GESÙ CRISTO
Angelo Amato
1. Gesù Cristo nella cultura contemporanea
1.1. Una cristologia «dal di fuori»?
1.2. La comprensione «umanistica» di Gesù
1.3. La comprensione «religiosa» di Gesù
1.4. La comprensione «letteraria» di Gesù
1.5. Gesù nella cultura «giovanile»
1.6. La comprensione «teologica» di Gesù
1.7. Il Cristo biblico-ecclesiale
2. I contenuti normativi dell’annuncio cristologico
2.1. La narrazione della storia di Gesù
2.2. La presenza personale di Gesù come il Vivente oggi nella Chiesa, in continuità con il dato biblico e l’intera tradizione ecclesiale
2.3. La confessione dì Gesù come salvatore assoluto e definitivo
2.3.1. Significato di questa pretesa
2.3.2. Fondamento di questa pretesa
2.4. La rilevanza salvifica del Cristo biblico-ecclesiale
3. Criteri pastorali dell’annuncio cristologico
3.1. Il vissuto «personale»
3.2. Il vissuto «comunitario»
3.3. Il vissuto «salvifico»
3.4. Il vissuto «culturale»
1. Gesù Cristo nella cultura contemporanea
Gesù Cristo ha di fatto un posto centrale nella storia dell’umanità. Nonostante l’esistenza di altri calendari il comune computo del tempo su scala mondiale viene fatto a partire dalla sua vicenda terrena. Fra qualche anno si celebrerà il secondo millennio della sua nascita. L’influsso di Gesù, però, non è solo estrinseco. La sua opera e il suo messaggio, conosciuto e trasmesso mediante la sua Chiesa, pervade anche il mondo non cristiano. Gli aneliti religiosi, morali e sociali di gran parte della cultura contemporanea trovano spesso ispirazione e sostegno nella figura del fondatore del cristianesimo, che si conferma personaggio di perenne attualità.
1.1. Una cristologia «dal di fuori»?
Nella cultura mondiale sono disponibili significative comprensioni non cristiane di Gesù Cristo, che si presenta come una fonte inesauribile di intelligenza profonda dell’uomo e di recupero della sua autentica umanità. Nonostante un diffuso atteggiamento di indifferentismo religioso, Gesù Cristo appare ancora come colui che può svelare l’uomo all’uomo, restituendo all’umanità il suo autentico significato e il suo valore. Questo ritratto non specificamente cristiano di Gesù — qualche volta chiamato anche «cristologia dal di fuori» — rappresenta un’originale conquista dell’uomo d’oggi alla ricerca del vero volto di Dio e della propria identità umana.
1.2. La comprensione «umanistica» di Gesù
Tale comprensione è propria del pensiero filosofico occidentale, soprattutto a partire da Spinoza e dalla demolizione da lui operata della religione rivelata e quindi della negazione della divinità di Gesù Cristo e della necessità della sua redenzione. Nonostante la presenza di un’importante corrente di filosofia specificamente «cristiana», sembra prevalere oggi l’interpretazione cristologica di K. Jaspers, che, pur ritenendo Gesù il più decisivo degli uomini «normativi», lo considerava tuttavia un semplice uomo al pari di Socrate, Buddha e Confucio. In questa tendenza umanistica si situa, ad esempio, l’interpretazione marxista. Dopo il superamento teorico della corrente «mitologica», che riteneva Gesù come un’invenzione fraudolenta della primitiva comunità cristiana, e dopo l’affermazione della corrente «storica», che collega invece il cristianesimo alla figura storica del suo fondatore, una recente posizione «neomarxista» ha rivalutato in modo efficace il personaggio Gesù di Nazaret, considerandolo un modello di umanità rivoluzionaria liberata e liberante. Gesù viene visto come un uomo aperto, soggetto di azione creatrice, capace di superare continuamente i suoi orizzonti (V. Gardavsky); o come esempio di radicale autenticità, capace di esprimere liberamente la verità e di difenderla senza compromessi (L. Kolakovsky). Questa immagine eretica e ribelle di Gesù (E. Bloch) rappresenta per non pochi neomarxisti una continua fonte di ispirazione. Liberato dalla sua trascendenza, Gesù rivelerebbe il vero nucleo del suo messaggio, che sarebbe essenzialmente terreno e sociale (M. Machovec, F. Belo). Questa interpretazione umanistica scopre in lui valori significativi per l’uomo contemporaneo, come, ad esempio, la rivalutazione del personale, l’invito a una ortoprassi più liberante per tutti, l’eliminazione della violenza nei rapporti umani, l’invito a non vivere di solo pane, l’abolizione dell’idea di popolo eletto, il continuo ricordo della miseria fisica della temporalità.
1.3. La comprensione «religiosa» di Gesù
In questa interpretazione presente nelle religioni non cristiane si apprezza in modo particolare la dimensione religiosa di Gesù e cioè il suo rapporto con Dio. Secondo l’induismo Gesù è un «avatara», cioè un’incarnazione plenaria e salvifica di Dio. Egli sarebbe pertanto uno dei più grandi maestri spirituali, modello di moralità e di unione con Dio. Per l’Islam Gesù è il più santo dei profeti prima di Maometto e il suo messaggio e soprattutto il suo discorso della montagna provoca ancora ammirazione e rispetto. Anche il buddhismo pone Gesù accanto a Buddha e Confucio tra i grandi saggi dell’oriente. Nel giudaismo, a partire dal secondo dopoguerra, è in atto una positiva riconsiderazione di Gesù, non più chiamato dispregiativamente «quell’uomo», ma accolto invece come «grande fratello ebreo» (M. Buber, G. Vermes, S. Ben Chorin) e come «rabbino» e cioè interprete ufficiale della legge mosaica (P. Lapide, H. Falk). Questo ritratto religioso di Gesù visto come incarnazione salvifica di Dio e come profeta e testimone della verità sull’uomo e su Dio coglie un aspetto essenziale della sua personalità.
Al pari di quella umanistica anche questa interpretazione non prende in considerazione o rifiuta il riconoscimento della divinità di Gesù. Questa cristologia dal di fuori pertanto si presenta come un processo non solo di comprensione, ma anche di assimilazione parziale dell’autentica realtà di Gesù Cristo, considerato o come semplice modello di umanità o come uno dei tanti mediatori esemplari tra l’uomo e Dio. Questa interpretazione riduttiva si ritrova anche in non poche sette non cristiane (cf la Chiesa dell’unificazione di Sun M. Moon o la «Christian Science» di Mary Baker-Eddy [1821-1910]).
1.4. La comprensione «letteraria» di Gesù
Intendiamo qui per letteratura quell’evento altamente ispirato che è alla base di ogni opera d’arte a livello universale. In tal senso essa diventa lo specchio della realtà nei suoi aspetti più dinamicamente umani e religiosi, quali la vita, la morte, l’amore, l’odio, il dolore, la gioia, la preghiera, l’imprecazione, la caduta, la conversione, lo smarrimento, il ritorno.
Dotato del dono della parola, l’autentico letterato diventa l’interprete e il profeta dell’uomo e della società. La letteratura appare quindi come una prospettiva utile per la decifrazione del divino e dell’umano. Tra i tanti ritratti letterari di Gesù ne suggeriamo due particolarmente suggestivi per la cultura giovanile di tutti i tempi. Nel Cristo nascosto — cf l’Idiota di F. Dostoiewsky — il riferimento a Gesù è indiretto, anche se la sua santa presenza è avvertita come l’unica autentica chiave di soluzione dell’enigma umano. Nel modello del Cristo epico — cf II Signore degli Anelli dello scrittore cattolico inglese J. R. R. Tolkien — personaggi e vicende circoscritte nel tempo e nello spazio diventano universale parabola della lotta del bene contro il male fino alla definitiva sconfitta del male ad opera di un salvatore divino che annienta alla radice il potere del male assoluto.
1.5. Gesù nella cultura «giovanile»
Dai non molti dati disponibili si ricava che Gesù esercita ancora un significativo richiamo per i giovani, che non restano indifferenti di fronte al suo messaggio e alla sua persona. Egli è ancora capace di provocare una risposta giovanile impegnata ed entusiastica. Spesso lo spessore teologico di tale risposta coinvolgente non è dei più consistenti. Ci sono gruppi e movimenti giovanili che hanno una precisa spiritualità cristologica, come fonte della loro formazione personale e del loro impegno ecclesiale. Nell’ultimo decennio la loro presenza e il loro influsso hanno offerto un decisivo contributo al superamento entusiastico di una certa crisi d’identità di non poche comunità cristiane. Generalmente parlando, però, la cultura giovanile sembra operare solo un aggancio superficiale all’evento Cristo, considerando Gesù come esempio di rivoluzionario e di pacifista, il cui unico messaggio sarebbe il superamento di ogni legalismo strutturale e di ogni coercizione morale e religiosa. Non rare volte, questi movimenti giovanili, ignari della tradizione ascetica e mistica della chiesa e desiderosi, d’altra parte, di profonda esperienza religiosa, si aprono a nuove spiritualità soprattutto orientali. L’esoterismo dei riti, il linguaggio nuovo, il fascino della musica, l’approccio immediato dell’io alla realtà ultima, danno luogo a strani sincretismi religiosi in cui Gesù appare spesso come un maestro di vita spirituale accanto ad altri spesso più autorevoli maestri. Al di fuori dei gruppi teologicamente attrezzati, la «cristologia giovanile» presenta alcune rilevanti carenze, come, ad esempio, l’insufficiente elaborazione biblica e teologica; la tendenza a privilegiare il proprio rapporto personale con Gesù, non rare volte al di fuori o in contrasto con la comunità ecclesiale, una insufficiente esperienza sacramentale e una certa tendenza a risolvere il proprio rapporto con Gesù a livello culturale o psicologico. Sembra ancora valido pertanto il giudizio che il sociologo G. Milanesi dava a questa comprensione giovanile di Gesù: «In definitiva si può quasi dire che l’approccio della maggioranza dei giovani alla figura di Gesù è di tipo catecumenale, qualora si intenda questo termine come equivalente ad una conoscenza ancora incompleta, provvisoria e generica di Gesù Cristo, tipica cioè di persone a cui Cristo è stato solo incoativamente annunciato» (Milanesi G., Attese, interrogativi e immagini di Gesù Cristo nella situazione giovanile oggi in Amato A. - Zevini G. (a cura), Annunciare Cristo ai giovani, LAS, Roma 1980, p. 83). Lo stesso autore però presenta anche alcune caratteristiche positive della cristologia giovanile, come, ad esempio, la coscienza della centralità di Gesù come persona e come messaggio in funzione di una matura definizione dell’esperienza religiosa dei giovani; l’attualità del messaggio di Gesù e la sua capacità di rottura rispetto al mondo contemporaneo e alle sue contraddizioni; l’affermazione della sua piena e paradigmatica umanità; l’accentuazione, infine, della dimensione esperienziale vissuta all’interno della comunità cristiana.
1.6. La comprensione «teologica» di Gesù
La lettura di Gesù nella cultura contemporanea non è priva quindi di contraddizioni e di tensioni. In essa sembra prevalere un duplice orientamento di fondo: quello umanistico, che vede in Gesù una via esemplare alla scoperta e alla valorizzazione dell’uomo e del giovane in modo particolare; quello religioso, che considera Gesù soprattutto come maestro religioso e guida privilegiata verso Dio. Gesù cioè è tramite sia per la scoperta della vera umanità, sia per rincontro autentico con Dio. In questa cristologia dal di fuori è spesso carente la considerazione di Gesù che in sé stesso è l’unica vera via salvifica dell’uomo in Dio. Anche quando questa affermazione è presente, spesso è assente la sua adeguata motivazione e fondazione. Di qui la necessità di un richiamo alla riflessione teologica normante del Cristo, elaborata all’interno del vissuto ecclesiale e sul ricco fondamento della tradizione biblica ed ecclesiale. Sia la tradizione cattolica, come quella ortodossa e protestante sono unanimi nell’affermare che Gesù è in sé stesso, nel suo evento e nella sua Chiesa animata dallo Spirito, l’unico e vero salvatore dell’umanità. I modelli teologici adoperati per l’annuncio di tale realtà variano. Mentre nella tradizione ortodossa sembra prevalere quello doxologico (della gloria), in quella protestante prevale quello staurologico (della croce). Nella riflessione cattolica contemporanea si dà una pluralità di approcci con una forte accentuazione e valorizzazione della piena umanità di Gesù Cristo e della necessità dell’inculturazione del suo messaggio. Si spiega così l’ampio ventaglio delle proposte sistematiche cattoliche contemporanee, come, ad esempio, la cristologia cosmica di P. Teilhard de Chardin, la cristologia storica di W. Kasper e B. Forte, la cristologia trascendentale di K. Rahner, la cristologia escatologica di M. Bordoni, le varie cristologie in contesto, la cristologia religioso-popolare di Puebla.
1.7. Il Cristo biblico-ecclesiale
L’esistenza di una pluralità di modelli cristologici pone il problema sia della loro legittimità a mediare nell’oggi ecclesiale l’evento Cristo, sia della loro scelta in base a precisi criteri valutativi. Di fronte alle riduzioni e alle carenze della cristologia dal di fuori e alla molteplicità dei modelli della cristologia dal di dentro ci si chiede pertanto dove e come rintracciare il vero volto di Cristo. Diciamo subito che la nostra opzione è per il Cristo biblico-ecclesiale, così come la Chiesa ce lo consegna nella Scrittura e nella sua esistenza di fede. La vita spirituale del popolo di Dio, il suo impegno di santità, di apostolato e di missione, la sua tensione ecumenica ha la sua sorgente in Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato e redentore, vero uomo e vero Dio, consustanziale al Padre e a noi. Il successo della salvezza dell’umanità è assicurato solo da questo spessore personale umano e divino del Cristo. Una pastorale non sufficientemente fondata sul Cristo biblico-ecclesiale rischia di trasformarsi in mero annuncio umanistico o genericamente religioso e non manifesta la vera identità di Gesù, che in sé stesso è l’unica via alla verità di Dio e alla salvezza dell’uomo. Il Cristo biblico-ecclesiale ha il suo luogo privilegiato nel vissuto della comunità dei credenti in lui. È nell’esperienza di fede della Chiesa che emerge l’autentico volto del Cristo. È nella Chiesa, comunità eucaristica, comunità di preghiera, comunità apostolica, comunità di peccatori salvati, che si vive ancora oggi, non come ricordo archeologico, né solo come dogma teorico, ma come realtà sperimentata, la proclamazione entusiasta che Pietro fece prima (cf Mt 16,16) e dopo la pasqua: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati» (Atti 4,12). La comunità ecclesiale è infatti fermamente convinta della totalità della salvezza dell’uomo e dell’assolutezza di tale salvezza nel Cristo. È lui che viene proclamato come il vivente, il liberatore assoluto della storia e del cosmo. In nessun altro l’uomo troverebbe il pieno significato alla sua vita, alla sua morte, alla sua gioia, al suo essere con gli altri, al suo amore, al suo lavoro, ai suoi scacchi, alla sua solitudine. È questo anche l’annuncio fondamentale di ogni pastorale cristologica ai giovani. Un annuncio tutto da motivare, ma che deve essere ribadito e professato come gratuito dono del Padre nello Spirito. «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,17).
2. I contenuti normativi dell’annuncio cristologico
Si tratta di enucleare quei pilastri fondamentali senza i quali l’annuncio cristologico non può dirsi completo e con i quali esso si qualifica in tutta la sua densità salvifica. Al tempo stesso, questi elementi costituiscono i criteri di verifica di ogni pastorale che voglia chiamarsi autenticamente cristiana e senza alibi riduzionistici. Sono quattro gli elementi fondamentali per una comprensione globale dell’evento Cristo:
1) la narrazione della sua storia;
2) l’affermazione della presenza personale di Gesù come il vivente oggi nella Chiesa, in perfetta continuità con il dato biblico e con la tradizione ecclesiale;
3) la confessione di Gesù come salvatore assoluto e definitivo;
4) la rilevanza della sua salvezza nella Chiesa e nel mondo oggi.
Questa piattaforma criteriologica non costituisce una pretesa razionalistica o apologetica, ma una sua indispensabile esigenza di verifica richiesta da Gesù stesso — «Voi chi dite che io sia?» (Mt 16,15) — e dalla domanda di giustificazione e di motivazione del giovane contemporaneo. Non si tratta poi di aree separate dell’evento Cristo, quasi a costituire quattro diversi settori del suo mistero. Si tratta invece dell’unica persona di Gesù Cristo, progressivamente avvicinata e riscoperta nella completezza del suo mistero salvifico. Aggiungiamo anche che da questi contenuti emergono altrettante istanze metodologiche della pastorale giovanile.
2.1. La narrazione della storia di Gesù
Il Cristo biblico-ecclesiale non è un’idea atemporale, né un mito o una creazione astorica della comunità cristiana primitiva.
Il primo nucleo di ogni annuncio cristologico è pertanto la narrazione della storia di Gesù di Nazaret, come fonte primaria dell’esperienza cristiana di ogni tempo e spazio. La storia è qui intesa nella sua duplice valenza di luogo di eventi reali accaduti in determinate circostanze spazio-temporali, e di luogo dell’intervento salvifico plenario di Dio. Nel cristianesimo la salvezza è data nella storia concreta di Gesù Cristo. È in lui che la storia diventa storia di salvezza. Contro ogni negazione dell’esistenza storica di Gesù, l’annuncio di fede deve riproporre la storicità inconfutabile del suo evento, come fatto accaduto duemila anni fa in Palestina nell’ambito dell’impero romano. La ricerca storica contemporanea è sempre più criticamente convinta nell’affermare che i vangeli sono il rigetto di ogni mitologia colmi come sono fino all’orlo di autentica storia. L’annuncio della salvezza cristiana — il Cristo per noi — si fonda su questa base storica. Il kerygma apostolico a Pentecoste con il suo successo strepitoso non è che la semplice narrazione della parabola storica di Gesù. È in questo evento che la fede ecclesiale trova il suo contenuto e la sua norma.
È la storia concreta di Gesù di Nazaret — la sua esistenza, i suoi gesti, le sue parole, i suoi atteggiamenti, il suo mistero pasquale — che diventa la salvezza definitiva dell’uomo. Per questo il Cristo biblico consegnatoci dal Nuovo Testamento è il polo originario e insostituibile di ogni annuncio cristologico.
2.2. La presenza personale di Gesù come il Vivente oggi nella Chiesa, in continuità con il dato biblico e l’intera tradizione ecclesiale
Ci si chiede se il Cristo dell’odierno annuncio ecclesiale — quello della professione di fede, del dogma, della religiosità popolare, della teologia, della catechesi e della pastorale — sia lo stesso Gesù di Nazaret storicamente determinato dalle fonti bibliche, o non sia stato invece indebitamente ampliato dalla fede millenaria della comunità ecclesiale, dai dogmi conciliari e dalla ricerca teologica, sì che in realtà il Cristo dell’annuncio ecclesiale risulterebbe diverso da quello della storia. Questi, ad esempio, risulterebbe indebitamente arricchito di qualità divine a lui estranee, provocando così un considerevole divario tra il Gesù della storia e il Cristo della fede. Non ci sarebbe quindi una continuità personale tra l’autentico Gesù storico e l’inautentico Cristo della fede ecclesiale.
Il nodo da sciogliere riguarda la comprensione «pneumatica» ed ecclesiale dell’evento Cristo. Si tratta cioè di ricondurre la cristologia alla sua fonte originaria, e cioè all’evento Cristo, ma letto, vissuto, approfondito e rinarrato nel tempo e nello spazio della sua comunità di fede guidata e illuminata dallo Spirito.
Per cui non solo la Scrittura, ma anche i concili, la vita liturgica, la devozione popolare, la riflessione teologica hanno offerto lungo i secoli elementi cristologici legittimi, che non hanno corrotto o indebitamente ampliato il Gesù della storia, ma lo hanno adeguatamente riannunciato ed esperimentato nel corso della storia della Chiesa, con comprensioni e con categorie inculturate disponibili nelle varie epoche.
Questo problema ha una sua storia paradigmatica sia nel protestantesimo sia nella teologia cattolica postconciliare. Diciamo solo che oggi c’è sostanziale accordo nell’affermare l’unità del Cristo biblico-ecclesiale e cioè la continuità personale esistente tra il Gesù della storia e il Cristo della fede e del dogma ecclesiale.
La storia salvifica di Gesù non si ferma al suo passato biblico, ma continua nella conoscenza e nell’esperienza storica della Chiesa, che nello Spirito lo confessa il Vivente-Risorto-Parusiaco.
2.3. La confessione di Gesù come salvatore assoluto e definitivo
2.3.1. Significato di questa pretesa
Il terzo pilastro di questa piattaforma contenutistica riguarda l’assolutezza della salvezza offerta da Gesù Cristo. Cosa implica tale pretesa e su che cosa si fonda? Le sfide degli umanesimi atei e il contenuto «salvifico» delle religioni non cristiane rendono particolarmente acuto questo problema oggi. La teologia cattolica postconciliare da una parte afferma la volontà salvifica universale di Dio, ammettendo «i raggi di verità» presenti fuori del cristianesimo (cf NA n. 2); dall’altra sottolinea che tale volontà salvifica si è rivelata e realizzata in modo unico e definitivo in Cristo e viene attuata nella storia mediante la Chiesa, suo sacramento di salvezza. Con ciò si è operato uno spostamento di enfasi. Si è passati dalla considerazione di Gesù come salvatore esclusivo, che esclude radicalmente ogni altra forma di salvezza al di fuori della sua Chiesa visibile, a quella di Gesù come mediatore costitutivo di salvezza. Egli cioè è l’evento salvifico unico e definitivo, che sostiene come unica fonte ogni altra invocazione e parziale concessione di salvezza al di fuori del cristianesimo. Ogni salvezza disponibile per l’umanità è radicalmente attinta nell’evento Cristo, al quale sono quindi da ricondurre le altre eventuali presenze salvifiche. Cristo quindi non è né il salvatore esclusivo, né semplicemente normativo o relativo di salvezza — e cioè un paradigma e uno dei tanti mediatori salvifici —, ma il mediatore unico e costitutivo di salvezza per l’intera umanità.
2.3.2. Fondamento di questa pretesa
Questa indispensabilità soteriologica del Cristo si fonda sul suo evento. Si possono ridurre a tre gli elementi essenziali della definitività, dell’insuperabilità e dell’universalità della salvezza in Cristo:
1) l’annuncio del regno, come offerta e realizzazione in lui della totalità dei beni messianici e del superamento definitivo del male, del peccato e della morte, con la conseguente potenza di ri-creazione dell’uomo e della natura;
2) la sua coscienza filiale e messianica e cioè la consapevolezza della sua profonda unione ontologica e psicologica col Padre e l’intenzionalità salvifica del suo evento umano-divino come fonte unica di salvezza per l’umanità;
3) il suo mistero pasquale e cioè la realtà intrinsecamente salvifica della sua passione e morte redentrice e della sua risurrezione-ascensione-pentecoste.
2.4. La rilevanza salvifica del Cristo biblico-ecclesiale
Fa parte dei contenuti cristologici essenziali anche l’enfasi dell’attualità della salvezza cristiana nel mondo contemporaneo. L’evento Cristo è infatti il radicale superamento dei cerchi diabolici del peccato e della morte ed è anche la risposta adeguata e senza riduzioni alle sfide e ai legittimi aneliti degli umanesimi atei e delle religioni non cristiane. La salvezza cristiana, infatti, consegna l’uomo a Dio, al mondo, alla comunità e a sé stesso nella sua integralità spirituale e corporale e nel suo continuo trascendersi umano e religioso. La salvezza cristiana è globale e dinamica e si estende alla sua realtà storica e metastorica. Essa è la suprema realizzazione dei valori estetici, morali, intellettuali, religiosi, personali e sociali dell’intera umanità.
3. Criteri pastorali dell’annuncio cristologico
La precedente piattaforma contenutistica costituisce anche la realtà primaria e indispensabile di ogni strategia pastorale che voglia alimentare nel giovane la gioiosa convinzione della sua esistenza cristiana. La riproposizione globale dell’evento Cristo, motivata e arricchita nei suoi contenuti teologici, spirituali e morali, non è un di più culturale elitario ma una base necessaria per la maturazione convinta di ogni opzione di fede cristiana. In tal modo essa offre opportune difese per superare disagi, delusioni, crisi di rigetto, atteggiamenti fondamentalistici o fughe verso l’indifferentismo e il relativismo religioso. Più che da ulteriori considerazioni estrinseche, pertanto, un’adeguata criteriologia pastorale può essere ricavata dall’intrinseca struttura dell’annuncio cristologico. È il dinamismo insito in tale annuncio che riesce a liberare le energie necessarie per alimentare, rafforzare e sviluppare la continua maturazione di fede dei giovani. In tal modo la conoscenza di Gesù si fa esperienza di fede personale e comunitaria. L’ortodossia diventa ortoprassi, che verifica e realizza sé stessa nella vita dei singoli e delle comunità ecclesiali. La proposta di alcuni criteri inoltre non significa assolutizzazione di aspetti parziali e irrelati tra loro, ma graduale e complementare integrazione e unificazione della propria esistenza di fede. La conoscenza di Gesù in tal modo diventa esistenza pneumatica e cioè un impegnato pellegrinaggio di fede, di speranza e di carità nello Spirito del Signore Risorto. Aggiungiamo ancora che questi criteri costituiscono solo orientamenti generali, la cui efficace applicazione implica l’apporto di altre competenze con gli opportuni adattamenti a precise situazioni culturali, sociali e religiose.
3.1. Il vissuto «personale»
In corrispondenza con la piattaforma contenutistica, il primo criterio pastorale che emerge dalla narrazione della storia di Gesù è quello dell’incontro personale con lui. Come i discepoli, i giovani sono chiamati per nome non solo a una conoscenza ma anche a una esistenza di fede con Gesù. Non si tratta solo di Gesù riconosciuto come amico fedele, come maestro di vita o come profeta religioso. Si tratta di Gesù riconosciuto come salvatore: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» (Gv 1,41), dice Andrea a Simone suo fratello, dopo aver incontrato e conosciuto Gesù.
La storia narrata di Gesù diventa in tal modo la storia vissuta del discepolo, la cui vita personale diventa dialogo e sequela quotidiana del Cristo. Ciò significa che Gesù risponde personalmente alle drammatiche domande sul significato e sul valore dell’esistenza personale e comunitaria nel suo maturarsi umano e cristiano nella storia. L’incontro con la storia di Gesù diventa criterio di vita e di storia personale. Si tratta dell’esplicitazione cosciente del proprio essere battesimale, che è vita con Cristo e in Cristo. Camminare con Gesù, vivere alla sua sequela è quindi il primo momento di questo progetto esistenziale cristiano.
3.2. Il vissuto «comunitario»
Il vissuto personale implica anche un innegabile aspetto comunitario. L’incontro con Gesù fin dal battesimo avviene concretamente nell’ambito della comunità ecclesiale, trovando un particolare momento celebrativo nella liturgia eucaristica, quando i battezzati vivono insieme la loro esperienza di salvati nel mistero pasquale di Cristo. Vivere con Gesù è quindi vivere con la Chiesa e nella Chiesa. Nella Chiesa l’incontro personale con lui diventa incontro sacramentale e cioè dispensazione di grazia e di redenzione personale e comunitaria. Risiede in ciò la giustificazione ultima dei gruppi giovanili ecclesiali, come adeguato luogo di maturazione cristiana e di impegno umano e sociale.
Il vivere con Gesù nella Chiesa infatti non solo è celebrazione religiosa, ma anche apostolato e solidarietà comunitaria. È questa la narrazione, l’esperienza e l’annunzio di salvezza che i discepoli di Gesù fanno nella storia.
3.3. Il vissuto «salvifico»
Il vissuto personale e comunitario diventa esperienza salvifica integrale. La vita in Cristo e nella Chiesa offre non solo l’illuminazione e la conoscenza, ma anche l’aiuto e la forza necessaria per superare i limiti spirituali, morali e fisici della non salvezza. È l’esperienza del vissuto salvifico la chiave del successo della vita cristiana. Associati al mistero della morte e della risurrezione di Gesù, i cristiani diventano in lui la nuova umanità. Sono cioè liberi e liberanti, dinamicamente aperti a superare ogni ottusità e prevaricazione, per vivere il loro vangelo di dialogo con Dio, di pace e fratellanza universale, di difesa della vita in tutti i suoi aspetti, di rispetto della natura e del cosmo. In Gesù, terra dei viventi, i cristiani progettano e realizzano il rinnovamento continuo della storia dell’umanità.
3.4. Il vissuto «culturale»
Il Cristo narrato, celebrato nella Chiesa, vissuto nella propria esperienza salvifica, si fa inevitabilmente cultura, e cioè storia e tempo, carne e sangue, linguaggio e atteggiamento, tradizione e sviluppo. L’esperienza religiosa cristiana — allo stesso tempo personale e comunitaria, religiosa e sociale — diventa sintesi culturale nuova e lievito indispensabile alla trasformazione e al miglioramento umano e religioso di altre culture. L’inculturazione della fede trova qui la sua giustificazione e il suo criterio ultimo. Essa infatti non è proposizione o arida sperimentazione teoretica, ma graduale trasformazione di parole, simboli e tradizioni in linguaggio ed espressione autenticamente salvifici. Questa cultura, che rinnova continuamente sia le culture tradizionalmente cristiane, sia le culture non cristiane, è la storia di Cristo narrata e vissuta dai cristiani nel loro pellegrinare terreno. È una cultura di vita, che non rigetta niente di quanto è autenticamente umano e religioso, perché è perfezione e realizzazione di ogni utopia umana e religiosa. L’incontro con Cristo pertanto non solo offre salvezza personale e comunitaria, ma tende a produrre nella storia una «cultura di salvezza». Si tratta di una realtà già in atto, ma storica e quindi in continua fase di realizzazione e compimento. Si tratta quindi di un compito e di un impegno. In questa rilevanza culturale della salvezza cristiana il nostro itinerario metodologico raggiunge il suo vertice, che non significa però conclusione ma sua ulteriore ripresa esperienziale.
1 criteri del vissuto cristologico, infatti, presentano uno sviluppo a spirale che si allarga continuamente nella storia. Per cui il vissuto culturale, sostenuto e alimentato dalla narrazione della storia paradigmatica del Cristo, diventa progresso nella comprensione e nella realizzazione del regno.
Dire Gesù Cristo oggi è soprattutto per i giovani esperienza e impegno di «ricreazione» della cultura umana in cultura di vita, di pace e di salvezza integrale dell’umanità.
Bibliografia
Diamo la preferenza ad alcune opere di grande sintesi pubblicate negli anni ’80 soprattutto in lingua italiana.
Amato A., Gesù il Signore, saggio di cristologia, Edizioni Dehoniane, Bologna 1988; Amato A. - Zevini G. (a cura), Annunciare Cristo ai giovani, LAS, Roma 1980; Bourgeois H., Le culture di fronte a Cristo, Borla, Roma 1981; Castelli F., Volti di Gesù nella letteratura moderna, Edizioni Paoline, Cinisello B. 1987; Emeis D., Gesù Cristo maestro di vita. Cristologia catechetica, Queriniana, Brescia 1987; Forte B., Gesù di Nazareth. Storia di Dio, Dio della storia, Edizioni Paoline, Roma 1981; Germain E., Jésus-Christ dans les catéchismes, Desclée, Paris 1986; Latourelle R., L'uomo e i suoi problemi alla luce di Cristo, Cittadella Editrice, Assisi 1982; Pelikan J., Gesù nella storia, Laterza, Bari 1987; Vernette J., Jesus dans la nouvelle religiosité, Desclée, Paris 1987.
GESÙ CRISTO
1. Gesù Cristo, scopo della C. Gesù (nome ebraico che significa “Iahvè è salvezza”) Cristo (termine greco che significa “Unto” e che corrisponde all’ebraico “Messia”), fondatore del cristianesimo e Figlio di Dio incarnato, è il nucleo centrale dell’annuncio cristiano. Giovanni Paolo II parla del “cristocentrismo” di ogni autentica C., sia perché al centro stesso della C. noi troviamo la persona di Gesù di Nazaret, l’Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità, sia perché catechizzare è condurre qualcuno a scrutare questo mistero in tutte le sue dimensioni (CT 5). “Più precisamente lo scopo della C., nel quadro generale dell’evangelizzazione, è di essere la fase dell’insegnamento e della maturazione, cioè il tempo in cui il cristiano, avendo accettato mediante la fede la persona di Gesù Cristo come il solo Signore ed avendogli dato un’adesione globale mediante una sincera conversione del cuore, si sforza di conoscere meglio questo Gesù, al quale si è abbandonato: conoscere il suo “mistero”, il Regno di Dio che egli annuncia, le esigenze e le promesse contenute nel suo messaggio evangelico, le vie che egli ha tracciato per chiunque lo voglia seguire” (CT 20). La centralità del Cristo è il motivo ispiratore e la base portante dei moderni catechismi, soprattutto dei giovani e degli adulti. In essi l’intero patrimonio di verità e di vita cristiana ruota a ragione intorno alla figura di Cristo, e da lui trae ispirazione e fondamento.
2. Gesù Cristo nell’odierno conflitto delle interpretazioni. Oltre alla sfida degli umanesimi atei e delle religioni non cristiane, il cristiano deve riscoprire e riannunciare la vera identità del Cristo oggi. Sono fondamentalmente tre le grandi precomprensioni del Cristo nella cultura mondiale contemporanea: quella umanistica, quella religiosa e quella propriamente cristiana.
a) La precomprensione “umanistica” del Cristo. Essa fa riferimento a Cristo in un quadro razionalistico chiuso all’ipotesi Dio. Eliminato con un colpo di spugna Dio dall’orizzonte dell’uomo, l’uomo diventa l’unico facitore del suo destino, il salvatore di se stesso. Egli cerca di uscir fuori dal pantano della sua esistenza tirandosi per i capelli. In quest’ottica vengono condotte le interpretazioni umanistiche del Cristo da parte delle correnti filosofiche atee e materialistiche, delle varie scuole psicanalitiche (ad eccezione di quella di V. Frankl), delle correnti razionalistiche e radical-borghesi. La lettura umanistica vede nel Cristo uomo solo una via paradigmatica per la piena realizzazione dell’uomo e della società, ricuperando in lui tutti i risvolti positivi a favore di un’esistenza umana dinamica e liberata. Di qui l’enfasi sul Cristo “uomo aperto”, che si trascende continuamente (R. Garaudy); che è ribelle e sovversivo a ogni imposizione sia dall’alto che dal basso (E. Bloch); che è soggetto dinamico di azione umana creatrice ed esempio di radicale autenticità umana (L. Kolakowski); che predica e realizza l’amore universale tra gli uomini, supporto di ineliminabili valori morali, iniziatore e realizzatore in proprio di una prassi personale e sociale di liberazione totale, difensore fino al martirio della sua verità e della sua originalità umana (M. Machovec, F. Belo). Riaffermando l’assoluta “normalità umana” dell’evento Cristo, quest’ottica lo considera solo un “uomo” alla pari di Socrate, Buddha, Confucio, nel pantheon ristretto dei grandi dell’umanità. È la radicale “razionalità” del Cristo, di cui parlava K. Jaspers (I grandi filosofi, Milano, Longanesi, 1973, 280-307).
b) La precomprensione “religiosa” del Cristo. Nelle grandi religioni non cristiane Gesù è visto non solo come via all’uomo, ma anche come via a Dio, come tramite al trascendente e al divino. È questa l’immagine presente, ad esempio, nell’Islam, in alcune correnti teologiche buddhiste e indù: egli è ritenuto profeta di Dio, maestro di fratellanza universale tra gli uomini, martire di giustizia, presenza salvifica di Dio sulla terra. Tutto ciò, però, sempre nell’ambito di una interpretazione “relativizzante” della persona e dell’opera di Gesù, considerato piuttosto come una delle numerose e significative tende della presenza salvifica di Dio sulla terra; uno dei suoi tanti profeti e martiri; un avatara (discesa del divino nel cosmo; incarnazione come manifestazione terrena della divinità) tra i molti. L’enfasi è tutta rivolta alla personalità umana del Cristo. Si veda la reinterpretazione ebraica contemporanea del Cristo, considerato ormai positivamente come “fratello ebreo”, come “rabbino o maestro” (P. Lapide), come leader dalla personalità imponente, maestro di moralità e di lealtà giudaica, e martire per la causa giudaica (S. Sandmel). In Gesù resta del tutto incompresa e rifiutata l’ipotesi di una possibile pienezza di trascendenza divina. In Cristo non si intende scorgere nessun salto di qualità nell’offerta salvifica gratuita proveniente da Dio all’intera umanità.
c) La precomprensione “cristiana”. Le due precedenti interpretazioni sottolineano due aspetti fondamentali dell’evento Cristo: quello di essere “via” all’uomo e “via” a Dio. Date le loro premesse, però, non riescono a coglierne l’originalità assoluta: di essere, cioè, egli stesso l’unica vera via verso l’autentico uomo e verso l’autentico Dio; di essere, anzi, nella sua persona e col suo evento, la parola definitiva e salvifica di Dio all’uomo e il liberatore unico e decisivo dell’uomo in Dio. Questo volto autentico del Cristo ce lo consegna la precomprensione cristiana, che così porta a compimento gli aspetti validi delle ottiche umanistiche e religiose. Essa si fonda sul Cristo della Scrittura, sul Cristo dei concili ecumenici e sul Cristo del vissuto ecclesiale contemporaneo. Prima di accennare ai modelli cristologici presenti nella teologia e nella prassi cattolica contemporanea, riassumiamo l’ottica cristologica di fondo della teologia ortodossa e protestante.
d) Il Cristo nella teologia ortodossa-, il modulo della “gloria”. Non è tanto il progresso nella comprensione intellettuale del Cristo, né il risvolto concretamente prassiologico il distintivo della ricerca teologica ortodossa, quanto piuttosto la partecipazione più intima possibile alla sua divinità da parte dell’uomo. Si ha una vera cristologia dall’alto, in cui Cristo-Dio, col suo peso ontologico di gloria divina, non viene messo in discussione, ma viene contemplato, adorato, vissuto e annunciato come un geloso tesoro della fede dei Padri da mantenere intatto per sempre. In questa precomprensione, che raggiunge il suo clima vitale nella liturgia, c’è la rasserenante certezza del dono di Dio fatto all’uomo nella persona del Cristo, salvatore dell’umanità.
e) Il Cristo nella teologia protestante', il modulo della “croce”. Per Lutero — e per l’intera tradizione protestante fino a Barth e al Dio crocifisso di J. Moltmann — la croce è il modulo più adeguato per comprendere e vivere il messaggio cristologico. Di qui la sua “theologia crucis”, che è la sua visione di fondo, la sua metodologia teologica, la sua conoscenza pratica ed esistenziale del cristianesimo. In questa prospettiva si valorizza tutto quanto Dio ha reso visibile di sé in modo paradossale nella kénosi del suo Verbo, incarnato e crocifisso. Perciò è la cristologia — come rivelazione della croce — il centro e il solo oggetto della teologia protestante. Solo nel Verbo incarnato, infatti, Dio si rivela e si nasconde: “In Christo crucifixo est vera theologia et cognitio Dei” (WA 1,262). La passione e la croce di Cristo sono gli autentici segni della presenza di Dio e costituiscono l’unica conoscenza indiretta che l’uomo può avere di Dio, e l’unica a lui proporzionata.
3. Il Cristo nella teologia e nella prassi cattolica contemporanea. L’interpretazione cattolica si presenta oggi in una varietà eccezionale di ottiche, quasi tutte ugualmente distanti sia dall’enfasi della gloria divina nel Cristo, sia dall’assolutizzazione dell’evento della croce. Oggi si punta — a livello teorico e cat.-pastorale — alla riscoperta, alla rilettura e alla rivalorizzazione in tutte le sue implicanze dell’umanità di GC. La pluralità dei moduli cattolici è dovuta a diversi fattori: al tentativo di una rilettura moderna del modello calcedonese; ai diversi quadri di riferimento filosofici e prassiologici; infine, all’attenzione teologica che si dà alle diverse zone ecclesiali, che si riscoprono portatrici di culture originali e capaci di riappropriarsi del vangelo in categorie concettuali e vitali proprie. Presentiamo qui in estrema sintesi alcuni modelli cristologici contemporanei. Segnaliamo anzitutto una rielaborazione cristologica sostanzialmente classica: la cristologia dinamica o dell’identità di J. Galot, il quale presenta un Cristo fortemente ancorato alla ricchezza delle fonti bibliche e conciliari. Ponendosi in equilibrio tra la cristologia dal basso e quella dall’alto, e tra teoria e prassi, il Galot punta alla riaffermazione dell’identità ontologica umano-divina del Cristo, come fondamento della sua opera di redenzione e di liberazione. C’è poi la cristologia trascendentale di K. Rahner, così come viene esposta nel suo Corso fondamentale sulla fede (Torino, Ed. Paoline, 19844). Partendo dall’uomo e dalla sua situazione ontologico-esistenziale di “uditore della parola”, si arriva a Dio, alla sua rivelazione, e poi al Cristo e al suo evento. Un terzo modello è quello storico, usato, ad esempio, da W. Kasper, che propone la storia come la chiave ermeneutica essenziale del destino unico ed irripetibile del Cristo. Questi, infatti, non è adeguatamente deducibile dai bisogni dell’uomo o della società; egli viene saldamente afferrato soprattutto nella sua storia concreta, con tutti gli eventi originalissimi, straordinari e unici di cui fu protagonista. Un altro modulo è quello cosmologico, tradizionale nella patristica greca dei primi secoli e riproposto con enfasi profetica dallo scienziato-teologo P. Teilhard de Chardin. Gesù Cristo è l’Omega divino personale e trascendente, punto supremo di maturazione cosmica. Egli è colui che sostiene, guida, purifica, attira e porta a compimento tutto lo sforzo evolutivo del cosmo e dell’umanità.
Un ulteriore modello è quello esistenziale-prassiologico, che legge nell’evento Cristo soprattutto l’appello a una nuova forma di esistenza personale e sociale di liberazione e di giustizia. È un’ottica che non si interessa tanto dell’essere del Cristo, quanto piuttosto della storia dell’uomo e della società contemporanea, da liberare mediante la dottrina, la prassi e l’opera del Gesù storico, mettendo così in rilievo soprattutto il significato umano e prassiologico del suo evento. Il Cristo è significativo in quanto ispiratore di prassi personale e sociale di salvezza liberatrice già su questa terra. In quest’ambito si muovono, ad esempio, le teologie e le cristologie della liberazione latinoamericane (cf L. Boff, J. Sobrino, L. Segundo). Altri modelli cattolici contemporanei sono dati da quello estetico di Hans Urs von Balthasar, da quello personalistico di Olegario González de Cardedal, da quello culturale di H. Kùng, da quello metadogmatico (molto problematico, perché non sembra ricuperare adeguatamente l’intero dogma cristologico) di P. Schoonenberg e E. Schillebeeckx, da quello religioso-popolare di Puebla. Il Cristo Liberatore di Puebla non è una semplice istanza rivoluzionaria e politica, né una ideologizzazione con esclusive finalità intramondane: è invece il Cristo “Unico Salvatore” (Puebla, 1166), che proprio in virtù del suo spessore umano-divino, della sua prassi di liberazione, del suo evento pasquale, si presenta di fatto “Signore della nostra storia ed ispiratore di un vero mutamento sociale” (ib., 174).
4. Il Cristo biblico-ecclesiale. Nell’affollata galleria degli odierni ritratti del Cristo, spesso così diversi da sembrare irrelati tra di loro, quali criteri adottare per non smarrire il suo vero volto? E dove trovare il vero Cristo oggi? Diciamo subito che è nella Chiesa contemporanea, nella sua esperienza di salvezza in Cristo che emerge il volto autentico del Cristo della fede cristiana. È, infatti, nella Chiesa — comunità di peccatori salvati, comunità eucaristica, comunità apostolica, comunità di preghiera... — che si vive ancora oggi, non come ricordo archeologico, né solo come dogma teorico, ma come realtà esperienziale la proclamazione entusiasta che Pietro fece, prima — “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente” (Afi 16,16) — e dopo la Pasqua: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12).
Il centro della fede e della vita cristiana, del suo apostolato e della sua catechesi, è il Cristo biblico-ecclesiale. Per far maturare la fede nel Cristo biblico-ecclesiale, per fondare adeguatamente e creativamente l’adesione globale alla sua persona, per rendere ragione della nostra speranza, bisogna cogliere i nuclei essenziali dell’evento Cristo. Si tratta, cioè di evidenziare quegli elementi fondamentali che rendono decisamente cristiana la nostra proposta di fede, superando qualitativamente gli stadi delle precomprensioni semplicemente umanistiche o religiose del Cristo. Sono quei pilastri senza i quali una catechesi autenticamente cristiana non può dirsi tale e con i quali, invece, essa si qualifica in tutta la sua portata salvifica. Al tempo stesso questi elementi costituiscono gli essenziali criteri di verifica e di progettazione di un annuncio di fede completo, senza ingiustificati alibi riduzionistici. Infatti, qualsiasi modello cristologico si possa scegliere, una catechesi in tanto può dirsi completa, in quanto non disattende e non elide le istanze contenute nei nuclei essenziali della fede.
Sono quattro gli elementi fondamentali per un’adeguata maturazione e fondazione del nostro discorso cristologico.
a) La storia di Gesù Cristo. È la storia la fonte dell’esperienza cristiana di ogni tempo e di ogni spazio. È la storia che mi testimonia che il Cristo biblico-ecclesiale non è un mito, un’idea atemporale, o una creazione della comunità primitiva. In primo luogo bisogna quindi narrare la storia di Gesù di Nazaret, visto nella sua concretezza di personaggio realmente vissuto in Palestina (più o meno tra il 7-4 a.C. e il 30 d.C.), che ebbe una determinata parabola vitale fino alla sua morte in croce. Nell’evento di Cristo la storia è giunta alla sua massima pregnanza salvifica, dal momento che in lui la storia (= esistenza, gesti, parole, atteggiamenti, evento pasquale) è contemporaneamente salvezza definitiva: la sua parabola storica è allo stesso tempo evento salvifico unico e definitivo.
b) La continuità personale tra il Gesù della storia e il Cristo dell’annuncio e della fede ecclesiale contemporanea. Con tale criterio si afferma che il Cristo biblico-ecclesiale contemporaneo è l’autentico Gesù della storia e non una arbitraria dilatazione dogmatica ecclesiale: sì che i concili, la vita liturgica, la devozione popolare, l’interpretazione teologica di ieri e di oggi presentano elementi cristologici legittimi e indispensabili, che non hanno corrotto o ampliato indebitamente il Gesù della storia, ma lo hanno adeguatamente riannunciato nel corso della storia con comprensioni e con categorie inculturate, disponibili nelle varie epoche.
c) Gesù Cristo liberatore assoluto e definitivo. Ciò significa che in nessun altro nome c’è salvezza totale e integrale: solo in lui l’uomo, la storia e il cosmo trovano il loro significato positivo, si realizzano totalmente, purificandosi e liberandosi definitivamente dai cerchi negativi della morte fisica, psichica, sociale, etica, spirituale, cosmica. Significa che solo in Cristo si può realizzare l’autentico essere uomo in assoluta e armonica sintonia con gli altri uomini e con il cosmo. Significa ancora che in GC Dio ha portato a compimento ultimo il suo piano di salvezza, e che l’evento Cristo ha in se stesso le ragioni di tale salvezza definitiva. I fondamenti di questa pretesa: 1. L’annuncio del → “regno di Dio” e l’irruzione-identificazione di questo regno con la persona e l’opera di Gesù, compimento supremo di tutte le promesse della creazione e dell’alleanza. 2. La coscienza da parte di Gesù della sua relazione unica e filiale col Padre. 3. L’evento pasquale della sua morte e → risurrezione redentrice. È questo il volto del Cristo così come lui stesso lo ha mostrato e come la prima comunità cristiana e la fede ecclesiale
di secoli l’ha compreso ed espresso con differenti modulazioni linguistiche ed esperienziali. È in questo evento Cristo che Dio offre all’uomo in modo definitivo e assoluto la sua salvezza. E nello spessore umano e divino del Cristo, persona trinitaria, che si fonda la definitività della salvezza dell’uomo, della storia e del cosmo.
d) La rilevanza “salvifica” del Cristo biblico-eccle siale oggi. L’annuncio cristologico trova la sua compiutezza quando diventa offerta di → salvezza per l’uomo e per la sua storia oggi. È a questo punto che 1’”in sé” del Cristo si fa “per noi”, producendo così i suoi frutti di salvezza. L’evento Cristo non è solo contemplazione ma soprattutto partecipazione personale e comunitaria, storica e metastorica alla salvezza da lui portata e da lui trasmessa. L’annuncio della rilevanza e dell’integrità della salvezza in Cristo è il vertice della maturazione di fede del cristiano oggi. Questi quattro criteri non costituiscono zone separate dell’evento Cristo. Rappresentano invece fasi di un progressivo avvicinamento alla riscoperta graduale e fondata del suo mistero di salvezza nella sua completezza sostanziale. Con questi criteri si riduce all’unità la pluralità dei moduli cristologici contemporanei, ma soprattutto si danno risposte adeguate a quegli interrogativi e problemi, che necessariamente sorgono dal profondo dell’intelligenza di fede dell’uomo contemporaneo e che non possono essere disattesi.
Bibliografia
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N.Y., Image Book, 1982; J. L. Segundo, El hombre de hoy ante Jesús de Nazaret, 3 vol., Madrid, Cristiandad, 1982; J. Sobrino, Cristologia desde America Latina, Mexico, Edic. CRT, 19772.
Angelo Amato
La C. dei G. (fino alla soppressione dell’ordine, 1773) merita attenzione in quanto prestazione compatta — anche se non molto originale — della riforma cattolica. Essa ebbe ampie ripercussioni sulle attività cat. ovunque. È anche facile documentarla, per il fatto che la Società di Gesù ha sempre curato molto l’informazione e la conservazione della propria storia.
L’impegno dell’ordine nell’ambito pedagogico-cat., soprattutto nei paesi di lingua tedesca, o segnati dalla Riforma, non fu comandato da uno specifico programma, ma si è realizzato gradualmente sulla base di necessità concrete. Proprio in quelle regioni apparve prioritario l’insegnamento cat. dei fanciulli, dei giovani, degli analfabeti, come pure la formazione di una élite cattolica. Il programma di formazione della élite (Ratio studiorum, 1599) rivela che la C. formale occupa uno spazio piuttosto ridotto. Essa consiste soprattutto nell’apprendere a memoria il catechismo e nella sua spiegazione, qualora risultasse necessaria. Si dà invece grande importanza alla pratica religiosa (messa quotidiana per gli studenti, confessione regolare, prediche, ecc.) come pure alla direzione spirituale privata, al controllo sociale, all’inserimento in associazioni di persone con lo stesso ideale (Congregazioni mariane; cf l’educazione nell’internato). Anche rappresentazioni teatrali, di natura morale-religiosa, dovevano servire allo scopo di una socializzazione cristiano-cattolica. Nella misura del possibile tutti questi elementi erano anche adoperati nella C. dei “semplici” (fanciulli e adulti).
I G. si presentano anzitutto come redattori di catechismi (cf → Auger, Astete, Bellarmino, Canisio, Ripalda, ecc.), ma pure e quasi nello stesso tempo come teorici della C. Uno fra i primi è Antonio Possevino con la sua Tbeologia catechetica (1593, in parte già 1583), che costituì la base del vol. Practica Catechismi (1592; attribuito probabilmente per errore a Canisio) e di altre guide cat. (cf soprattutto Diego de Ledesma, De modo catechizandi, 1573; Nicolaus Cusanus, Christliche Zucht-Schul, 1627; Tobias Lohner, Instructio practica... de munere... catechizandi, 1679; fino a Franz Neumayr, Vir Apostolicus, 1752, e Rhetorica Catechetica, 1766). Gli studi teorici rispecchiano l’impegno pratico, soprattutto della C. nella chiesa (“Kirchenkatechese”, accanto oppure dopo la predica), e in parte della C. nelle scuole (superiori), e perfino dei tentativi di utilizzare, dove era possibile, la strada per catechizzare e per attirare anche i genitori alla collaborazione. Si usava per es. cantare a cori alterni (ragazzi e ragazze) i testi del catechismo, e si fecero concorsi per recitarlo, ecc.; come premio si regalava per es. una immaginetta. Si ricorreva a esempi e a paragoni per concretizzare l’apprendimento (cf per es. — seguendo Canisio — Antoine d’Averoult, Les Fleurs des exemples, ou Catéchisme historial, 1603, anche in latino, e in parte in tedesco); i canti (cf → Canisio) e le rappresentazioni sceniche delle verità del catechismo (soprattutto come “Katechismusprozessionen”) avevano lo scopo di creare familiarità con il catechismo stesso. Per coloro che non volevano studiare o non ne erano capaci si fecero catechismi con immagini (→ Canisio).
Feste e celebrazioni (a partire dal sec. XVII si promuove una particolare celebrazione della prima comunione) come pure l’insegnamento complementare nelle famiglie avevano lo scopo di fissare e soprattutto di inserire nella vita l’insegnamento cat. Tuttavia — in conformità con le abitudini dell’epoca — l’accento principale durante le ore del catechismo era messo sulla recita — sofferta sempre più come fastidiosa e ottusa — delle formule di preghiera e delle formule di fede (Padre nostro, Ave Maria, Credo, decalogo, testi del catechismo).
Un modello bello e conciso di questa catechetica e di questa C. si trova in Georg Vogler, Catechismus in auserlesenen Exempeln... (Wiirzburg, 1625): catechismo abbastanza diffuso, che nel linguaggio contemporaneo dovrebbe chiamarsi “una raccolta di materiali omiletico-cat.”. Contiene infatti: una guida cat., il piccolo catechismo di Canisio, una spiegazione di questo catechismo, una teoria dell’educazione cristiana, l’esposizione di una Katechismusprozession, un libro di canti e di preghiere per i fanciulli, e naturalmente una grande quantità (più di 700) esempi e paragoni. Con un certo fondamento l’illuminismo ha combattuto questo metodo.
Per ciò che riguarda la C. dei Gesuiti dopo la rinascita dell’ordine (1814) cf → Deharbe, e poi → Jungmann e → Hofinger. Con il progredire del tempo è sempre più difficile distinguere uno specifico profilo cat. della Società di Gesù.
Bibliografia
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Eugen Paul
1. L’orizzonte
a) L’interesse della C. per i giovani è un dato relativamente recente. Nella sua rilevanza attuale è dovuto ad alcuni fattori di indole generale che qui si possono solo ricordare.
Anzitutto, il rinnovamento dei metodi pedagogici che progressivamente spostano l’asse d’interesse dalla dottrina al soggetto. Donde la preponderante attenzione alla maturazione personale e ai dinamismi psicosociali che la promuovono; ma anche la parte attiva che il soggetto ha nell’elaborazione della stessa dottrina: il G. assume quindi un ruolo significativo anche per interpretarla ed esprimerla, soprattutto sul fronte operativo. Recentemente l’urto della contestazione ha radicalizzato la conflittualità giovanile; anche la fede è stata severamente criticata e poi massicciamente disertata dai G. Il fatto ha sconcertato la comunità credente: l’ha costretta a ripensare la propria proposta e le sue condizioni di credibilità.
b) Per quanto concerne specificamente la C., s’impongono problemi molteplici; due soprattutto: l’identificazione dei destinatari, la loro disponibilità alla fede.
— L’identificazione dei destinatari.
Parlando di giovani ci si riferisce tendenzialmente all’età con tutte le fluttuazioni che le diverse teorie psico-sociologiche propongono. Nella C. il termine G. è assunto per lo più a partire da una condizione di incipiente maturità: indicativamente i diciott’anni. Essi, oltre che una connotazione psicosomatica, denotano per molti Paesi europei la conclusione della Scuola Media Superiore, con il conseguente inserimento nell’ambiente di lavoro o, se gli studi continuano, l’orientamento ad una peculiare professione. Quindi corrispondono ad un processo di integrazione sociale in cui il G. è sollecitato ad assumersi ruoli definiti, a fare scelte operative e ideologiche precise se non definitive.
La sua situazione educativa cambia profondamente. Gode di più larga autonomia, è spesso chiamato a responsabilità: a verificare le proprie convinzioni in confronto con le situazioni concrete, spesso disumanizzanti. Recenti esperienze, specialmente contestative, hanno portato alla ribalta il tema globale della condizione giovanile: è stato molto discusso se i G. rappresentino una cultura sostanzialmente unitaria e identificabile. Si può ragionevolmente scartare l’ipotesi.
— La disponibilità dei G. alla fede.
In termini molto generali e approssimati si può notare una progressiva disaffezione al fatto religioso: la documentazione ormai largamente confermata e attendibile concerne soprattutto la pratica religiosa. Il G. critica l’istituzione, ma coinvolge ben presto la dottrina.
C’è chi vede nell’atteggiamento giovanile attuale indifferenza e rifiuto della religione e della sua proposta; e c’è chi vi presagisce un’esigenza di autenticità e di rinnovamento da operare soprattutto lungo la spinta dell’istanza secolare o anche delle fedi alternative (religioni sotterranee).
Inoltre la C. è chiamata in causa nella sua dimensione educativa, perché a questo livello si verificano i mutamenti più profondi. I G. annunciano una “diversa” presenza: esigono più larga responsabilità e partecipazione; oltre le consuetudini e le norme vogliono scoprire valori: cercano il dialogo improntato a libertà e franchezza.
La proposta cristiana è quindi sottoposta a verifica esigente e a confronto critico: imposta un rapporto fra G. e adulti sotto molti aspetti inedito nella consuetudine ecclesiale.
2. L’azione catechetica
a) I giovani rappresentano quindi una sfida palese alla C. Gli anni successivi al Concilio hanno visto la comunità ecclesiale impegnata con serietà sul problema giovanile, aggiornando metodi e interventi: progressivamente consapevole dell’urgenza di elaborare una strategia unitaria e di ripensare l’obiettivo stesso della C. ai G.
Soprattutto si fanno insistenti e allarmanti i richiami del magistero all’incontro con i G. A livello di Chiesa universale il problema è chiaramente avvertito nel Sinodo del 1974. Con esso la Chiesa intende “uscire” ad incontrare i G. Nella EN Paolo VI richiama un’attenzione “tutta speciale ai giovani” per offrire loro l’ideale evangelico, ma anche perché essi stessi diventino apostoli della gioventù (n. 72).
Ma il problema è a fuoco soprattutto con il Sinodo del 1977, che esplicitamente punta alle “giovani generazioni” come fulcro dell’impegno cat. e pastorale. Lo stesso titolo, La C. del nostro tempo con particolare riferimento alla C. dei fanciulli e dei G., dice la preoccupazione che muove e attraversa il Sinodo. In realtà, il Sinodo ha spostato man mano l’asse dell’interesse sulla comunità. Tuttavia i G. vi conservano una considerazione assidua e privilegiata: “La preoccupazione di fare autentica C. ai G. è stata onnipresente nei lavori sinodali”.
Si può dire di fatto che dai lavori del Sinodo 1977 sono emerse indicazioni preziose: — Ai G. va data speciale attenzione perché portatori di atteggiamenti nuovi — socializzano attorno a nuovi bisogni (Instrumentum laboris, n. 11); e perché particolarmente disponibili alla fede (ibid., n. 12).
— Si tratta tuttavia di pensare le condizioni corrette in cui la loro presenza e partecipazione risulti accolta, venga sollecitata da scelte di campo solidali con le loro aspirazioni; trovi spazio di responsabilità: essi “non solo debbono ascoltare e imparare, ma hanno qualcosa di loro specifico da dare” (ibid., nn. 34-35). La comunità vive e s’alimenta anche del loro entusiasmo, della loro iniziativa e creatività.
Donde l’attenzione alla dinamica complessa e provocante della condizione giovanile, sottintendendo con ciò stesso una precisa scelta di metodo: le connotazioni sulla condizione giovanile restano inevitabilmente parziali, indicative, discutibili; ma appunto lo sforzo di interpretare i giovani nella situazione reale — personale e collettiva (Messaggio, n. 3) — che li definisce, privilegia una metodologia esperienziale ormai acquisita: irrinunciabile nell’educazione delle giovani generazioni, ma importante a tutte le età, in quanto interpreta una cultura, oltre che una sensibilità.
Privilegiare l’età giovanile non è dunque strategia momentanea e settoriale. È scelta che qualifica e focalizza il rinnovamento della C. e dell’esperienza ecclesiale: “Scegliendo di focalizzare l’attenzione sui G., sui loro problemi, sulle loro esigenze, sulle loro domande, il Sinodo ha scelto il punto di vista più stimolante per inquadrare tutta la problematica cat. attuale e interrogarsi su di essa” (A. Del Monte).
La CT puntualizza alcuni elementi certamente significativi per una pedagogia della fede ai G.:
— responsabilità e consapevolezza morale; — prospettive e proposte che la C. è chiamata ad elaborare;
— significato che queste possono assumere per le scelte fondamentali che il G. opera e per il senso che va conferendo alla propria esistenza (CT 39).
b) Nella concretezza della prassi ecclesiale si opera su fronti molteplici, non sempre organicamente coordinati. Gli apporti vengono da aree diverse:
— i movimenti ecclesiali, ciascuno con una propria esperienza educativa, spesso anche teoricamente elaborata: lo spazio dato alla maturazione e alla responsabile collaborazione dei G. è di solito preponderante;
— i gruppi spontanei ecclesiali, profondamente diversificati secondo la situazione dei vari Paesi: per lo più i G. vi sono chiamati a dare un contributo fattivo alla soluzione dei problemi incombenti sia a livello ecclesiale, sia, specialmente nei Paesi in via di sviluppo, a livello socio-politico;
— infine, rinnovamento conciliare, esigenze di collaborazione ecclesiale — C., liturgia, impegno caritativo — o comunque provocazioni culturali (secolarizzazione) hanno complessivamente risvegliato interesse e partecipazione a corsi di studio, anche specializzati; raccolgono un numero notevole di G., li mettono a contatto reciproco, consentono esperienze di condivisione comunitaria oltre che di approfondimento dottrinale.
Un discorso a parte comporta l’educazione religiosa scolastica. L’ → IR assume in talune nazioni — esempio tipico la Rep. Fed. tedesca — un’importanza preponderante; resta tuttavia attraversato da problemi complessi, soprattutto per la difficile composizione fra esigenze confessionali e rispetto della laicità della scuola.
c) In Italia c’è anche da segnalare fra le sollecitazioni più significative la pubblicazione del Catechismo dei G., Non di solo pane; rappresenta un’esperienza assai rilevante.
Non è qui il caso di entrare nei dettagli. Resta invece importante rilevare lo sforzo del catechismo
— di incontrare il G. nella sua atmosfera culturale. L’estensore sottolinea la “presenza alla cultura”, soprattutto nella prima parte: Alla ricerca;
— di presentargli una figura di Cristo storicamente incarnata ed esistenzialmente credibile; seconda parte: Gesù il Cristo;
— di annunciargli il messaggio con considerevole serietà ed esigenza, anche quando la proposta risulta alternativa o provocante; terza parte: La vita nuova.
3. Problemi e prospettive
a) Si può dire che la C. giovanile ha recentemente percorso un cammino notevole. Restano resistenze e problemi di non facile soluzione. Sottolineo i più rilevanti con cui oggi la ped. cat. si confronta.
— La condizione fluttuante, frammentata e diversificata che scoraggia la pretesa di dare un volto unitario alla gioventù, e quindi di identificare precisamente l’interlocutore;
— cui accede una divaricazione culturale che in taluni paesi — l’Italia è fra questi — porta ad atteggiamenti di contrapposizione ideologica, spesso indifferente, se non ostile, alla religione;
— provocazioni professionali ed esistenziali che urgono negli armi giovanili, impongono scelte e decisioni da cui la fede risulta per lo più estranea, dato anche il processo ormai largo di secolarizzazione che coinvolge il Paese.
b) Va comunque sempre meglio delineandosi la diversa e complementare responsabilità delle varie aree educative.
La famiglia perde man mano di incidenza: non solo per la naturale emancipazione che il G. rivendica e consegue, ma anche per ragioni più specifiche, quali la rapida evoluzione culturale, la divaricazione ideologica, l’incidenza dei mass-media, gli impegni di studio e di lavoro, per lo più vissuti lontano, o comunque fuori della famiglia: condizioni tutte che ne riducono notevolmente le possibilità educative.
L’educazione scolastica è segnata da tentativi controversi ed estenuanti di riforma: denunciano il disagio e l’impasse. In Italia TIR scolastico risulta fortemente condizionato. Il recente approdo concordatario e la conseguente faticosa elaborazione organizzativa possono aprire varchi di evasione e di disinformazione evidenti. L’opportunità di offrire un’occasione seria di confronto maturo e organico sull’esperienza religiosa a tutti i G. italiani è compromessa.
La comunità ecclesiale si riafferma quale luogo privilegiato di esperienza e di maturazione di fede. Del resto i G. tornano a guardare con un certo interesse alla Chiesa, almeno come a luogo aperto di confronto e magari di impegno. Promettente appare la partecipazione a iniziative di approfondimento teologico-culturale (teologia per laici) o di impegno cat., di animazione pastorale.
Il gusto ritrovato di stare assieme, di fare gruppo, ripopola le aggregazioni e i movimenti. È evidente l’apporto di questi ultimi in particolare: offrono una proposta differenziata e spesso sollecitante, intensamente condivisa, sia pure con rischio anche palese di enfatizzazione unilaterale.
Le aggregazioni ecclesiali ribadiscono l’urgenza di comunità a dimensione umana, che consentano rapporti interpersonali autentici. Resta ancora problematica la caratterizzazione, la funzione, la stessa identità dei gruppi ecclesiali: gruppo di aggregazione o di riferimento, rapporto con la comunità parrocchiale, correlazione fra impegno religioso ed esperienza affettiva, professionale, politica...
L’integrazione fra le diverse aree educative si rivela diffìcile; manca per lo più un progetto unitario: tentativi di elaborare una strategia educativa condivisa in ambito giovanile risultano occasionali, né vanno molto oltre i “buoni propositi”.
L’area ecclesiale è comunque in movimento, e i G. vanno prendendovi una parte rilevante. Una pedagogia della fede è per lo più implicita e soggiacente sia nei vari movimenti che nello “stile” delle diverse aggregazioni. Anche l’esperienza di gruppo resta debitrice degli orientamenti pedagogici man mano vincenti; basta pensare per il recente passato ai metodi ispirati alla nondirettività, alla revisione di vita, all’animazione...
Comunque i tentativi di offrire un’elaborazione unitaria di itinerario formativo sono obbligati a tener conto delle varie componenti che qualificano l’esperienza giovanile. In questo senso risulta ad es. ancora “centrata” la scelta suggerita per la giovinezza da → Colomb: C. di integrazione.
4. Il nodo attualmente provocante
Riguarda il ruolo della fede, la sua corretta collocazione e funzione nella maturazione del G. credente. L’educazione giovanile alla fede ha da riformulare il proprio obiettivo. Il che comporta un ricupero urgente della credibilità della fede, del suo significato per l’esistenza e la sua piena espansione: compito ermeneutico. C’è inoltre un itinerario pedagogicamente attento all’apporto delle scienze antropologiche. E, soprattutto, c’è un’esperienza di corresponsabilità e di fraternità ecclesiale da promuovere.
Bibliografia
G. Adler – G. Vogeleisen, Un siede de catéchèse en France, Paris, Beauchesne, 1981; A. Amato – G. Zevini (ed.), Annunciare Cristo ai giovani, Roma, LAS, 1980; P. Babin, 1 giovani e la fede, Roma, Ed. Paoline, 1965; Id., Metodologia, Leumann-Torino, LDC, 1967; P. Braido (ed.), Educare, vol. III, Zürich, PAS Verlag, 1962, cap. IV: Catechesi giovanile; G. Caprile (ed.), Il Sinodo dei Vescovi 1977, Roma, La Civiltà Cattolica, 1978; Il Catechismo dei giovani “Non di solo pane”, Roma, CEI, 1979; (Verso il) catechismo dei giovani, in «Notiziario» 7 (1978) n. 1; nn. 3-4; J. Colomb, Al servizio della fede, vol. II, Leumann-Torino, LDC, 1968, cap. VI: Catechesi d’integrazione. La giovinezza; F. Coudreau, Si può insegnare la fede?, ivi, 1978; B. Grom, Metodi per l'insegnamento della religione, la pastorale giovanile e la formazione degli adulti, ivi, 1981; G. Milanesi, Oggi credono così, 2 vol., ivi, 1982; D. Piveteau, Aprire i giovani alla fede, ivi, 1979; M. Sauvètre, I giovani scoprono la catechesi, ivi, 1970; Z. Trenti, Giovani e proposta cristiana, ivi, 1985.
Zelindo Trenti
1. Per una definizione di pastorale giovanile. Nel dopoconcilio PG non è stata una voce univoca. Attorno a questo tema, infatti, si è sviluppato un fenomeno di dilatazione semantica, che ha minacciato la sua vanificazione per continue indebite estensioni. Come reazione, non sono mancati tentativi di rifiuto a proposito del termine stesso e dei significati che tradizionalmente veicolava. La dilatazione è stata giustificata dal bisogno di dare una risonanza globale ai diversi interventi settoriali rispetto al processo di educazione alla fede (C., prassi sacramentali e liturgiche, animazione di gruppi e movimenti...), con la conseguente riduzione di specificità. Il rifiuto è stato invece legato al giusto tentativo di superare la settorialità nell’azione educativa e pastorale e alla riaffermata responsabilità degli “adulti” nella vita e nella fede. Di conseguenza è stata sottolineata come unica e totalizzante l’azione pastorale della comunità ecclesiale.
Superando queste due prospettive riduttive, affermiamo la pertinenza di una PG, precisandone l’ambito e il significato.
L’ambito della PG è determinato da quelle azioni della comunità ecclesiale con/per i giovani, in cui essa assolve il suo compito costitutivo e originale di attuare la salvezza in situazione. Come si sa, la salvezza cristiana ha anche una dimensione intrastorica e promozionale. Ma questa dimensione è di competenza solo indiretta della comunità ecclesiale, come “parte integrante” di una missione la cui originalità è determinata “dalla finalità specificamente religiosa dell’evangelizzazione” (EN 32).
Queste azioni specifiche sono molte e differenziate. Generalmente sono organizzate in quattro capitoli: la C. e il ministero della parola; la liturgia e le celebrazioni sacramentali; l’esperienza di comunione; il servizio di promozione dell’uomo, in prospettiva personale e collettiva. Il loro insieme costituisce l’azione pastorale. La riflessione su questa complessa azione considera soprattutto la procedura globale, capace di animare e unificare i differenti interventi.
Queste azioni sono misurate sulle attese e sui bisogni dei giovani concreti, perché la comunità ecclesiale è sollecitata ad offrire un servizio specializzato, per attirare i processi di salvezza in situazione. In sintesi quindi studio sulla PG significa riflessione sulla azione multiforme che la comunità ecclesiale, animata dallo Spirito Santo, realizza con/per i giovani (soggetti in età evolutiva), per attuare in essi il progetto di salvezza di Dio, in riferimento alle loro concrete situazioni di vita.
2. Il difficile sviluppo della PG. Purtroppo non esiste una letteratura, del recente passato, sufficiente per delineare lo sviluppo della PG. Molti libri che trattano di tematiche relative alla PG non affrontano in modo riflessivo il suo statuto specifico. Si può scrivere una storia solo sulle pagine, confuse e vivaci, della prassi. Una chiave interpretativa che aiuta a organizzare questo materiale frastagliato, è fornita dalle grandi correnti di teologia pastorale che hanno esercitato, direttamente o indirettamente, un influsso su questa stessa prassi.
La corrente di teologia pastorale, più diffusa almeno fino al tempo del Concilio, ha offerto il supporto culturale a un modello di PG che possiamo definire “storico-oggettivo”. Esso infatti mette fortemente l’accento sulla iniziativa di Dio, sul suo progetto di salvezza e sulla sua importanza per l’autorealizzazione personale. Nel dono di salvezza, presentato agli uomini dal Padre in Gesù Cristo, attraverso la mediazione storica della Chiesa, sta la realizzazione personale e sociale. La singola persona e l’umanità nel suo insieme, la società stessa raggiungono il loro pieno significato solo accettando il dono di Dio.
La PG ha come compito l’educazione dei giovani ad accogliere vitalmente il progetto di Dio. Essa è preoccupata di moltiplicare i contatti tra i momenti tipici della fede e la vita quotidiana dei giovani. Di qui la centralità del momento cat., realizzato prevalentemente come “annuncio” del progetto di Dio, in cui è contenuta la risposta definitiva alle domande che la vita pone. Di qui ancora l’insistenza sulla pratica sacramentale, perché i sacramenti sono i “mezzi” della salvezza e quindi della realizzazione personale.
Molti operatori di PG, soprattutto verso la fine degli anni ’60, si sono trovati però a dover fare i conti con una constatazione problematica che minava alla radice la logica di questo primo modello: per molti giovani la fede è diventata un fatto marginale, insignificante. Chi constatava questa complessa situazione, si è trovato presto in consonanza con i temi espressi nelle correnti di teologia pastorale, centrate sui nodi esistenziali dell’esperienza e della prassi di liberazione. Si è così consolidato un modello di PG animato dalla pretesa di reinserire l’esperienza di fede nella vita quotidiana, perché capace di svelare le domande profonde dell’esistenza e di riformulare la fede come risposta a queste domande.
Il centro di attenzione educativa e il luogo privilegiato dell’azione pastorale diventa così la vita concreta e quotidiana dei giovani. L’intervento educativo ha la funzione di stimolare a definire la propria realizzazione come riconoscimento dell’altro e impegno a promuoverlo. In questo progetto, la fede è oggettivamente in causa. L’intervento pastorale vuole stimolare alla presa di coscienza soggettiva di questo dato oggettivo. Questo modello può essere definito come “esistenziale” perché sposta l’accento dalla norma alla persona, dalla razionalità alla prassi, dai valori in assoluto alle valorizzazioni personali, dal dato di principio alle situazioni concrete, dai progetti astratti alle esperienze personali.
Alla fine degli anni ’70, sulla PG rimbalzano le contraddizioni che attraversano le comunità sociali ed ecclesiali. La condizione giovanile fa problema e interpella. Sul modo di interpretare e risolvere queste provocazioni si frantumano i modelli di PG.
Resta predominante il modello esistenziale, fatto ormai maturo, anche per il sostegno della letteratura specializzata. Esso ritrova l’esperienza comunitaria come sua dimensione qualificante, riuscendo così ad acquisire una buona incidenza formativa.
Il modello tradizionale tenta una rivincita, riscoprendo in termini accorti e culturalmente raffinati due esigenze pastorali che il modello esistenziale aveva parzialmente sottaciute. Da una parte si riafferma l’importanza dell’approccio veritativo, come momento in cui sollecitare ad apprendere, con pazienza e fermezza, i contenuti oggettivi della fede. Dall’altra, lo stimolo della teologia dialettica e il confronto con esperienze carismatiche portano a sottolineare la centralità del momento spirituale e l’efficacia immediata dei mezzi specifici dell’azione pastorale.
In questi ultimi anni si fa strada un terzo modello, caratterizzato da una forte risonanza comunitaria. Esso non solo segna e modifica i precedenti, ma tende a costituirsi come progetto autonomo e alternativo. Il rapporto tra fede e realizzazione personale non è risolto attraverso una rivisitazione dei due moduli in questione, come fanno gli altri due modelli, ma favorendo il contatto per identificazione con un vissuto: una comunità di appartenenza, che si offre come proposta affascinante di vita cristiana. Per costituire queste comunità sono privilegiati gli interventi finalizzati alla formazione dei gruppi primari e si reinterpreta l’esistenza cristiana da questa prospettiva: intensificazione dei rapporti a faccia a faccia; creazione di una ampia omogeneità interna, anche mediante l’accesa contrapposizione verso l’esterno; circolazione di modelli di comportamento e di informazioni; accentuazione degli aspetti comunitari dell’esistenza cristiana; prevalenza del metodo kerygmatico perché meno pluralista; lettura della Bibbia in forma mistagogica; riscoperta della preghiera di gruppo.
3. Prospettive e problemi attuali. Oggi la PG attraversa una stagione felice nella vita delle comunità ecclesiali. Semplificando un poco le cose, ci sembrano due le linee di tendenza emergenti: una prospettiva attenta a risolvere problemi di “iniziazione”, e una che cerca di cogliere le sfide culturali più alla radice e tenta processi di “riformulazione”.
La prospettiva della “iniziazione” è legata a una ricomprensione dei compiti della PG soprattutto in termini di metodologia pastorale. Mette l’accento sulla necessità di elaborare itinerari precisi e articolati, forniti di strumentazioni efficaci, per far acquisire e interiorizzare contenuti e progetti che vengono accolti dalla esperienza cristiana ufficiale, testimoniata dalle attuali comunità ecclesiali.
Questa svolta, che rappresenta un notevole cammino di qualificazione, è affiorata soprattutto quando gli operatori si sono posti seriamente il problema del “metodo”. Sotto la spinta della teologia dell’Incarnazione, che tanta parte ha avuto nel rinnovamento conciliare, ci si è resi conto della necessità di assumere con serietà e rispetto i “fatti umani”, primi fra tutti quelli “educativi”. Anche se le scienze umane non possono dire l’ultima parola, perché il processo di maturazione della fede attinge nel suo profondo le soglie misteriose del dialogo tra la grazia interpellante di Dio e la libertà responsabile dell’uomo, esse possono offrire preziosi e insostituibili contributi sul piano della visibilizzazione storica di questo dialogo, sul piano cioè delle mediazioni umane in cui questo dialogo si articola e si sviluppa. La definizione di un processo di “iniziazione”, costituito da riti, strutture e interventi, si colloca appunto nel centro di questo complesso confronto. La PG ha trovato così un suo statuto epistemologico specifico, autocomprendendosi come luogo di interdisciplinarità pratica tra teologia e scienze dell’educazione e della comunicazione.
La seconda prospettiva procede oltre: le comunità ecclesiali più sensibili hanno toccato con mano che senza metodo pedagogico corretto non si può fare PG, ma che il vero problema era più a monte. È spuntata così una linea di pastorale giovanile, fortemente legata a processi ermeneutici, che cerca la soluzione dei problemi in chiave di “riformulazione” dell’esperienza cristiana stessa. Rendendosi conto che il linguaggio ecclesiale è, molto spesso, legato a una cultura lontana da quella dei giovani d’oggi, ci si è dovuti interrogare sui processi attraverso i quali la Parola di Dio è diventata parola dell’uomo e per l’uomo. Ancora una volta la teologia dell’Incarnazione ha offerto la strumentazione per comprendere e formulare il problema.
Se la Parola di Dio, come in Gesù Cristo, prende l’umana carne della cultura dell’uomo, per farsi parola di salvezza in situazione, le comunità ecclesiali sono sollecitate a verificare quale cultura viene utilizzata per “dire” la parola di salvezza. In questa verifica sono spontaneamente portate a misurare la distanza esistente tra la cultura utilizzata generalmente e la reale situazione giovanile. Si rende così urgente la decodificazione di molti messaggi ecclesiali, per sceverare il nucleo irrinunciabile e costitutivo della fede dal rivestimento culturale in cui viene espresso. Da questa decodificazione prende le mosse il grave impegno pastorale di riesprimere la fede in un codice che sia, nello stesso tempo e con la stessa intensità, rispettoso della fede e del mondo esperienziale dei giovani.
Questa prospettiva accentua l’esigenza di “riformulazione”: mette infatti sotto processo i contenuti e il progetto che definiscono l’esigenza cristiana, come ci sono offerti dalle comunità ecclesiali attuali. La PG non ha solo un problema metodologico da risolvere. Essa deve lavorare anche sull’obiettivo di tutto il processo. Le difficoltà con cui si scontrano le comunità ecclesiali che vogliono iniziare i giovani d’oggi alla esperienza cristiana, non sono forse legate al fatto che loro si chiede un passo indietro rispetto a! loro mondo culturale?
Qualche volta, nelle pubblicazioni e nelle prassi, le due prospettive sono vissute come alternative e contrapposte. Nei modelli più maturi, invece, si fa progressivamente strada la percezione che la “sfida” sta proprio qui: se il problema della PG, come ogni problema giovanile, è prima di tutto di “comunicazione” tra mondi che sembrano chiusi, è urgente trovare una prospettiva più profonda, capace di funzionare come criterio di verifica e di discernimento nella indispensabile complementarità tra iniziazione e riformulazione. Ed esistono studi e realizzazioni che testimoniano la praticabilità di questa ipotesi.
Bibliografia
Area francese
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M. Harris, Portrait of Youth Ministry, New York, 1981.
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Riccardo Tonelli