GROUP-MEDIA

 

GROUP-MEDIA

1.​​ Mass-media/group-media: criteri per una distinzione.​​ A prima vista la distinzione sembra essere semplice:

— da una parte la stampa, la radio, il cinema, la televisione (con il sistema di trasmissione via antenna, via cavo, via satellite), teletext, le agenzie di informazione, le banche dati, le case discografiche, i grandi circuiti teatrali;

— dall’altra il disegno, il manifesto, il canto, il mimo, la danza, la fotografia, la diapositiva, i piccoli proiettori, il registratore audio e video, la radio locale, il volantino, il ciclostile...

Il criterio di distinzione è quello​​ dell'accessibilità​​ considerata dal punto di vista economico, tecnico ed espressivo:

— sono mass-media quelli che hanno bisogno di un grande pubblico indifferenziato, di un’alta concentrazione di capitali e know-how tecnico, di grande professionalità manageriale;

— sono group-media quelli che si rivolgono a un numero ristretto di fruitori e sono acquistabili, gestibili dal singolo o dal piccolo gruppo: le pur necessarie abilità tecnicoartistiche non sono tali da essere riscontrabili solo in chi ne abbia fatto la sua professione.

Ad un esame un po’ più attento però il criterio dell’accessibilità agli strumenti non è così universale ed efficace. Non riesce infatti a discriminare realmente i due gruppi di media: ciò che fa parte dei group-media in un posto, non lo è necessariamente in un altro. Ad esempio, la macchina fotografica: se la struttura culturale, economica, tecnologica dell’ambiente in cui si lavora è lontana da quella in cui la macchina fotografica trova normale utilizzazione, essa può convertirsi in uno strumento che conferma il potere di un singolo sugli altri e toglie spazio alle forme di comunicazione tipiche del gruppo e della cultura locale. Può essere come un corpo estraneo, utile forse a documentare altri sulla comunità, ma non ad ampliare i suoi spazi di comunicazione. La stessa cosa può essere detta del videoregistratore, dei proiettori, del ciclostile.

Se poi si valuta la distinzione proposta dal punto di vista dei programmi le cose non si chiariscono:

— programmi elaborati per un pubblico di massa possono essere utilizzati in modo eccellente anche dal gruppo;

— programmi costruiti dal o per il gruppo possono essere diffusi nei grandi circuiti; — un programma può essere pensato contemporaneamente per una doppia utilizzazione, per una diffusione su larga scala e per l’attività dei gruppi (esempio tipico la produzione SERPAL in America Latina).

Neppure il fatto che la comunicazione avvenga in un gruppo piuttosto che essere rivolta a una massa indifferenziata di persone è senz’altro garanzia di maggior partecipazione, di maggior libertà di espressione: il gruppo può essere luogo deresponsabilizzante; si può condizionare il pubblico esercitando uno stretto controllo sui mass-media, ma si può condizionare il singolo in modo molto più efficace lavorando a livello di gruppo.

A questo punto sembra chiaro che la polarizzazione del discorso in termini contrapposti (mass-media​​ no,​​ group-media​​ sì) non è feconda. Sarebbe tuttavia un grave errore lasciar cadere il dibattito senza accorgersi che esso nasce dalla chiara percezione dell’inadeguatezza della comunicazione ecclesiale. L’opzione group-media non è anzitutto un problema di mezzi o di programmi o di efficacia pedagogica: è ricerca di una comunicazione umanamente vera, è nostalgia di una comunità dove sia possibile credere, pregare, agire insieme, rimanendo contemporanei al nostro mondo. È urgente far emergere le ragioni che sollecitano il cambio ed elaborare dei criteri con cui fondare una strategia pastorale della comunicazione.

2.​​ Mass-media e group-media. I perché di una scelta.​​ Negli anni ’70 l’attenzione di molti operatori e teorici della comunicazione religiosa si è andata spostando verso forme alternative ai mass-media. Il convegno mondiale​​ Audiovisivo ed Evangelizzazione​​ del 1977 a Monaco di Baviera, se vide la contrapposizione delle due parti — prò e contro i mezzi di comunicazione di massa — fu anche la conferma della nuova attenzione che gli operatori pastorali avevano per i “mezzi leggèri”.

Per alcuni la scelta​​ group-media​​ è​​ giunta​​ come conclusione di una esperienza di lavoro con i mass-media: si opta per i mezzi audiovisivi di gruppo con la convinzione che i massmedia non sono funzionali alla evangelizzazione. Un esempio significativo è padre R. Pichard: responsabile dei programmi religiosi della televisione francese, lascia nel 1970 il suo incarico, fonda presso Lisieux il centro CIDAL (Centre International de​​ Documentation​​ Audiovisuelle de Lisieux), e avvia un progetto-sfida: fare dell’audiovisivo uno spazio privilegiato di ricerca e di dialogo per la piccola comunità locale di Hòtellerie (200 abitanti).

Per alcuni altri la scelta​​ group-media​​ è applicazione coerente di una decisione più globale. È il caso di molti operatori in America Latina. Chi si è schierato per una pedagogia, una teologia liberatrice, quando si tratta di annunciare il messaggio religioso non può scendere a patti con strutture giornalistiche, radiofoniche, televisive funzionali allo statu quo; per non soccombere a compromessi e condizionamenti deve ricorrere a mezzi economicamente autonomi, non facilmente ricattabili: si scelgono mezzi poveri e forme di comunicazione proprie alla gente con cui si compie il cammino di liberazione.

Per altri la scelta dell’audiovisivo di gruppo è maturata dalla sfiducia per i mezzi tradizionalmente utilizzati nella C.: le formule, il testo scritto, la struttura “scuola”. Tra questi c’è chi vede nell’audiovisivo uno strumento potente che gli garantirebbe il controllo sul gruppo e l’efficacia nella trasmissione del suo sapere; ma c’è anche chi — come Pierre Babin — si “converte” all’audiovisivo per ragioni fondate sull’intuizione che l’avvento delle nuove tecnologie di comunicazione sta cambiando la cultura e l’uomo stesso: per dialogare con l’uomo d’oggi sono necessari un linguaggio ed uno stile comunicativo nuovi (P. Babin,​​ J’abandonne la catéchèse,​​ in “Catéchistes” 19 [1968] 76, 415-428).

Sono tutti fermenti che hanno fatto maturare nella Chiesa l’attenzione per i group-media. Va anche osservato che contemporaneamente gli studi sulla comunicazione umana facevano ampi progressi, e questi non potevano non aver influsso sulla riflessione catechetica: si è così ridimensionato lo strapotere attribuito ai mass-media, riconoscendo un’importanza decisiva alla comunicazione interpersonale, ai gruppi cui ciascuno appartiene, ai leaders d’opinione; si è messo in evidenza il ruolo attivo e critico del ricevente stesso...

3.​​ Il gruppo, la comunità come luogo della comunicazione.​​ La vera novità che oggi si impone e che sta alla base dell’opzione “group-media” è la scelta dell’autenticità nella comunicazione: è necessario garantire con ogni mezzo a disposizione che l’annuncio della Parola avvenga nel rispetto sia dell’originalità del Messaggio che della dignità della persona.

Il massimo di autenticità nella comunicazione si realizza all’interno di una comunità umanamente viva, dove il singolo è accolto e partecipa — ciascuno con pari dignità — alla gestione dell’informazione.

Per il cristiano — da sempre — la comunità è il luogo privilegiato dove si incontra la Parola, dove la si accoglie, la si riesprime in opera e preghiera: il dialogo è esercizio del sacerdozio comune, garanzia di fedeltà al mandato di Cristo.

Di fronte ad una società che per ragioni economiche, politiche, organizzative tende a identificare i singoli attraverso dei numeri e a considerarli “massa”, inderogabile è oggi per la Chiesa l’opzione​​ comunità.​​ Fare questa opzione comporta una certa politica a livello di comunicazione:

— Tutto ciò che può alterare in modo negativo o bloccare le reti di comunicazione proprie di un gruppo verrà lasciato cadere (non ogni mezzo, anche se gestibile da un singolo, troverà spazio).

— Tutto ciò che ricupera e approfondisce la vita di comunità è privilegiato: in questo senso è doveroso dare priorità alle forme di comunicazione dove i singoli sono soggetti attivi: il dialogo, il canto, la danza, il mimo, la festa; ma anche la radio, la fotografia, il videoregistratore..., a seconda della situazione concreta in cui si vive.

— L’immagine e il suono sono linguaggi particolarmente validi per conoscere, dire, celebrare il mistero di Dio e la vita dell’uomo; quanto si riesce a far percepire con l’audiovisivo può essere molto più intenso e vero di quanto non sia comunicabile attraverso le parole, tanto più che le parole tecniche, utili ad un discorso approfondito, spesso non sono conosciute; e un messaggio espresso in immagini e suono può facilmente divenire area comune di riflessione e di dialogo, dove ciascuno si sente libero di intervenire. (Ciò non significa però misconoscere il ruolo della parola e della razionalità; non basta infatti essere affascinati da una proposta di fede; è indispensabile giungere — e far giungere — ad una comprensione sufficiente delle ragioni che sostengono la propria speranza).

— La scelta della comunicazione a dimensione comunitaria non deve fare escludere la doverosità di un servizio a livello di massmedia, soprattutto quando risultasse che gran parte della gente ha come fonte di informazione quasi esclusiva i mass-media: a condizione che il sistema di comunicazione sociale in cui si opera non sia tale da rendere ambigua la proposta cristiana e che non si pretenda di trasformare i programmi in prolungamenti o surrogati delle forme di comunicazione e celebrazione proprie della vita comunitaria.

— In questa prospettiva il presbitero, il catechista, l’educatore cambiano in parte la modalità della loro presenza all’interno della comunità: ieri erano i depositari di una tradizione già fissata nelle sue formulazioni, e queste ciascuno doveva saper accogliere e ridire; oggi devono vivere in profondità la speranza cristiana, conoscerne le ragioni e guidare il lavoro di scoperta, di appropriazione e di annuncio. Non sono più soltanto trasmettitori di un messaggio: sono​​ garanti della comunicazione nella comunità.

Bibliografia

P.​​ Babin​​ et al.,​​ L’audiovisivo e la fede,​​ Leumann-Torino, LDC, 1970; A.​​ Baptiste –​​ C.​​ Belisle,​​ Photo/méthode. Comment utiliser​​ photolanguage”​​ pour les travaux de groupe,​​ Lyon, Ed. du Chalet, 1978;​​ E. Calzavara – E. Celli,​​ Audiovisivo: attualità e mitologia,​​ Torino, SEI, 1975; M. P. Giudici et al.,​​ Vedo, ascolto e penso. I ragazzi e la comunicazione audiovisiva,​​ Roma, AVE, 1977;​​ Medien Praxis​​ (serie di fascicoli), Frankfurt/M,​​ Katholisches Filmwerk,​​ 1976-1979; D.​​ J.​​ Saunders,​​ Visual​​ communication​​ handbook. Teaching and learning using simple visual materials,​​ Guilford, United Society for Christian Literature, 1979.

Franco Lever

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