GENITORI

 

GENITORI

1.​​ Dal “principio” l’amore e la vita non cessano di unirsi e fecondarsi, sotto l’azione dello Spirito. Lo stesso amore sponsale è primordiale vocazione dell’uomo e della donna alla comunione e alla generatività. Genitori: essere coautori della genesi di una nuova esistenza. Pertanto da​​ sorgente​​ di vita, l’amore dei G. diventa​​ anima​​ (missione) e perciò​​ norma​​ (responsabilità) che qualifica tutta la loro opera educativa, anche nella fede.

2.​​ Viene così a costituirsi per​​ natura e​​ per​​ sacramento​​ un diritto-dovere dei G.:​​ essenziale,​​ inerente alla trasmissione della vita;​​ originale e primario,​​ nei confronti di altre realtà e responsabilità educative;​​ insostituibile e inalienabile​​ da non poter essere​​ delegabile​​ né​​ usurpabile​​ (va difeso).

3.​​ La Chiesa, alla scuola di Gesù, riconosce valore alla famiglia e alle premure di coloro che sono costituiti con autorità come G. Al tempo stesso la Chiesa ripudia una realtà di famiglia chiusa nella propria autosufficienza e che non sappia aprirsi, oltre la cerchia esclusiva dei propri privati affetti e interessi, alla realizzazione del Regno. Le esigenze del Regno possono infatti richiedere anche il superamento degli stessi vincoli familiari (Mt​​ 10,34-36.37-38).

4.​​ La Chiesa, nello Spirito, riconosce pure che il Signore Gesù continua a compiere oggi la sua opera di profeta e di maestro nelle​​ case,​​ mediante il servizio educativo dei G. (ministero).​​ La stessa grazia e i doni connessi con il sacramento del matrimonio sono effusi sugli sposi perché nel migliore dei modi possano portare a compimento il “ministero” al quale Cristo li ha consacrati, chiamandoli allo stato di vita coniugale. Essi infatti sono “praecones” (LG 11), cioè gioiosi annunciatori con la vita e le parole delle meraviglie di Dio (cf​​ 1 Tm​​ 1,5).

5.​​ Il loro annuncio non è soltanto premessa o supplenza di ciò che altri potranno fare in seguito. Ha una sua efficacia e una sua originalità perché in loro il “magistero della parola” si unisce al “magistero della vita”​​ (cf RdC 152). Così i figli, fin da bambini, possono riconoscere nella loro famiglia, la “Famiglia di Dio” pellegrina in terra, e senza esserne consapevoli, fanno nelle loro case la prima esperienza di Chiesa.

6.​​ È necessario e urgente che, a guisa dei discepoli (At​​ 5,42), i pastori e i loro collaboratori, visitino le case e lì incontrino le persone sia per la C.​​ pre-battesimale, prenuziale,​​ sia per incontri sul Vangelo.

7.​​ Oggi, più di ieri, è difficile e complesso essere G., e assolvere con autorevolezza, competenza e serenità il proprio compito e ministero di paternità e maternità, specie in ordine alla fede dei figli. I G. vanno aiutati, sostenuti, incoraggiati, formati e responsabilizzati dando loro fiducia. Le esperienze più significative e profetiche, oggi, sono quelle che coinvolgono, direttamente e con responsabilità, i G. nella organizzazione, conduzione e impostazione della scuola parrocchiale di catechismo,​​ neWiniziazione cristiana​​ dei loro figli. Essi hanno diritto di conoscere​​ le persone​​ nelle cui mani affidano la fede dei loro figli, i contenuti della C., i modi e l’ambiente che viene a costituirsi in parrocchia.

8.​​ Oggi, più di ieri, si avverte il problema del G. senza partner, che deve provvedere da solo all’educazione cristiana del figlio pur non avendo una vita religiosa piena; o del G. che deve provvedere da solo all’educazione cristiana del figlio in contrasto col proprio coniuge. Nei casi poi, così frequenti, di “paternità separate”, perciò di G. “parttime”, si richiede da parte della comunità cristiana molto amore per i bambini, rispetto per le persone dei loro G., sapienza e comprensione perché i sacramenti dell’iniziazione siano eventi di salvezza, annuncio di buona novella, e non si trasformino in occasioni di rottura o di umiliazione per i bambini. Situazioni del genere possono portare all’emarginazione. Siano invece occasione in cui il pastore e il catechista si fanno epifania e immagine storicizzata del “Pastore buono”.

9.​​ Gli enunciati teologico-pastorali del dopo Vaticano II possono creare attese nei pastori e nelle comunità ecclesiali, che vanno oltre le capacità reali dei G. Nel progetto di Dio la casa è il luogo privilegiato per ricevere la comunicazione della buona novella (cf​​ Dt​​ 6,4-9.20-25). Dire privilegiato non significa esclusivo. Altrimenti la trasmissione della fede apparirebbe come una faccenda “di famiglia”, privata, perciò privilegio di pochi. Non è corretto neppure enfatizzare oggi l’aspettativa che, rivalutando il compito educativo delle famiglie, ritiene che esse siano automaticamente capaci di farsi tramite della comunicazione della fede. I pastori dovranno registrare molte delusioni se si mettono in questa prospettiva. Affermiamo piuttosto che le famiglie sono “dei ministri” (cf​​ 1 Cor​​ 3,5-9).

I G. possono favorire le condizioni affettive e psicosociali che sollecitano e sostengono la crescita nella fede; possono partecipare alla prassi religiosa dei figli, portarli e introdurli nella più ampia comunità ecclesiale, cercando per loro un gruppo, l’oratorio, l’associazione. Non pochi G. riescono anche a intrattenere direttamente dialoghi di tipo cat.; alcuni di loro sono i primi iniziatori dei figli al libro di Dio. Ma tutte queste possibilità sono in concreto realizzabili a patto che le famiglie dispongano di una certa collaborazione, di un più ampio contesto di quello della propria famiglia e cerchia di amici. Abbisognano di un tessuto comunitario che costituisca un insieme di rapporti interpersonali e comunitari, simili a quelli delle​​ comunità di base​​ e dei​​ gruppi familiari.​​ La forza cat. dei G. e della famiglia dipende dalla comunità. E il compito della pastorale nei prossimi anni resterà la formazione di comunità centrate sulle famiglie, ma più ampie delle famiglie parentali.

Bibliografia

CEI,​​ Il Rinnovamento della catechesi,​​ Roma, 1970, 151-152;​​ Codice di diritto canonico,​​ cann. 774 § 2; 867; 914; 798;​​ L’educazione religiosa in famiglia,​​ Brescia, La Scuola, 1975; G. Gatti,​​ Il ministero catechistico della famiglia,​​ Bologna, EDB, 1978; Giovanni Paolo II,​​ Familiaris consortio,​​ Roma, 1981, 36-41;​​ Parrocchia e famiglie. Atti della XXX settimana nazionale del COP,​​ Napoli, Dehoniane, 1980.

Gianfranco Pregni

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GENITORI

Un g. è un padre o una madre; una persona che genera e dà la vita. Oltre alla genitorialità biologica esiste la genitorialità adottiva nella quale il g. non è stato partecipe alla procreazione del figlio, ma, sia in termini giuridici che in termini sociali ed affettivi, viene considerato alla stessa stregua del g. biologico. Diventare g. implica il passaggio da una situazione di coppia ad un’altra realtà molto diversa dalla precedente, in quanto l’interazione non è più solo diadica, ma allargata ad altri membri, i figli, che vengono a far parte della famiglia. Nella nuova concezione della vita matrimoniale si è fatto strada il concetto che il figlio che nascerà sarà il frutto di una decisione consapevolmente presa, almeno il più delle volte, da entrambi i coniugi. Questo costituisce per essi l’inizio del cammino che li porterà a diventare g.

1.​​ Divenire madre.​​ Non è una cosa semplice ed automatica come di solito si crede; non bisogna infatti dimenticare che una madre, prima di assumere questo ruolo, è soprattutto una donna con una propria vita e con un proprio particolare modo di essere e di sentire che dovrà subire un cambiamento nel momento in cui avrà un figlio. Perciò la maternità si presenta come uno dei più importanti momenti che la donna può vivere in quanto, pur essendo un evento naturale e fisiologico, esso rappresenta per lei un periodo critico che mette a dura prova le sue capacità di adattamento, a causa degli importanti mutamenti che avvengono nel suo corpo, nella sua psiche e nelle relazioni sia sessuali che interpersonali. Infatti la donna vive dentro di sé una molteplicità di sentimenti che possono andare dalla paura alla gioia, dall’entusiasmo all’incertezza, dall’accettazione al rifiuto di questo suo nuovo stato che la porterà ad una diversa realizzazione di sé. Si può dire che, sotto certi aspetti, l’amore materno è qualcosa che si forma, e che si apprende, tranne casi particolari, un giorno dopo l’altro; è qualcosa che la futura madre sente nascere dentro di sé, e che si rivolge ad un essere che sente formarsi e crescere pian piano, per nove lunghi mesi.

2.​​ Divenire padre.​​ È un’esperienza simile per quel che riguarda i dubbi e le incertezze, ma di tipo diverso da quella della madre, in quanto un padre sente che con il divenire g. chiude la sua vita di ragazzo ed inizia quella di uomo in cui vi sono nuove e più specifiche responsabilità. Infatti la paternità porta con sé nuove preoccupazioni: il​​ padre ha un accresciuto senso di responsabilità sia dal punto di vista economico che da quello educativo, acquista la sensazione dell’importanza della sua esistenza divenuta necessaria per poter provvedere alla famiglia che si è formata; nasce in lui la paura di essere meno importante per la moglie a causa del figlio e di non poter più avere con lei la calda ed esclusiva intimità dei primi tempi. Tutto, o quasi, si ridimensiona con la nascita del figlio. L’idea del ruolo paterno che si aveva un tempo sta lentamente modificandosi, ed al concetto del «buon padre» che provvedendo al sostegno economico della famiglia si estrania da essa impegnandosi in un lavoro che diventa quasi un alibi per evadere dalla situazione familiare, si va sostituendo quello di un padre presente con i suoi figli, con un nuovo ruolo, una presenza non più autoritaria, ma autorevole ed affettuosa. Si tratta certamente di un compito che implica una ristrutturazione del concetto culturale di uomo, un tempo cristallizzato nelle formule che indicavano il padre come il capo famiglia, la cui autorità era indiscussa e che costituiva la sola indicazione di apertura alla vita sociale. Inoltre, essere g. comporta anche il compito di potenziare la propria capacità di amare.

3.​​ Cambiamenti nella vita di coppia.​​ Sono molte le difficoltà che si presentano alla coppia con la nascita del figlio, e fra queste è da ricordare quella di saper affrontare il cambiamento che subisce la situazione diadica nella quale fino adesso la coppia è vissuta. Infatti uno dei compiti dei g. consiste nel ridefinire i propri ruoli all’interno della vita di coppia e nel riorganizzare la loro relazione. Ciò può essere vissuto come un periodo critico, anche se prevedibile in quanto fa parte dello sviluppo di gran parte delle famiglie, ma non per questo meno difficile a viversi. Infatti il divenire g. rompe anche l’equilibrio della diade coniugale, creando un momento di disorganizzazione, che va superato attraverso l’attuazione di alcuni compiti che porteranno ad un buon adattamento e ad un adeguato funzionamento familiare. Tra questi compiti vi sono quelli di saper far posto al figlio all’interno della vita di coppia, sia dal punto di vista affettivo che per quel che riguarda l’andamento familiare e le cure fisiche che debbono essere prestate al bambino; di definire la comunicazione in modo da poter entrambi esprimere i propri dubbi, le difficoltà e le gioie cosicché nessuno dei due si senta tagliato fuori dalla relazione col figlio; di imparare a risolvere le difficoltà in modo costruttivo ed arricchente senza giungere ad un conflitto più o meno palese; di ridefinire la relazione con la propria famiglia di origine in quanto il ruolo di coniugi è cambiato con l’essere divenuti, a loro volta, g. L’aver scelto di avere un figlio è una decisione importante per entrambi i coniugi, e la nascita del bambino, sia esso maschio o femmina, conferma pubblicamente il loro amore e richiede una loro crescita interiore. Quindi, essere padre e madre vuol dire oggi avere una relazione personale in cui il ruolo dell’uno non si può dissociare da quello dell’altro, e in cui ciascuno è corresponsabile dell’atteggiamento dell’altro nella vita familiare. Questa interdipendenza, non priva di conflitti, dà maggiore responsabilità ai g. nel loro compito di educatori.

4.​​ Comportamento genitoriale.​​ La caratteristica più importante di un adeguato comportamento genitoriale sta nel fornire al figlio stabilità, sicurezza ed affetto, ma a causa di una serie di eventi di carattere psichico, fisico o sociale, può manifestarsi in un g., od in entrambi, la presenza di un’organizzazione cognitiva problematica che può influire sul comportamento parentale ed arrecare danni di varia entità al figlio. Infatti, va tenuto presente che oltre alla modalità di comportamento adottato dai g. verso il figlio, è importante anche il modo in cui questi percepisce ed assimila i loro atteggiamenti e le loro intenzioni. Infatti è attraverso questo processo che giunge a costruire una propria realtà genitoriale che, se positiva, facilita il raggiungimento di una soddisfacente salute psichica.

5.​​ G. di un figlio adottato.​​ È infine necessario fare cenno ad una realtà che diviene sempre più comune, ossia quella di essere g. di un figlio adottato (​​ adozione). Di solito si ritiene che le esperienze vissute da un bambino adottato siano diverse da quelle di un bambino che vive con i g. naturali, come pure si crede che vi siano difficoltà diverse da superare quando si è g. adottivi. In realtà i g. adottivi incontrano difficoltà educative non più grandi, bensì diverse, da quelle che avrebbero con un loro bambino, forse perché può accadere che le caratteristiche insite nella loro famiglia si conformino con qualche difficoltà a quelle di un bambino di diversa provenienza. Alcune volte, poi, può essere difficile per loro rinunciare a veder realizzate, in quel figlio che non è stato da loro generato, i propri sogni e le proprie aspirazioni. Altre volte ancora essi rimangono incerti su quale modalità educativa usare con questo figlio poiché si chiedono se si sarebbero comportati nello stesso modo se fosse stato proprio un loro figlio. Questi ed altri problemi rendono perciò più difficile allevare un bambino adottato, anche se indubbiamente la scelta dell’adozione è stata dettata da un grande ed altruistico amore.

6.​​ La «cura» educativa.​​ Il divenire e l’essere g. comporta dunque, in tutti i casi, una notevole maturità personale e di coppia che deve procedere continuamente verso un arricchimento ed un rinnovamento, avendo come base una grande capacità d’amare. In questo senso si evidenzia la necessità di una particolare «cura» educativa per diventare e per essere g.: sia a livello personale, sia a livello di coppia, sia a livello intra e interfamiliare. In risposta a tale esigenza, negli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi libri in cui vengono proposti itinerari per g., allo scopo di sostenerli nel loro agire educativo.

Bibliografia

Binda W., «Dalla diade coniugale alla triade familiare», in E. Scabini (Ed.),​​ L’organizzazione famiglia tra crisi e sviluppo,​​ Milano, Angeli, 1985, 175-201; Guidano V. F.,​​ La complessità del sé. Un approccio sistemico-processuale alla psicopatologia e alla terapia cognitiva,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1988; Cattabeni G.,​​ G. non si nasce,​​ si diventa,​​ in «Famiglia Oggi» 44 (1990) 30-37; Guiducci P. L.,​​ Accogliere la vita nascente. Una scelta totale,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1990; Mastromarino R.,​​ Prendersi cura di sé per prendersi cura dei figli, Ibid., 1995; Bellantoni D.,​​ Ascoltare i figli. Un percorso di formazione per i g., Trento, Erickson, 2007; Bavarese G.,​​ Dal divenire coppia al divenire g., Roma, Aracne, 2007.

W. Visconti

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