IDENTIFICAZIONE

IDENTIFICAZIONE

Severino De Pieri

 

1. La nozione di identificazione

1.1. Definizione

1.2. Accezioni particolari

2. Il processo di identificazione

2.1. Dinamica dell’identificazione in funzione dell’identità

2.2. Fasi dell’identificazione verso l’identità

3. Una tipologia delle principali identificazioni

3.1. A livello di preadolescenti

3.2. A livello di adolescenti

3.3. A livello di giovani

4. Implicanze educative e pastorali

4.1. Criteri di riferimento

4.2. Metodi da privilegiare

 

La dipendenza infantile dai genitori e dai loro sostituti, l’ammirazione per un modello, il «tifo», per un personaggio dello sport o dello spettacolo, il desiderio di seguire una moda o di acquistare un prodotto, l’innamoramento, la spinta ad appartenere a un gruppo, a un movimento, a un ceto sociale o a un partito politico, il fanatismo religioso, l’assimilazione degli stereotipi culturali, l’acquiescenza alla società dei consumi: ecco una serie di atteggiamenti e comportamenti che sono in diverso modo connessi con processi di identificazione, da cui siamo continuamente sollecitati.

L’identificazione, da dinamismo prevalente a livello primario nella soluzione dei conflitti infantili, si estende a livello dei processi secondari dell’imitazione e dell’immedesimazione che agiscono nelle successive fasi evolutive e che oggi vengono oltre modo amplificati dalla civiltà dei consumi e dalla cultura dei bisogni e dei desideri.

Il fatto che in una teoria generale della motivazione l’identificazione venga a porsi come dinamismo risolutivo a situazioni di frustrazione, fa sì che essa si presenti come categoria che solleva problemi di enorme rilevanza non solo individuale ma anche sociale e culturale.

L’identificazione è un dinamismo necessario, ma ambivalente, che richiede pertanto di essere continuamente superato. Fissare lo sviluppo della personalità e talora anche farla regredire a livello di comportamenti dipendenti ed eteronomi in forza di identificazioni non risolte, può significare arresto e involuzione psichica. Per questo è importante per l’educazione e la pastorale anzitutto illuminare questo dinamismo e poi saperlo debitamente valorizzare nel difficile percorso che conduce all’identità.

 

1. La nozione di identificazione

1.1. Definizione

In senso transitivo identificare è riconoscere, dare un nome, ricondurre qualcosa di sconosciuto a noto ed evidente. In senso riflessivo identificarsi è estraniarsi da sé, far scomparire una differenza per essere assimilati a un’altra persona o cosa. L’identificazione si pone su questo secondo versante: è termine di origine psicoanalitica per indicare il processo, perlopiù inconscio, per cui l’io si adatta a un estraneo e di conseguenza si comporta, sotto alcuni aspetti, come l’altro, lo imita e lo accoglie in un certo senso dentro di sé. Oltre che con le persone, l’identificazione può avvenire con qualsiasi altra entità. Più specificamente, l’identificazione è un meccanismo di difesa che aiuta a superare l’ansia e il conflitto con la sostituzione di uno scopo o di un motivo, difficile da conseguire, con uno più accessibile: la frustrazione viene in tal modo mitigata mediante l’assunzione di uno o più motivi (qualità) presi da altre persone o cose. Nell’esempio dell’identificazione con un modello, si ha dipendenza e rinforzo del narcisismo oppure sviluppo di reazioni ostili e di contro-dipendenza. Identificazione e imitazione sovente coincidono, anche se quest’ultima può essere più cosciente e intenzionale. Imitare un modello per «essere come lui» si fonda sul bisogno di avere affetto, sicurezza e competenza. L’identificazione permette l’assunzione di atteggiamenti, valori, ruoli: come tale rappresenta un importante momento del processo educativo.

Per essere bene compresa e valorizzata l’identificazione deve essere correlata con la nozione di identità.

 

1.2. Accezioni particolari

Nell’ambito della psicoanalisi abbiamo una notevole ricchezza di contributi e varietà di posizioni nei riguardi del dinamismo dell’identificazione. Sintetizzando, possiamo menzionare:

—​​ l’indirizzo freudiano​​ (di Sigmund e Anna Freud), che distingue tra identificazione primaria (incorporativa) e secondaria (imitativa) degli oggetti di amore-odio, che sono i genitori o i loro sostituti (insegnanti, educatori, eroi dei fumetti, ecc.). Il carattere narcisistico dell’identificazione può comportare anche turbe nella formazione della personalità (come, ad esempio, dissociazioni, isterismo, omosessualità, ecc.);

—​​ l’indirizzo kleiniano​​ (di Melaina Klein), che approfondisce soprattutto la relazione madre-bambino e analizza più compiutamente le modalità di introiezione secondo cui questo dinamismo si instaura;

—​​ il contributo di Spitz,​​ che perfeziona il meccanismo dell’identificazione con l’aggressore e approfondisce la valenza della «negazione» (la tendenza oppositoria a dire sempre di «no») ai fini dello sviluppo dell’autocoscienza e dell’autonomia;

—​​ l’indirizzo lacanìano​​ (di Jacques Lacan), per il quale l’identificazione rende possibile il passaggio dallo stadio immaginario a quello simbolico e del linguaggio.

Al di fuori della psicoanalisi, si ritrovano​​ altri approcci​​ (strutturalismo, behaviorismo, cognitivismo, teoria dei sistemi, ecc.) che nella nozione di identificazione sottolineano l’importanza di fattori diversi da quello psico-sessuale. Senza trattarne esplicitamente, ne riprenderemo alcuni assunti nel momento applicativo.

 

2. Il processo di identificazione

2.1. Dinamica dell’identificazione in funzione dell’identità

L’identificazione gioca un ruolo determinante nella genesi dell’identità personale e sociale: si perviene infatti all’identità attraverso successive identificazioni. «Senza il fenomeno di identificazione con chi è trasmettitore di tradizione, l’uomo non potrebbe avere un sentimento della sua identità» (Lorenz, 1973).

Anche la socializzazione e l’acculturazione entrano in questa ottica: il dinamismo dell’identificazione, basato sul modellamento (anche al dire dei comportamentisti), permette all’essere umano di interiorizzare le attese, le norme e i valori sociali.

Il processo di identificazione, fondato sull’ambivalenza di amore-odio, dipendenza-controdipendenza, rispetto-denigrazione, pervade l’infanzia e attraverso l’adolescenza si estende alle età successive. Attraverso l’identificazione l’individuo cerca di sfuggire all’«angoscia di identità», che si instaura nella relazione con sé e con gli altri. Identificandosi con il sé rigido e immaturo e con l’altro «onnipotente», il bambino ma anche l’adolescente e il giovane cercano di evitare l’angoscia di abbandono e di separazione che l’autonomia, l’indipendenza, l’originalità, e — perché no — anche la «vocazione» comporterebbero.

L’identificazione in alcuni casi può rafforzare la dipendenza e il sentimento di inferiorità se l’io si conforma alle attese degli altri per paura o costrizione. Ma il più delle volte l’identificazione consente di assumere le caratteristiche positive e desiderabili dell’altro o dell’ideale in quanto fonte di realizzazione e rassicurazione. Assimilandosi a un modello o a un adulto apprezzabile e significativo, il bambino e l’adolescente si affermano in quanto costruiscono una diversa rappresentazione di sé, cioè una identificazione successiva che progressivamente conduce all’emergere di una propria, anche se sempre incompiuta, identità.

«Tale è il paradosso dell’identificazione: divenendo quest’altro che non è, il bambino (e — aggiungiamo — l’adolescente, il giovane e l’adulto) diventa sé stesso» (Tap, 1979).

In altri termini, l’identificazione funziona da traino o volano per il divenire dell’identità. Identificandosi con uno «più grande di sé» il bambino prepara un progetto di sé e l’adolescente e il giovane costruiscono un progetto futuro di uomo e di società. Applicata all’identità cristiana, non è chi non veda l’importanza della progressiva «identificazione eristica», «finché arriviamo tutti allo stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,15).

2.2. Fasi dell’identificazione verso l’identità

Sono state evidenziate quattro forme dell’identificazione che si manifestano in ambiti diversi dello sviluppo, dall’infanzia all’adolescenza e alla giovinezza (Tap, ibidem):

1.​​ l’identificazione di dipendenza,​​ che cercando affetto, protezione e sicurezza eclissa l’affermazione di sé e l’identità. Avrebbe per prototipo quella che si instaura nella prima infanzia nel rapporto genitoriale;

2.​​ l’identificazione con l’aggressore,​​ che alla ricerca di affetto, dipendenza e imitazione, alterna aggressività, opposizione e rifiuto. Iniziata nell’infanzia, si espande massimamente dall’adolescenza quando i genitori o gli adulti assimilati, contrapponendosi, ottengono negazione e controdipendenza;

3.​​ l’identificazione speculare,​​ che permette di elaborare una rappresentazione di sé «attraverso gli occhi degli altri». Oltre che nell’infanzia, essa avviene nella preadolescenza e nella adolescenza dove, ad esempio, l’amicizia, il gruppo e l’ambiente sociale rappresentano «un tu per costruire sé stessi»;

4.​​ l’identificazione col progetto,​​ che permette di andare «al di là dello specchio», costruendo un’immagine ideale di sé e di società che consenta di fondare la futura personale identità. La progettualità, collegata ai valori, conduce l’adolescente e il giovane ad allargare gli orizzonti verso l’oggettività e la trascendenza.

Questo processo dinamico, e perciò conflittuale, comporta essenzialmente sofferenza e crisi. Da ciò si comprende, tra l’altro, come in un tempo che tende a eliminare ogni frustrazione e sofferenza, un tempo in cui la morte stessa viene addolcita ed esorcizzata, si rendono estremamente difficili le condizioni che tale processo presuppone e richiede per vivere da uomo il «mestiere di uomo».

3. Una tipologia delle principali identificazioni

Prescindendo in questa sede da quelle infantili, peraltro in precedenza accennate, crediamo opportuno individuare alcune delie principali identificazioni che interessano la pastorale giovanile, disponendole attorno ai tre livelli evolutivi della preadolescenza, della adolescenza e della giovinezza.

3.1. A livello di preadolescenti

La preadolescenza (10-11-14 anni) è un’età che sembra aver trovato recentemente una sua specificità, non solo per la precocità di alcune dimensioni evolutive (come il distanziamento dalla protezione familiare e l’ingresso anticipato nel mondo sociale attraverso la socializzazione dei «pari»), ma soprattutto per l’avvio di una identità che — almeno nei nostri contesti — era un tempo compito tradizionalmente riservato all’adolescenza vera e propria.

Ecco come si presenta il panorama delle identificazioni nella preadolescenza e il loro lento procedere verso l’identità (Del Core, 1986):

—​​ persiste l’identificazione con modelli parentali​​ (genitori e assimilati) ma essa diminuisce progressivamente («desatellizzazione» al dire di Ausubel);

—​​ si dilata l’identificazione relazionale con i «pari»,​​ attraverso l’attrattiva sessuale, l’amicizia e la vita di gruppo;

—​​ diviene massiccia l’identificazione sociale,​​ attraverso l’assimilazione di modelli esteriorizzati e di facile fruizione, mutuati dal mondo dello sport e dello spettacolo. Attraverso queste identificazioni e in forza di esse, il preadolescente perviene a una più approfondita conoscenza di sé e a una progressiva transizione verso l’identità. Questa «transizionalità» che sembra caratterizzare il cammino preadolescenziale verso l’identità può essere caratterizzata attraverso una serie di segni con cui viene vissuto il processo identificatorio (Tonolo, 1988):

—​​ un allargamento della prospettiva temporale​​ intesa come sentimento della propria continuità in direzione del futuro;

—​​ una migliore messa a fuoco del concetto di sé,​​ ottenuta mediante etero-valutazione e conquista di nuovi spazi territoriali e sociali;

—​​ un inizio di sperimentazione di nuovi ruoli​​ e più personalizzati;

—​​ una migliore auto-definizione emotiva, affettiva e sessuale,​​ a seguito dello sviluppo puberale intervenuto;

—​​ una progressiva uscita dalla dipendenza famigliare​​ con una percezione più chiara e viva di nuovi ambiti di autonomia personale;

—​​ l’avvio graduale verso l’elaborazione di un progetto di vita,​​ anche se a questa età la progettualità è un’istanza che rimane piuttosto implicita, germinale e conseguita a livello operativo-pratico.

3.2. A livello di adolescenti

L’adolescenza (14-15-17 anni) è per antonomasia l’età del «travaglio» per la nascita dell’identità, che diviene attraverso molteplici, successive e sovente contraddittorie identificazioni. Nell’attuale società complessa e diversificata questa età non appare più omogenea: abbiamo svariate adolescenze in rapporto ai diversi contesti ambientali e culturali (Lutte 1987; indagine CENSIS, 1986)

I principali fenomeni di identificazione attraverso cui gli adolescenti d’oggi tentano di costruire le loro «imperfette» identità possono essere richiamati attorno alle aree seguenti:

—​​ area istituzionale​​ (famiglia, scuola, chiesa, ecc.) e della comunicazione con gli adulti, dove si instaurano processi di emancipazione e di incomunicabilità e conflitto;

—​​ area delle agenzie informali​​ (gruppo dei pari) e dei mass-media, dove l’identificazione avviene in forma massiccia e con esiti incerti, oscillando tra dipendenza e conformismo da una parte e sperimentazione critica di nuovi spazi di autonomia dall’altra;

—​​ area delle relazioni affettive e sessuali,​​ in cui le identificazioni si producono al massimo grado e con esito ancora ambivalente, dalla ricerca narcisistica (tipica dell’innamoramento) alla scoperta — attraverso molte sofferenze e crisi — dell’amore (tappa quest’ultima che permette all’adolescente di integrare la conquista dell’autonomia personale su un piano di parità con una persona diversa da sé e affettivamente significativa);

—​​ area della religiosità,​​ dove si consuma l’abbandono quasi generalizzato della pratica religiosa infantile e, attraverso il dubbio, la crisi e nuove esperienze religiose, è possibile — sia pure per un numero ridotto degli adolescenti d’oggi — pervenire a una personale rielaborazione della religiosità;

—​​ area del tempo libero​​ (sport, musica, divertimenti, viaggi, ecc.) dove l’adolescente d’oggi — in ciò facilitato da un consumismo pervasivo — può rafforzare le identificazioni dell’imitazione e del conformismo ma anche progredire verso una più libera e autonoma realizzazione di sé;

—​​ area del lavoro e della professione,​​ dove si assiste a una notevole diversificazione tra adolescenti lavoratori e studenti in ordine all’identità professionale;

—​​ area della cultura e della politica,​​ dove l’adolescente appare ancora immerso nel condizionamento e ben lontano da elaborare proposte alternative, salvo la creazione di una «sub-cultura adolescenziale» i cui tratti evidenziano modalità relazionali e sperimentazioni centrate perlopiù sul sociale privato e «pre-politico»;

—​​ area del progetto di vita e della vocazione,​​ dove l’adolescente può vivere l’appello ai valori e la risposta a un disegno di Dio su di lui con notevole risonanza emozionale e mediante la elaborazione di una prima ipotesi di coinvolgimento, sempre però con la tentazione di ripiegarsi nell’indifferenza o immergersi nella banalità della vita quotidiana. Nell’adolescenza, dato il modo irruente e travagliato di vivere il passaggio dalle identificazioni all’identità, è logico attendersi non solo percorsi contraddittori, frammentati e differenziati, ma disturbati e talora anche squilibrati, con confusioni, crisi e perdita di identità. È il caso della devianza in tutte le forme con cui essa oggi si presenta (disagio adolescenziale, disadattamento, turbe sessuali, fughe, suicidi, tossicodipendenza, violenza, criminalità). È appena il caso di notare che nell’età maggiormente esposta al rischio si compiono i passi più decisivi per la formazione della personalità e la costruzione dell’identità.

3.3. A livello di giovani

L’età della giovinezza, che indicativamente inizia verso i 17-18 anni e si estende al decennio successivo (e da molti ritenuta oggi come un prolungamento dell’adolescenza), comporta la conquista di diversi traguardi nella formazione dell’identità. Ci pare tuttavia di dover affermare che in questo divenire (e non sarebbe logico attendersi diversamente) permangono — in forza soprattutto dei condizionamenti socio-culturali — consistenti forme di identificazione da dipendenza, imitazione e conformismo che contribuiscono a definire quella dei giovani d’oggi una «identità debole» o una identità per un tempo di crisi eccezionale.

Nel panorama ampiamente documentato da decenni di ricerche sulla cultura e condizione giovanile isoliamo alcune situazioni nelle quali appare più manifesto e operante il fenomeno identificatorio:

—​​ l’inconsistenza personale​​ a livello di scarsa o problematica integrazione di sé, per dipendenza tra l’altro dal consumismo e acquiescenza alle mode culturali prodotte dalle ideologie dominanti nel nostro tempo;

—​​ l’affettività fusionale,​​ già evidenziata a livello adolescenziale e ampiamente presente anche nel mondo giovanile, con la ricerca esasperata di gratificazioni nei rapporti interpersonali e di coppia;

—​​ la «gruppo-dipendenza»,​​ cui si può aggiungere la «comunità-dipendenza» per i fenomeni della tossicodipendenza e della devianza: la spinta all’appartenenza è sovente determinata da ricerca di sostegno, protezione, dipendenza e riconoscimento; ciò è visibile in molti gruppi, soprattutto in ambito ludico, ideologico, terapeutico, religioso;

—​​ la disaffezione lavorativa,​​ che può essere motivata giustamente da reali problemi di inoccupazione, disoccupazione e sottoccupazione, ma anche da difficoltà psicologiche di costruire un’identità professionale in un tempo di transizione socio-economica e lavorativa;

—​​ il disimpegno socio-politico,​​ con i fenomeni del riflusso, del «vivere alla giornata»; anche la ricerca di forme alternative di partecipazione e solidarietà, encomiabili in sé, come il volontariato e simili, possono essere inficiate dalla paura dell’impegno permanente e della radicalità;

—​​ la religiosità frammentata e soggettivizzata,​​ in bilico tra ricerca filosofica del senso della vita e consumo emozionale di esperienze di fede, soprattutto in alcuni movimenti in cui l’identificazione può raggiungere i livelli del fanatismo e del settarismo;

—​​ l’indecisione o la stagnazione​​ di fronte agli sviluppi richiesti dal progetto di sé e dalle istanze vocazionali, a motivo di paura, disimpegno, fissazione a stadi precedenti e più rassicuranti di sviluppo.

In tutte queste situazioni, segnate da ambivalenza e immaturità, si possono ritrovare le svariate forme che assume il processo di identificazione in precedenza esaminato (quali dipendenza, narcisismo, reattività, conformismo, acquiescenza, ecc.); in tal modo l’identità giovanile viene intaccata, indebolita o dissolta.

L’attenzione posta sui limiti non intende pregiudicare e sottovalutare l’apporto originale che le attuali generazioni giovanili stanno dando all’innovazione sociale e alla scoperta di nuovi percorsi per maturare la loro identità. Ci sembra doveroso tenerne conto sotto il profilo educativo-pastorale, sia per cautelare i giovani dai rischi di stagnazione e involuzione in cui possono incorrere, sia per aiutarli ad affrontare il cambio e l’autoformazione con maggior cognizione di causa e competenza.

Del resto i giovani, con le loro ambivalenze, sono lo specchio degli adulti e «la punta del pantografo» della società che li ha espressi. Il discorso fatto nei loro confronti è da estendere e applicare anche alle altre età della vita e all’intero contesto culturale.

Nell’epoca della «debole identità» i giovani stanno costruendo — tra successi e fallimenti — un nuovo orizzonte umano e culturale; e lo fanno con modalità che paradossalmente partono proprio dalle loro ambivalenze e inconsistenze in tutti gli ambiti cui abbiamo fatto cenno, ambiti nei quali il percorso dalle identificazioni all’identità, per quanto attardato, ostacolato e imperfetto che sia, appare anche rivelativo di un modo tipico, e che loro appartiene, di superare un passato «non esente da sospetti» e preparare un nuovo che è alle porte nel cambio epocale senza precedenti che stiamo vivendo.

 

4. Implicanze educative e pastorali

Il delicato tema dell’identificazione sembra richiedere alcune attenzioni in ambito educativo e pastorale. Senza tematizzarle, ne facciamo un cenno sommario, tenendo presente che in ogni caso il discorso applicativo deve essere coerente con il tema strettamente collegato dell’identità.

4.1. Criteri di riferimento

Per una corretta valorizzazione delle identificazioni pare opportuno attenersi ad alcuni criteri che possono guidare la prassi al riguardo:

—​​ avere chiaro il concetto di identificazione,​​ conoscerne e accettarne la natura ambivalente, cioè positiva e insieme negativa, in ordine alla formazione dell’identità;

—​​ accogliere con atteggiamento aperto​​ e allo stesso tempo critico le nuove modalità che il processo identificatorio assume presso gli adolescenti e i giovani nel contesto attuale;

—​​ valorizzare debitamente la pedagogia del modello,​​ nella consapevolezza della sua indispensabilità ed efficacia, avvertendone nel contempo i limiti, mettendo in atto le condizioni per un uso veramente educativo e aprendo adolescenti e giovani all’imitazione di nuovi modelli, i testimoni della fatica di vivere e credere nel nostro tempo;

—​​ tenere ben presente il valore strumentale delle identificazioni​​ e di conseguenza saperle introdurre correttamente e usarle debitamente nel momento educativo;

—​​ coinvolgere criticamente adolescenti e giovani​​ nell’analisi dei processi di identificazione, sviluppando la loro disponibilità alla critica e alla creatività per costruire con essi i percorsi ideali e operativi che progressivamente possono condurre all’identità in ogni ambito, da quello sociale e culturale a quello ecclesiale.

4.2. Metodi da privilegiare

A livello di metodi può essere utile ricordare la valenza formativa in campo umano e cristiano delle seguenti opportunità educative:

— attuare una più armonica ed equilibrata​​ presenza della figura paterna e materna​​ in ogni contesto educativo;

valorizzare in modo critico e strumentale le​​ modalità associative e di gruppo,​​ in funzione della crescita non solo personale ma soprattutto comunitaria e sociale;

— fare la​​ scelta dell’animazione​​ nell’elaborazione e attuazione dei progetti educativi e pastorali e​​ preparare animatori​​ in grado di saper dominare i processi dell’identificazione e dell’identità;

— mirare alla​​ costruzione della comunità,​​ specialmente educativa, come ambito naturale e luogo privilegiato per vivere le identificazioni e superarle dinamicamente nella formazione di più mature identità.

 

Bibliografia

Allport G. W.,​​ Divenire,​​ Giunti-Barbera, Firenze 1968; Allport G. W.,​​ L'individuo e la sua religione,​​ La Scuoia, Brescia 1972; Arto A. - Moron M. T.,​​ Influsso parentale nello sviluppo della personalità,​​ in «Orientamenti Pedagogici», 30, 1983, 761-786; Censis (a cura di),​​ Indagine sull’età adolescenziale,​​ Ministero dell’Interno, Roma 1986; Del Core P. e altri,​​ Il preadolescente verso l’identità,​​ in​​ L’età negata. Ricerca sui preadolescenti in Italia,​​ a cura di S. De Pieri, G. Tonolo, M. Delpiano, Elle Di Ci, Leumann (TO) 1986; Erikson E. H.,​​ Gioventù e crisi di identità,​​ Armando, Roma 1974; Freud S.,​​ Introduzione allo studio della psicoanalisi,​​ Astrolabio, Roma 1948; Freud A.,​​ L’io e i meccanismi di difesa,​​ Martinelli, Firenze 1968; Godin A.,​​ Psicologia delle esperienze religiose,​​ Queriniana, Brescia 1983; Kanzer M.,​​ L’identification et ses avatars,​​ in «Revue Française de Psychoanalyse», 48, 1984, 853-872; Klein M.,​​ Sull’identificazione,​​ in «Nuove vie della psicoanalisi», Milano 1976; Lorenz K.,​​ L’altra faccia dello specchio,​​ Adelphi, Milano 1974; Lutte G.,​​ Lo sviluppo della personalità',​​ presentazione ed estratti dell’opera di David P. Ausubel, Pas-Verlag, Zurigo 1963 ; Lutte G.,​​ Psicologia degli adolescenti e dei giovani,​​ Il Mulino, Bologna 1987; Olivetti Belardinelli M.,​​ Identificazione e proiezione,​​ Cappelli, Bologna 1976; Rodriguez Tome H.,​​ La crisi dell’adolescente,​​ SEI, Torino 1977; Tap P.,​​ Identità personale e identificazione,​​ in​​ Identità personale,​​ a cura di D. Giovannini (ed), Zanichelli, Bologna 1979; Tonolo G.,​​ Le crescite nascoste,​​ in​​ Educare i preadolescenti,​​ a cura di G. Tonolo - S. De Pieri, Cospes-Iripes, Mogliano-Pordenone 1988.

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IDENTIFICAZIONE

Per i. si intende l’insieme dei processi che portano un soggetto ad assumere sia gli aspetti della​​ ​​ personalità di un’altra persona presa come modello, che le sue caratteristiche e i​​ ​​ valori; essa comporta dunque una modificazione, una riorganizzazione di modi di fare, di pensare, di desideri, interessi, ecc., per assomigliare al modello. Questa i. può anche avvenire nei riguardi di gruppi sociali e di istituzioni. Il termine, usato per la prima volta da S.​​ ​​ Freud nel 1897 in una lettera a Fliess, fu in seguito da lui modificato e variamente specificato, nonché usato nelle sue opere successive con varie accezioni. Freud però intendeva riferirsi sempre ad un meccanismo fondamentale dell’evoluzione della persona, che contribuisce alla formazione della personalità, che plasma il carattere e forma l’identità personale. Dopo Freud è stato scritto molto sull’i., considerata sia un meccanismo di difesa che un processo evolutivo normale.

1. L’i. è vista dai teorici della personalità come uno stato a cui la persona giunge attraverso un processo di imitazione di un modello che, nei primi anni, è rappresentato dai genitori; successivamente il fanciullo si identifica con altre figure quali fratelli più grandi, amici, personaggi dello spettacolo ed altri. Facilita il processo di i. la presenza di una dimensione affettiva e la percezione di una somiglianza tra il soggetto ed il modello, nonché la consapevolezza del prestigio e della competenza del modello stesso. Non uno solo di questi fattori determina l’i., ma l’interazione di tutti e tre, anche se con peso diverso. Il processo, inoltre, è sempre presente, sia pure in varie forme, lungo tutto l’arco della vita della persona e può essere usato per affrontare meglio la separazione da oggetti d’amore. Sono state individuate diverse modalità di i. che hanno preso vari nomi. Ricordiamo così l’i. «anaclitica» che avvenendo nel primo periodo di vita del bambino ha come oggetto la madre e si presenta come uno stato di fusione con lei, con durata non prevedibile.

2. Un’altra forma, identificata da A.​​ ​​ Freud, è l’i. con l’«aggressore», che compare nel bambino verso i 15-18 mesi d’età, epoca in cui cominciano ad apparire in lui le prime spinte verso l’autonomia in contrasto con le regole imposte dalla madre. In questa situazione che il bambino percepisce come difficile per lui, egli introietta alcuni aspetti dell’onnipotenza attiva ed aggressiva che sente posseduti dalla madre al fine di ridurre l’​​ ​​ ansia. Verso i 3-6 anni ricompare nuovamente la spinta all’i., ma questa volta essa ha per oggetto il genitore del sesso opposto percepito troppo potente per venir attaccato direttamente, è interessante tener presente che a volte è possibile identificarsi non con l’aggressore, ma con l’aggressione subita o anche soltanto immaginata.

3. Vi sono poi dei tipi di i. che si basano su processi di esteriorizzazione, e fra questi ricordiamo l’i. «proiettiva», concetto moto dibattuto e su cui ci sono posizioni diverse; in generale essa consiste nel proiettare parti del Sé su di un oggetto esterno. Se la persona che riceve la proiezione è disposta ad accoglierla ed a restituirla al soggetto alleggerita e resa più sopportabile, accompagnandola con un atteggiamento affettuoso, l’esito di tale proiezione sarà positivo. Vi sarà al contrario un esito negativo se la proiezione viene respinta dalla persona ed anzi caricata di aspetti personali spiacevoli e cattivi. Ciò avviene, di solito, a causa dei problemi delle persone oggetto della proiezione. Sempre in questo settore ricordiamo quel tipo di i. che si può chiamare di «dipendenza» in quanto la persona sente di poter vivere solo in un rapporto di amore e di sicurezza offertole da un’altra persona a lei cara. Va tenuto presente che questa i. è diversa da quella chiamata «speculare» in quanto in questa il soggetto dà solo importanza alle somiglianze con sé individuate nell’altro e in cui considera l’altro come la copia di se stesso. Questo costituisce un pericolo in quanto, per la formazione di una corretta immagine di sé, è necessario che l’altro sia percepito come differente da se stesso. Pure basata su meccanismi di esteriorizzazione, è l’i. chiamata «imitativa» o «adesiva» che però è molto diversa dalle precedenti in quanto il soggetto si identifica solo con l’apparenza esterna ed il comportamento dell’altro senza che nella sua personalità si verifichino modificazioni profonde. Ma, se la modalità identificatoria non si ferma a questo, anche tale particolare tipo di i. può essere positiva in quanto permette di fare esperienze di successi o di sconfitte attraverso l’uso dell’onnipotenza e delle caratteristiche dell’altro, fino a giungere a saper dominare il mondo delle cose, a sapersi adattare alle situazioni, ad organizzarsi nelle azioni in maniera personale e creativa.

4. Da quanto esposto è facile individuare quante e quali siano le difficoltà insite nel processo di i. intrapreso da ogni persona poiché esso potrebbe anche avere un esito patologico qualora l’oggetto di i. non fosse empaticamente disponibile come modello. Si può individuare in questi ed in altri tipi di i. anche una caratteristica protettiva quando essi permettono alla persona di sottrarsi per qualche tempo a forze avverse che vorrebbero privarla con violenza della possibilità di crescere e di vivere la propria affettività, non consentendole così di costruire o conservare la propria identità; se grazie all’i. la persona può guadagnare del tempo per riorganizzare le proprie capacità di reazione agli eventi, si può cogliere la positività di tale funzione. Le varie i. hanno anche un ruolo positivo e di aiuto nella crescita quando, grazie all’i. con un modello positivo e gratificante, viene permessa l’interiorizzazione delle norme, la formazione della coscienza, e quella di atteggiamenti specifici del proprio sesso, nonché una soddisfacente​​ ​​ socializzazione.

Bibliografia

Freud S., «Minute teoriche per Wilhelm Fliess», in S. Freud,​​ Opere 1892-1897. Progetto di una psicologia ed altri scritti,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1968, 58-63; Schafer R.,​​ Aspetti dell’interiorizzazione,​​ Roma, Armando, 1972; Grinberg L.,​​ Teoria dell’i.,​​ Torino, Loescher, 1982; Erikson E. H.,​​ Gioventù e crisi di identità,​​ Roma, Armando, 1984; Sandler J.,​​ Proiezione,​​ i.,​​ i. proiettiva,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1988; D’Alessio C.,​​ Il fanciullo dotato. I. e ambiente educativo, Salerno, Edisud, 2002.

W. Visconti

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