione del cristianesimo con la sua veste occidentale-europea, oppure con forme espressive (linguistiche e strutturali) troppo legate ad altre epoche culturali (occidentali) ormai superate e scomparse;
— esprimere il cristianesimo con elementi culturali delle rispettive culture (non occidentali) o delle nuove espressioni culturali (occidentali);
— intervenire creativamente nella trasformazione e nella liberazione delle culture esistenti, dando origine a nuove configurazioni culturali.
2. Poiché ogni cultura è una realtà articolata e strutturata, con aree relativamente autonome, che hanno diversa attinenza con la realtà della fede cristiana, anche 1’1. della fede è una realtà diversificata e articolata. Di conseguenza l’apporto della C. all’I. presenta aspetti che vanno sufficientemente distinti tra loro. — Vi è anzitutto uno strato culturale che è particolarmente rilevante per l’aggancio del Vangelo con le persone viventi in quelle culture. Da un lato la ricerca della salvezza, il modo di porsi il problema del senso della vita, gli umanesimi vissuti, l’antropologia implicita, la scala dei valori, ecc. Da un altro lato l’immensa realtà delle religioni non cristiane.
— Vi è tutta la sfera delle espressioni culturali della religiosità: le modalità del pregare, i riti, il culto, i simboli religiosi, la spiritualità. Ma anche più specificamente il linguaggio (la terminologia) religioso, la professione di fede, la teologia, ecc.
— Sul piano della vita vissuta, dell’impostazione fondamentale della vita, s’incontrano i valori tipici di una cultura: la realtà etica, la mentalità dominante, gli ideali civili, ecc. — Non vanno dimenticate le strutture sociali, economiche e politiche, le forme significative di diaconia e di servizio sociale, il modo di fare politica, ecc.
3. È ovvio che l’apporto della C. all’I. del cristianesimo non coincide semplicemente con tutti i compiti che la Chiesa deve risolvere al riguardo. L’I. è un compito che spetta anzitutto all’intera comunità ecclesiale e non primariamente o specificamente alla C. Anzi è difficile che la C. da sola possa superare di molti passi lo stadio concreto di I. del cristianesimo raggiunto nelle diverse Chiese particolari. La C. da sola non ha né i mezzi né gli strumenti teologici e operativi per venir incontro ai difficili problemi posti dall’L Basta pensare al linguaggio teologico, ai riti liturgici, al rapporto con le religioni non cristiane, ecc.
L’I. appare ancora largamente un compito non realizzato e non facilmente realizzabile. Sul piano delle dichiarazioni di principio vi è un orientamento assai esplicito e concorde circa la necessità di un cristianesimo inculturato. Ma per ora è estremamente difficile vedere in che linea concreta questa I. si realizzerà. Per es., tutti in Africa auspicano un cristianesimo che abbia un volto maggiormente africano, ma è difficile immaginarsi come ciò si realizzerà, se è necessario che gli africani lo vivano come autenticamente africano e nello stesso tempo gli altri cristiani nella cattolicità lo possano considerare un’espressione autentica del Vangelo. Un compito del genere richiederà secoli di ricerca.
4. La C. ha comunque una grande responsabilità nell’I. del cristianesimo. Essa offre spazi specifici per realizzare una maggiore I. L’annuncio del Vangelo ai singoli cristiani e la sua esplicitazione nella C. deve ancorarsi sulla ricerca concreta di salvezza in quella cultura, sul modo in cui la gente è alla ricerca del senso della vita, sulle visioni dell’uomo e sugli umanesimi vissuti concretamente dalla gente. Ciò presuppone da parte dei catecheti uno sforzo incessante per comprendere le istanze antropologiche di fondo che pervadono la cultura della gente.
Lo stesso vale per lo studio e la comprensione delle → religioni non cristiane. Anche nell’ambito della C. ci dovrà essere un serio dialogo con queste religioni. Il messaggio liberatore e redentore del Vangelo dovrà pure essere formulato in termini di riferimento, di critica e di completamento nei confronti delle religioni non cristiane che sono attivamente presenti nella cultura o spesso costituiscono un tutt’uno con questa cultura.
I compiti della C. sul piano del → linguaggio sono numerosi e impegnativi. Da ogni parte si proclama la necessità di teologie africane, indiane, orientali, latinoamericane: teologie che esprimono il messaggio cristiano in riferimento alle categorie centrali di quelle culture. La C. però non può incrociare le braccia in attesa che questo compito “secolare” della teologia sia portato a buon termine. Già oggi la C. deve costantemente tradurre il Vangelo in termini che sono intelligibili alla gente semplice. Questo richiede uno sforzo incessante per andare verso ciò che è veramente essenziale nel cristianesimo, liberandolo da tante incrostazioni culturali occidentali e tante sovrastrutture non pertinenti all’essenza del messaggio.
Per ciò che riguarda i grandi → simboli religiosi, essi devono essere oggetto di particolare attenzione nella C. sia per comprenderli in riferimento all’origine culturale e antropologica di cui sono rivestiti nella tradizione culturale del cristianesimo sia per riferirli al simbolismo religioso notevolmente diverso presente nelle culture non occidentali.
Un compito delicato e difficile della C. consiste nell’indicare come si vive cristianamente nel mondo e nella società, cioè in quella determinata cultura. Sul piano teorico è abbastanza facile formulare i principi generali per l’etica, i valori, la politica, la famiglia. In pratica però risulta spesso molto difficile concretizzare, anche solo negli aspetti principali, il comportamento.
Bibliografia
P. Arrupe, Catechesi e inculturazione. Intervento al Sinodo dei vescovi su “La catechesi nel nostro tempo” ( 1977), in “Aggiornamenti sociali” 28 (1977) 665-668; G. Butturini (ed.), Le nuove vie del Vangelo. 1 vescovi africani parlano a tutta la Chiesa, Bologna, EMI, 1975; F. Clark, Making the Gospel at Home in Asian Cultures, in “Teaching All Nations» 13 (1976) 131-149; In., Inculturation: Introduction and History, ibid. 15 (1978) 211-225; R. Divakar Parmanda, Evangeli! nuntiandi and the Problem of Inculturation, ibid., 226-232; V. Gracias, Christianity and Asian Cultures, ibid. 8 (1971) 3, 3-29; Inculturation: Challenge to the local church, in “East Asian Pastoral Review” 18 (1981) 204-299; L. Luzbetak, Un solo Vangelo nelle diverse culture. Antropologia applicata alla pastorale, Leumann-Torino, LDC, 1971; Il problema dell’inculturazione. Documento di lavoro per la Compagnia di Gesù, in “Il Regno – Documenti” 23 (1978) 451-455; Il problema dell’inculturazione oggi. Editoriale di «La Civiltà Cattolica» 129 (1978/IV) 313-322; Y. Raguin, Indigenization of the Church, in “Teaching All Nations” 6 (1969) 150-168; A. Roest Crollius, Inculturation and the Meaning of Culture, in “Gregorianum” 61 (1980) 253-274; In., What is so new about Inculturation? A Concept and its Implications, ibid. 59 (1978) 721-737; A. Shorter, Culture africane e cristianesimo, Bologna, EMI, 1974.
Joseph Gevaert
INCULTURAZIONE
Per i. s’intende il processo educativo per cui i membri di una → cultura vengono resi coscienti e partecipi della cultura stessa.
1. In questo processo, l’individuo non è un soggetto passivo, ma accoglie i modelli e i valori culturali con il suo giudizio critico. Inoltre, nell’individuo si sviluppa una crescita continua della capacità di interpretare in maniera autonoma e personale ciò che vede o che gli viene proposto. Tutta la società si preoccupa per i giovani che sono chiamati a far parte della sua realtà e storia comune. L’i. comprende particolarmente l’assunzione del patrimonio sociale comune di conoscenze, idee, valori, norme, tecniche, modelli operativi, ecc. L’i. si coglie con maggior evidenza durante l’infanzia, quando il → bambino viene educato ad essere → uomo o → donna nell’ambito della → famiglia e dei gruppi spontanei di coetanei. All’interno del processo d’i. si può parlare di tre stadi: a) si informa l’individuo; b) si forma la sua visione mentale; c) si orienta il suo comportamento. L’informazione nutre la coscienza e l’individuo che, da creatura del tutto dipendente, diventa una persona responsabile e autonoma. Oltre ai tre stadi, c’è anche l’imitazione che è un aspetto dell’i., che appare determinante soprattutto al periodo infantile. L’imitazione però non appartiene soltanto al periodo dell’infanzia, ma continua tutta la vita e prosegue con il processo d’i.
2. Il processo di i. può avvenire in due modi: formale e informale. Secondo i sistemi propri della società, a un determinato momento del loro sviluppo, i giovani – maschi e femmine – vengono affidati a specifiche istituzioni (la → scuola) o a specifiche persone (i maestri, ecc.), ai quali si attribuisce il compito dell’i. formale. Diversa è l’i. informale, che si attua continuamente lungo tutta la vita dell’individuo. La distinzione tra i. formale e informale, pur essendo netta, non dev’essere assunta come assoluta. Per es., anche durante il processo dell’i. formale in una istituzione rigida, niente può inibire l’individuo a cogliere tutto ciò che gli si presenta in maniera informale.
3. Questa concezione di i. viene sempre più frequentemente scambiata con il termine → socializzazione. Però, la socializzazione è oggetto di studio di varie discipline scientifiche; per es., la psicologia, la sociologia ecc. e ognuna di esse le dà un significato differente, seguendo il suo punto di vista. Mentre nella prospettiva psicologica si bada ai meccanismi e ai processi evolutivi, in quella sociologica la socializzazione va studiata sulle procedure sociali che determinano la condizione sociale, individuale e collettiva. Invece, nell’ambito dell’ → antropologia culturale l’interesse per la socializzazione si svolge attorno al rapporto tra il mondo della cultura e la personalità, individuale e collettiva; a tale senso si avvicina a quello che noi chiamiamo i. Nel quadro della cultura, l’i., come anche la socializzazione, è vista da parte dell’individuo come l’insieme dei processi da acquisizione della cultura, e da parte del gruppo come il sistema di comunicazione di cultura.
4. È necessario fare una distinzione anche tra i. e acculturazione per cogliere meglio il significato dell’una e dell’altra, perché all’i. si accompagna o si sovrappone l’acculturazione. Benché per fini analitici sia possibile isolare il processo di i., non sarebbe esatto considerarlo in maniera avulsa dai contatti che una cultura ha con un’altra. Mentre l’i. riguarda la dinamica interna di una singola cultura in relazione ai suoi membri, l’acculturazione si riferisce alle relazioni esistenti tra più culture e agli effetti che derivano dai loro contatti. Ma è da notare che, essendo la cultura non statica, ma dinamica, si può dire che una delle sue costanti è il fatto di essere sempre in trasformazione. Ora tale processo da Herskovits è chiamato anche acculturazione. Nel linguaggio antropologico la parola acculturazione è in uso fin dal 1948, e si è diffusa ormai nel linguaggio anche degli storici. Tuttavia il fenomeno è stato da sempre studiato, sia pure con prospettive diverse da quelle attuali.
5. Nell’ambito pastorale i. è usato per indicare l’inserimento del cristianesimo nelle culture, sia nell’annuncio della Parola come anche nella → catechesi. Benché l’uso ecclesiale della parola i. nel 1979 fosse considerato un «neologismo», oggi non è più considerato una scelta facoltativa, ma qualifica ogni attività della missione della chiesa. Questo concetto è meglio precisato nell’attività liturgica e nella → catechesi, in quanto si tratta di un incontro dialettico fra la fede cristiana ed una cultura particolare, in cui tutte e due vengono ratificate, sfidate e trasformate o arricchite in vista del regno di Dio.
Bibliografia
Bernardi B., Uomo cultura società. Introduzione agli studi etno-antropologici, Milano, Angeli, 1977; Groome T., I.: come procedere in un contesto pastorale, in «Concilium» 30 (1994) 1, 159-176; Pace E. (Ed.), Dizionario di sociologia e antropologia culturale, Assisi, Cittadella, 1989; Nanni C., L’educazione tra crisi e ricerca di senso, Roma, LAS, 1990; Tentori T., Antropologia culturale. Percorsi della conoscenza della cultura, Roma, Studium, 1990; Roest-Crollius A., Teologia dell’i., Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1993.
C. De Souza