DOMENICA

DOMENICA

Manlio Sodi

 

1. Il valore di alcune puntualizzazioni

2. Un week end tutto da sacralizzare?

3. Conclusione

 

In ambito di pastorale giovanile quello della domenica appare un discorso decisamente complesso, quasi un discorso tabù se lo si considera dalla prospettiva della così detta pratica del «precetto» festivo. Il complesso fenomeno del «tempo libero», unitamente alla realtà della «festa» in una società secolarizzata come la nostra in cui «festa» equivale in genere ad evasione dal quotidiano (indipendentemente dai giorni del calendario settimanale o mensile), la riproposta cristiana del giorno del Signore si presenta frequentemente nell’azione pastorale come una realtà che non si riesce ad affrontare in modo adeguato perché non si sa da dove iniziare il discorso.

Il dato di fatto facilmente rilevabile è costituito dalla (non) «frequenza religiosa». Mentre, ad esempio, è possibile portare avanti un discorso di educazione alla fede e di impegno nel territorio durante la settimana, in domenica il giovane (unitamente al gruppo) tende a convergere verso altri poli, specialmente se vive in centri urbani. Cosa fare allora? A livello di pastorale giovanile deve essere questo un discorso chiuso in partenza? All’amara seppur realistica costatazione dello scadimento religioso della domenica non serve però la rassegnazione.

L’operatore pastorale si trova di fronte all’impegno di restituire alla domenica un più accentuato contenuto religioso e far ritrovare il senso della festa. Senza dubbio la sorgente di questo spirito nuovo, della gioia e di una rinnovata carica religiosa è la pasqua del Signore chiamata a diventare continua pasqua della Chiesa perché il sacramento pasquale diventi la vita dei credenti. Ma come aiutare il giovane a guardare nel caleidoscopio della vita quotidiana perché vi possa leggere la trama che costituisce il tessuto vivente del proprio futuro?

 

1. Il valore di alcune puntualizzazioni

L’esperienza viva di tutte le comunità ecclesiali ricorda e insegna che la domenica è la celebrazione originaria e permanente; essa rende presente, insieme alla celebrazione dei sacramenti, tutto il contenuto salvifico della pasqua perché il fedele vi si «innesti» in modo sempre più definitivo e profondo. È in questa prospettiva che la liturgia, riecheggiando​​ SC​​ 106, canta con gioiosa speranza: «Oggi la tua famiglia (o Padre), riunita nell’ascolto della Parola e nella comunione dell’unico pane spezzato, fa memoria del Signore Risorto nell’attesa della domenica senza tramonto, quando l’umanità intera entrerà nel tuo riposo. Allora noi vedremo il tuo volto e loderemo senza fine la tua misericordia» (Messale,​​ Prefazio delle domeniche del tempo ordinario X,​​ p. 344).

Questo è il mistero della domenica — festa primordiale dell’anno liturgico; il​​ primo,​​ il​​ settimo, l’ottavo​​ giorno — «giorno che Dio ha deciso di dedicare al suo popolo, per arricchirlo di doni e di grazia», prima ancora di essere «il giorno che i cristiani dedicano al Signore»​​ (ECC​​ 76).

Sarà compito dell’animazione pastorale richiamare questa prima realtà che porta immediatamente a sottolineare la domenica​​ anche​​ come giorno della Chiesa: una Chiesa​​ convocata​​ per celebrare il suo Signore e di nuovo​​ inviata​​ per portare a compimento nel quotidiano il progetto salvifico e liberante del Cristo. È in questo senso che il Vaticano II evidenziava la liturgia come «il termine più alto cui tende tutta l’azione della Chiesa e insieme la sorgente donde ad essa derivano tutte le sue energie...»​​ (SC​​ 10).

Punto di convergenza della​​ memoria​​ e dell’attesa​​ tipiche del «giorno del Signore» è la​​ presenza​​ del Cristo risorto principalmente nella e mediante la celebrazione eucaristica. Da qui l’urgenza di strategie adeguate perché la partecipazione del giovane ai santi misteri sia sorretta da una catechesi previa, concomitante e susseguente che, in sintonia con i tempi liturgici, valorizzi i diversi segni e momenti rituali, a cominciare dal segno per eccellenza che è la Parola.

«Attraverso i segni sensibili — infatti — la catechesi conduce i fedeli alla conoscenza degli invisibili misteri salvifici di Dio» (DCG 57); ciò scaturisce dal fatto che l’esperienza del mistero passa attraverso il rito. Un’azione pastorale di questo genere sarà ancora più piena se, partendo da una reale conoscenza di tutte le potenzialità di adattamento e creatività offerte dai libri liturgici, valorizzerà quella pluralità di ministeri e funzioni ordinati ad una più piena partecipazione dell’intera assemblea; e se la celebrazione stessa sarà espressione di un’assemblea in reale situazione di preghiera, di ascolto, di rendimento di grazie, di silenzio, di partecipazione al convito pasquale, di rapporto stretto con la vita concreta dell’intera comunità per orientarne l’attività e la missione.

 

2. Un week end tutto da sacralizzare?

Nell’attuale panoramica delle esperienze di pastorale giovanile forse non se ne trova una che possa proporsi come strategia esemplare da attuare o comunque da mutuare tout court. Come agire allora?

Se da una parte può essere chiamata in causa la «fantasia pastorale», dall’altra l’operatore pastorale ha a disposizione dei punti di riferimento che si collocano anche come criterio ermeneutico e di verifica della stessa azione pastorale. Si tratta comunque, come in ogni ambito educativo, di lavorare sui tempi lunghi in modo che il giorno del Signore risulti sempre più tale perché riscoperto come giorno dell’uomo.

Ciò è possibile qualora si chiamino in causa strategie adeguate che, operando su appuntamenti specifici, coinvolgano il giovane. È nell’insieme del suo cammino di fede infatti che può progressivamente operarsi quel cammino di scoperta e valorizzazione del giorno del Signore sia in ordine alla celebrazione dell’eucaristia, sia — al di là della stessa celebrazione — in ordine all’incidenza di tale giorno nei tanti segmenti del quotidiano.

Il quadro delle strategie pastorali può avere allora anche in ambito giovanile questi punti di riferimento e insieme di verifica:

— La domenica è anzitutto il​​ giorno dell’uomo.​​ Nella frammentazione che la convulsa vita della società industrializzata comporta, la domenica si presenta anzitutto come il giorno in cui la persona — senza estraniarsi dal quotidiano — cerca di ritrovare quelle dimensioni spirituali che lo stesso quotidiano tende inesorabilmente a schiacciare.

Ecco perché il cristiano è invitato a compiere le opere del così detto «ottavo giorno». La caratterizzazione cristiana della domenica non può essere ridotta alla sola celebrazione, ma deve trovare modi e forme espressive nei rapporti interpersonali, familiari e comunitari. In questa linea possono allora essere considerate le attenzioni pastorali verso chiunque viva una qualche forma di emarginazione, in modo che nessuno si senta escluso dal circuito della carità e della festa.

— Se la domenica è il giorno dell’uomo, allora essa assume la connotazione di​​ giorno della festa.​​ È la caratteristica che si pone alla confluenza di due realtà: da una parte una memoria decisiva da vivere e rivivere; dall’altra il bisogno di rivivere l’evento per celebrarlo gioiosamente insieme. Ecco il senso del: «Ricordati delle feste per santificarle». La festa è piena e totalizzante quando, superando ogni alienazione tipica dell’effimero di cui è intessuto il quotidiano, aiuta a superare la schizofrenia tra corpo e spirito.

La festa cristiana, ponendo al centro della memoria il Risorto, fa comprendere che l’astensione dalla fatica o comunque dalla routine del quotidiano, costituisce l’affermazione del trionfo della vita, del primato della gioia, perché «chi si rattrista in giorno di domenica fa peccato» (Didascalia degli Apostoli, V, 20, 11). Lo stesso invito al «riposo» aggiunge alla dimensione reale anche quella simbolica e profetica, anticipando quella liberazione totale e definitiva da ogni dipendenza dalle cose. Collocarsi in questa dimensione è santificare il giorno del Signore. La partecipazione all’eucaristia non sarà che la logica premessa e la ovvia conseguenza!

— In quanto giorno della festa, la domenica è tale solo se è​​ giorno del Signore.​​ Il cammino di mentalizzazione non passa primariamente attraverso il «precetto»; al contrario questo si presenta nel comune modo di pensare dei giovani solo come un debole supporto di richiamo a quei valori che caratterizzano tale giorno: l’ascolto della Parola e la condivisione dei segni della nuova alleanza.

È giorno del Signore perché in domenica il Signore convoca il suo popolo per chiamarlo continuamente alle esigenze della sua alleanza, per provocarlo a fare continuamente esodo dagli idoli settimanali verso la liberazione tipica dell’ottavo giorno, compimento dell’alleanza.

È giorno del Signore perché la partecipazione ai segni della nuova alleanza (corpo e sangue di Cristo) trasformano tutti coloro che condividono lo stesso cammino dell’esodo in «compagni»: termine eucaristico​​ (cumpanis) che rinvia all’eucaristia come segno di condivisione e che a sua volta fonda tale condivisione ad ogni livello nel quotidiano.

— L’ultima sottolineatura allora sarà l’accentuazione della domenica come​​ giorno della comunità​​ vista nelle sue più diverse espressioni. In quanto segno sacramentale della presenza del Cristo nelle realtà e strutture intramondane, la comunità ecclesiale esprime questa sua intrinseca realtà attraverso un atteggiamento di accoglienza che superando ogni limite aiuta i membri a fare comunione; attraverso una preghiera che va ben oltre il ristretto spazio personale e familiare per coinvolgere tutti i fratelli nella fede o in ricerca; attraverso una carità che tenta di interpretare e venire incontro alle necessità di quei poveri che gridano da ogni parte della terra; attraverso una pluralità di servizi che vogliono esprimere con molta concretezza quella ricchezza di doni di cui vive e cresce la Chiesa. Solo così una Chiesa può presentarsi come il primo sacramento della presenza del Signore in mezzo ai suoi.

 

3. Conclusione

Si tratta dunque di sacralizzare un week end o di operare una mentalizzazione tale che, superando la sacralità di tempi e spazi, raggiunga particolarmente il giovane?

Credo che il secondo interrogativo è quello che, affrontando la problematica della realtà e del cammino che si prospetta dinanzi all’educatore nella fede, stimola ad aprirsi su un insieme di strategie riconducibili fondamentalmente a due ambiti.

Nell’ambito della pastorale giovanile orientata verso chi già sta facendo un cammino di fede piuttosto avanzato si tratterà di coinvolgere al massimo la persona del giovane, valorizzandolo per tutto quello che esso può dare nel campo specifico dell’animazione della comunità che si riunisce per celebrare la memoria del Risorto. Si pensi al coinvolgimento del gruppo giovanile nell’animazione liturgica, nella preparazione comunitaria dell’omelia e della preghiera dei fedeli, nei diversi ministeri... a partire da quello della catechesi per arrivare alle letture, ai canti, all’accoglienza nell’eucaristia...

Per il giovane che vive, invece, un atteggiamento di ricerca l’impostazione del problema non può chiamare direttamente in causa la partecipazione all’eucaristia. Questa, senza escluderla, si colloca ad un certo punto del cammino di fede; essa richiede un’educazione alla preghiera, e alla preghiera fatta insieme; un’educazione al rendimento di grazie che passa attraverso l’esperienza di pagine bibliche come i salmi; una vitale conoscenza della rivelazione lungo la categoria dell’alleanza: categoria che sola, filtrata e illuminata dal Cristo, può portare a fare esperienza viva del Risorto nell’eucaristia e trasformare ogni eucaristia in «giorno del Signore».

 

Bibliografia

Oltre a quanto segnalato sotto la voce «anno liturgico», cf anche: CEI,​​ Eucaristia, comunione e comunità. Documento pastorale,​​ Roma 22 maggio 1983; Id.,​​ Il​​ giorno del Signore. Nota pastorale,​​ Roma 11 maggio 1984.

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