AGOSTINO

 

AGOSTINO

1.​​ Nato in Numidia (354), studiò letteratura latina; solo tardi e non molto il greco. Educato cristianamente dalla madre, a 16 anni fu però dominato dal piacere di “amare ed essere amato” (Confi,​​ 11,2,2). Recatosi nel 371 a Cartagine ebbe un figlio, Adeodato. A 19 anni passò al manicheismo, in cui rimase fino ai 28 anni. “Eravamo sedotti e seducevamo” (ibid.,​​ IV,1,1). Fu a Roma, poi a Milano professore di retorica; qui Monica lo trovò in preda allo scetticismo. Con la sua riflessione e la predicazione di → Ambrogio credette in Dio e all’anima spirituale. Abbandonato il manicheismo, fu catecumeno: aveva ritrovato la fede in Cristo e nella Chiesa; aveva trovato ciò che da 13 anni cercava (ibid.,​​ VII,21,27). Si ritirò a Cassiciaco, si preparò al battesimo, che ricevette nella notte di Pasqua insieme al figlio e ad Alipio: “Fummo battezzati e fuggì da noi ogni affanno della vita trascorsa” (ibid.,​​ IX,6,14). Ricorderà sempre Ambrogio, venerato “come padre, perché mi ha generato... in Cristo Gesù”​​ (Contra​​ Jul.,​​ 1,3,10). Tornò a​​ Tagaste​​ dove condusse vita monastica; divenuto prete, dietro acclamazione del popolo, fu zelante pastore, polemizzò contro gli eretici, predicò al popolo. Venne ordinato vescovo forse nel 396. Infaticabile l’attività episcopale: specie la predicazione al popolo, improvvisata o preparata, semplice e profonda, sabato e domenica, talora per più giorni di seguito. Eccelleva tra i vescovi africani, vinse manichei, donatisti, pelagiani. Morì nel 430, durante l’assedio dei Vandali a Ippona.

2.​​ La teoria cat. di A. è espressa soprattutto nel​​ De catechizandis rudibus,​​ manuale di metodologia cat., in 27 cc., di cui cc. I-XV teorici, cc. XVI-XXVII pratici (due esempi); è la risposta a un diacono di Cartagine, catechista scoraggiato, incaricato di accostare i “rudes”, principianti pagani, anche colti, ma desiderosi del contenuto essenziale del cristianesimo: unico esempio patristico di tal genere. Tre fasi: 1)​​ Racconto​​ (narratio):​​ con metodo storico-globale si presenti tutta la storia della salvezza (narratio piena), mediante fatti essenziali (mirabiliora), e i secondari solo a rapidi cenni (III,5): emergeranno i nodi della storia della salvezza (articuli temporis), di cui il principale è “l’evento-Cristo”, sintesi degli altri; e la continuità tra AT e NT: “L’AT è il velo del NT e nel Nuovo si manifesta l’Antico” (IV,8). Fine della Rivelazione è la “charitas”, finalizzazione della “narratio”, in modo che “chi ti ascolta, ascoltando creda, credendo speri, sperando ami” (l.c.). Apice della “charitas” divina è Cristo: la Scrittura “narra Cristo e spinge ad amare” (l.c.). 2)​​ Aprire alla speranza​​ (cohortatio):​​ è la “speranza della risurrezione» (VII,11): «Sarà difficile a Dio ... restituire al tuo corpo l’insieme dei due elementi, se egli ha potuto crearlo, quando non esisteva”? (XXV,46). La storia della salvezza va così dalla creazione alla risurrezione. Si stabilisca il nesso tra C. e vita, anzi si dilati l’orizzonte alla storia universale e ultima: “(Le due città) ora sono mescolate secondo il corpo, ma distinte secondo lo spirito; in futuro, nel giorno del giudizio saranno separate anche secondo il corpo” (XIX, 31). La speranza del rudis è Cristo risorto, motore della storia. 3)​​ Procurare gioia​​ (hilaritatis comparatio):​​ la gioia contro la noia è necessaria al catechista e al catechizzando. A. espone sei elementi contro la gioia, indicandone altrettanti rimedi (X-XV). Avviene allora che “(i catechizzandi) pronunciano, per così dire, per bocca nostra le cose che ascoltano; e noi apprendiamo da essi, in certo modo, le cose che insegniamo” (XII,17). Attenzione all’ascoltatore: “A seconda della varia espressione (del catechizzando) il mio discorso prende avvio, procede e termina”, secondo la carità (XV,23).

L’opera esercitò notevole influsso in Cassiodoro (sec. IV), Isidoro di Siviglia (sec. VII), Alcuino e Rabano Mauro (sec. IX), Petrarca, Erasmo, Vives, poi in Fleury, fino ad oggi. C’è chi la ritiene un manuale di C. generale (Capelle, Michel, Seage; però solo 9 paragrafi su 55 sono tali!), chi una teoria di C. di prima iniziazione (Van der Meer, Busch, Bareille, H. Leclercq, Combès, Farges). Chi vi coglie la “narratio” della storia della salvezza come idea centrale, chi invece (non fondatamente) la manifestazione della Chiesa, rilevando la disposizione del contenuto dottrinale in chiave kerygmatica (G. C. Negri), chi infine vi vede con più ragione la presentazione della “charitas” divina in Cristo (Istace, G. Oggioni, Trapé).

3.​​ La prassi cat. di A. è rivolta a diverse categorie di persone.​​ Ai principianti:​​ cf i due esempi in​​ De cat. rud.​​ (XVI-XXV;​​ XXVI-XXVII)​​ tra racconto ed esortazione alla speranza. Per le altre categorie, ci sono i​​ sermones.​​ Ai catecumeni:​​ consegna del Simbolo (pactum fidei) (serm.​​ 212,1; 214,12) contenente “breviter... tutto ciò che credete” (serm.​​ 212,1); “Symbolum est breviter complexa regula fidei» (serm.​​ 213,1): Scrittura e Tradizione. A. espone la verità riguardante Dio Padre, il Verbo Incarnato “in forma servi”, ma glorioso in cielo, lo Spirito S.: “Haec Trinitas unus Deus est» (serm.​​ 212,1), la Chiesa, casta come Maria e peccatrice nei figli, infine il “finis sine fine erit resurrectio carnis” (serm.​​ 213,9). Il Simbolo prima trasmesso (Traditio Symboli), imparato a memoria, scritto solo nel cuore, deve essere “reso” recitato a memoria (Redditio Symboli): “Singuli hodie reddidistis”, cf​​ In redditione Symboli​​ (serm.​​ 215,1-9).​​ Ai “competentes”,​​ iscritti per prepararsi al battesimo: C. morale sui doveri cristiani: “Noi spargiamo la semente della parola, voi rendete i frutti della fede” (serm.​​ 216,1 ) per osservare il “patto” e tendere alla vita eterna: “Ut competentes competenter adolescite in Christo, ut in virum perfectum iuveniliter accrescatis” (ivi,​​ 7).​​ Ai neofiti​​ (infantes,​​ nati a Cristo,​​ serm.​​ 228,1): la storia del pane e del vino viene rapportata alla storia dei neofiti battezzati e cresimati (mistagogia): “Poi c’è stato il battesimo e siete stati come impastati con l’acqua per prendere la forma del pane. Ma ancora non si ha il pane, se non c’è il fuoco. E che cosa esprime il fuoco, cioè l’unzione dell’olio? Infatti l’olio, che è alimento per il fuoco, è il segno sacramentale dello Spirito S.” (serm.​​ 227,1). «Abbiamo loro spiegato il sacramento dell’Orazione del Signore, con cui debbono pregare; e così anche il sacramento del fonte e del battesimo” (serm.​​ 228,3). Così la mistagogia circa l’eucaristia: “Dovete conoscere ciò che avete ricevuto, ciò che riceverete, ciò che ogni giorno dovrete ricevere” (serm.​​ 227). “Ciò che vedete è il pane e il calice: ve lo annunciano anche i vostri occhi; ma per la vostra fede ... il pane è il corpo di Cristo, il calice è il sangue di Cristo» (serm.​​ 272,1). Sbocco finale è l’unità: “Se avete ricevuto bene, voi stessi siete ciò che avete ricevuto” (serm.​​ 227). “Siate ciò che vedete, e ricevete ciò che siete” (serm.​​ 272,1). “Chi riceve il mistero dell’unità, e non conserva il vincolo della pace, non riceve il mistero a suo favore, ma un testimonio a propria condanna” (ivi). Ai fedeli-,​​ è la C. postbattesimale o permanente che troviamo, oltre che in vari discorsi, che meriterebbero di essere individuati con cura, nel​​ De agone christiano liber 1,​​ manuale per i fedeli con spiegazione del Simbolo e precetti morali, in “humili sermone”, contenente “regulam​​ fidei et praecepta vivendi” (Retract.,​​ 2,3).

Bibliografia

1.​​ Fonti

De catechizandis rudibus,​​ PL 40,309-348; CCL 46, 115-178. Trad. ¡tal.: Brescia, La Scuola, 1963; A. Velli (ed.),​​ La catechesi dei princi pianti. De catechizandis rudibus,​​ Roma, Ed. Paoline, 1984; Numerose prediche di indole cat.

2.​​ Studi

J. Daniélou,​​ La catechesi nei primi secoli,​​ Leumann-Torino, LDC, 1969, 205-235; V. Grossi,​​ La liturgia battesimale in S. Agostino,​​ Roma, Inst. Patr. Aug., 1970, 1-74; Fr. Michel,​​ Le catéchiste à l’école de S. Angustia. Le “De catechizandis rudibus”, in “Catéchistes” 5 (1954) 20, 281-290; 21, 19-28; G. Oggioni,​​ Il problema dell’educazione religiosa: la ricerca del metodo didattico​​ (De cat. rud.),​​ nel vol.​​ S. Agostino educatore,​​ Pavia 1971, 77-98; O. Pasquato,​​ Rapporto tra catechesi e liturgia nella tradizione biblica e patristica,​​ in “Rivista Liturgica” 72 (1985) 39-73 (61-64);​​ Í.​​ Rodrìguez,​​ El catecumenado en la disciplina de Africa​​ según​​ S.​​ Agustín,​​ Burgos​​ 1955, 160-174; A. Trapé,​​ S. Agostino e la catechesi: teoria e prassi,​​ in S. Felici (ed.),​​ Valori attuali della catechesi patristica,​​ Roma, LAS, 1979, 117-125; Io.,​​ S. Agostino ai neofiti sullo Spirito Santo,​​ in S. Felici (ed.),​​ Spirito Santo e catechesi patristica,​​ ivi 1983, 15-21.

Ottorino Pasquato

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S. AGOSTINO D’IPPONA

(354-430)

 

Ottorino Pasquato

 

1. Vita

2. Agostino e la pastorale dei giovani

2.1. L’ottica retrospettiva nelle Confessioni

2.1.1. Il giovane Agostino e l’esperienza spirituale

2.1.2. Il giovane Agostino e l’esperienza pedagogica

2.2. La teoria pedagogico-pastorale di Agostino

2.2.1. Ruolo del maestro umano e del maestro interiore

2.2.2. Un manuale di metodologia catechistica: il​​ De catechizandis rudibus

2.3. L’azione educativo-pastorale di Agostino

2.3.1. Le disposizioni interiori

2.3.2. Azione educativa nella scuola

2.3.3. Relazioni epistolari con i giovani

2.3.4. Pastorale catechistica

2.4. Fondamenti e condizioni della pastorale anche giovanile

2.4.1. La missione

2.4.2. L’anima della pastorale

2.4.3. Modalità degli interventi pastorali

1. Vita

Presentiamo la biografia inserita nel contesto socio-religioso del tempo di Agostino.​​ Prima della conversione​​ (354-386). Nato a Tagaste in Numidia nel 354 da padre pagano (morto nel 371, battezzato), consigliere municipale, e da madre cristiana e molto pia, fu romano di lingua, di cultura e di cuore. Di ingegno vivacissimo, studiò a Tagaste, poi a Madaura per quattro anni dagli 11 ai 16, infine nel 391 a Cartagine, dove, dominato dal piacere di «amare e di essere amato»​​ (Conf.​​ 11,2,2) ebbe un figlio, Adeodato; si conservò però studioso e onesto. Educato cristianamente, rimase nelle intenzioni sempre un cristiano. A 19 anni, leggendo​​ YOrtensio​​ di Cicerone si convertì alla sapienza, ma deluso dalle Scritture, assillato dal problema del male, passò al manicheismo, in cui fino a 28 anni fu semplicemente «uditore», anche se fervido propagandista: «Eravamo sedotti e seducevamo»​​ (Conf.​​ IV, 1,1). Insegnò retorica a Cartagine, a Roma e a Milano. Dopo nove anni, riconosciuta la fragilità del sistema manicheo, a Milano cadde nello scetticismo e qui lo trovò Monica, sua madre. Iniziò il cammino di ritorno con la sua riflessione e con la predicazione di Ambrogio: credette in Dio, nella spiritualità dell’anima, accettò l’autorità della Chiesa e, meditando Paolo, scoprì la mediazione di Cristo redentore, fonte della grazia. Aveva vinto così il naturalismo con somma gioia di Monica: aveva 32 anni​​ (Conf.​​ VII,21,27).

Dal battesimo al sacerdozio​​ (386-391). L’abbandono di ogni sogno di gloria terrena e la scelta della verginità coronò la conversione. Si ritirò a Cassiciaco (l’odierna Cassago?) con Monica, Adeodato, il fratello, Alipio e altri, vivendo tra orazione, lavoro e studio; si preparò al catecumenato e al battesimo. Ritornando a Milano nel marzo seguente, sabato santo (24-25 aprile) insieme al figlio e ad Alipio fu battezzato: «E fummo battezzati e fuggì da noi ogni affanno della vita trascorsa»​​ (Conf.​​ IX,6,14). Egli ricorderà sempre Ambrogio «Che venero come padre, perché mi ha generato... in Cristo Gesù»​​ (Contro Jul.​​ 1,3,10). Diretto in patria, raggiunta Roma (a Ostia muore la madre), ritornò a Tagaste, dove condusse vita monastica.

Il periodo del sacerdozio​​ (391-396). Sceso a Ippona nel 391, vi incontrò la sorpresa del sacerdozio, che accettò a fatica. Fondò un monastero, in cui visse con altri come monaco sacerdote. Per volontà del vescovo, e contro l’usanza africana, esercitò il ministero della Parola​​ (Ep.​​ 21). Nel 395-396 fu consacrato vescovo ausiliare, ma nel 397 rimase solo al governo della diocesi di Ippona. Si ritirò nella casa vescovile, che trasformò in monastero di chierici ipponesi​​ (Serm.​​ 355,356). Completò la sua cultura biblico-patristica. In questo periodo scrisse numerose opere esegetiche e teologiche.

Dall’episcopato alla morte​​ (396-430). Crebbe l’attività letteraria, dottrinale e pastorale. Per la chiesa d’Ippona esercitava l’attività della predicazione, sabato e domenica, spesso per più giorni di seguito e anche due volte al giorno; l’udienza episcopale lo occupava notevolmente con cause giudiziarie; intense erano la cura dei poveri e degli orfani, la formazione del clero, l’organizzazione dei monasteri maschili e femminili, oltre che l’amministrazione dei beni ecclesiastici. Per la chiesa africana fu benemerito con la partecipazione ai concili e con i frequenti viaggi a scopo ecclesiale. Alla chiesa universale diede il suo contributo con le controversie dogmatiche, la pubblicazione di numerose opere per confutare i manichei, i donatisti, i pelagiani e i semipelagiani. Ricordiamo le opere​​ Sulla Trinità, La Città di Dio, Genesi alla lettera, Commento a Giovanni, Esposizioni sui salmi, Lettere, Discorsi,​​ di cui rimangono circa 570, fonti preziose per conoscere la sua azione pastorale, anche giovanile. Mori il 28 agosto del 430 a Ippona, durante l’assedio dei Vandali.

 

2.​​ Agostino e la pastorale dei giovani

Accettò riluttante il peso del ministero sacerdotale ed episcopale per la responsabilità che implicava e per il contrasto, per lui irriducibile, tra ideale contemplativo e quello di lavoro apostolico. Ubbidì, anche se piangendo, alla volontà di Dio. «L’amore della verità ricerca la quiete della contemplazione, la necessità dell’amore accetta l’attività dell’apostolato»​​ (De civ. Dei​​ 19,19). La preoccupazione sua era anche basata sulla situazione storica: nel IV-V secolo, in Africa, una città quale Ippona aveva un porto, in cui approdavano forestieri di ogni specie, piazze quali luoghi d’incontro di cittadini colti e di gente venuta dalla campagna; poteva vantare una popolazione affettuosa, ma rozza, disunita sul piano sociale e religioso (A. Trapè,​​ S. Agostino, l’uomo,​​ p. 187-188). Tutta l’azione di Agostino sacerdote e vescovo comunque è dominata da un intento pastorale (G. De Plinval). Il suo biografo, discepolo e poi collega nell’episcopato, scrisse di lui che «fu un membro esimio del Corpo del Signore, sempre sollecito e vigilantissimo per il bene della Chiesa universale» (Possidio,​​ Vita di Agostino​​ 18,6).

L’aspetto pastorale della vita di Agostino è bene illustrato da F. van der Meer,​​ S. Agostino pastore d’anime.​​ Non esistevano nella chiesa antica, né in quella medievale, strutture ecclesiastiche organizzative specifiche per i giovani, la cui formazione cristiana aveva luogo nella famiglia e nella vita liturgica insieme al popolo dei fedeli. Possiamo tuttavia individuare nell’azione pastorale di Agostino linee di pastorale orientate ai giovani e prim’ancora una disposizione interiore che lo portavano con fine intuito pedagogico ai giovani. Qualche mese dopo il battesimo riconosceva nella Chiesa cattolica la guida di ogni categoria di persone: «Tu guidi e istruisci i fanciulli con semplicità, con forza i giovani, con serenità gli anziani, tenendo conto dello sviluppo non solo fisico ma anche spirituale di ciascuno. ... Tu, sottomettendo i figli ai genitori, li guidi ad obbedire spontaneamente; e preponendo i genitori ai figli, insegni loro a comandare con trepido amore»​​ (De mor. Eccl. cath.​​ 1,30,63). È significativo rilevare in primo luogo il giudizio che Agostino dà di sé stesso, quando adulto ripensa alla sua fanciullezza e giovinezza.

 

2.1. L’ottica retrospettiva nelle Confessioni

Egli conobbe da giovane uno sviluppo carico di tensioni. Le Confessioni costituiscono, oltre che una lode a Dio, anche un diario retrospettivo, un dialogo appassionato con sé stesso (W. Jentsch,​​ Handbuch,​​ p. 103). Vi si trova descritta, forse per la prima volta nella storia della Chiesa, la storia della genesi della fede in un giovane. Divenuto pastore, egli sarà ancora sotto l’influsso di questa sua esperienza personale. Non deve perciò sfuggire il rapporto tra la sua conversione e la sua successiva cura pastorale specie quella verso i giovani.

 

2.1.1. Il giovane Agostino e l’esperienza spirituale

È da rilevare il ruolo di primo piano che la madre sua, Monica, ebbe nella sua formazione (come lo ebbe Antusa per il Crisostomo) e il ricordo vivo che ne ebbe Agostino per sempre (1,7,11), anche se da adulto lamenterà la solitudine in cui venne a trovarsi a 16 anni in età pubere (11,2,3). A Milano il giovane Agostino perverrà alla conversione sotto la guida di consiglieri spirituali (VIII,6,13ss). Non è né facile né breve presentare le deduzioni pedagogico-pastorali di Agostino dalla sua dottrina teologica, soprattutto perché la eccezionale unitarietà della sua personalità lo spingeva a unire teoria e prassi, teologia e vita, così come altrettanto arduo è collegare la sua esperienza spirituale giovanile con la sua pastorale ai giovani. Sta di fatto comunque che egli fu grande teologo, mistico e grande pastore al tempo stesso: le sue concezioni teologiche vengono da lui trasposte nella sua intensa azione pastorale (W. Jentsch,​​ ivi,​​ p. 105). In un tempo in cui la pedagogia classica era pervenuta al suo termine, Agostino in occidente (come il Crisostomo in oriente) si colloca all’interno della stabile forza pedagogica della Chiesa, in qualità di guida del cristiano e, non ultimo, del giovane, anche se, dato lo spessore della paideia greca, egli non poteva rimpiazzarla del tutto con le nuove idee cristiane (O. Pasquato,​​ Educazione classica,​​ p. 24-32).

 

2.1.2. Il giovane Agostino e l’esperienza pedagogica

«Sebbene non abbiamo nell’opera di Agostino né una storia dell’educazione, né un trattato di pedagogia o di didattica, sembra legittimo prendere in essa notizie e giudizi sopra la scuola di quell’età» (M. Pellegrino,​​ Aspectospedagogicos,​​ p. 53). Agostino fu inviato a scuola a 7 anni (1,9,14); il programma preparatorio alla grammatica era di «imparare a leggere, a scrivere e a computare» (1,13,20) e di apprendere i primi elementi della lingua latina e greca (1,14,23). Dagli 11 o 12 anni fino ai 15 a Madaura frequentò la scuola di grammatica (11,3,5) in cui, tra l’altro, si leggevano gli autori classici: Agostino vescovo deplora questi studi per le letture scandalose che vi si facevano (1,16,25-26). Anch’egli, come il Crisostomo, giudica negativamente la scuola, specie per la finalità vanagloriosa (1,12,19) di preparare i giovani a una brillante carriera, fonte di ricchezza (1,9,14); deve anche rimproverare a sé stesso di preferire il gioco e gli spettacoli agli studi. Il metodo mnemonico usato per apprendere gli riusciva odioso: l’«uno più uno due, due più due quattro: era una cantilena odiosa per me» (1,13,22).

Circa i castighi, Agostino ne ammette la legittimità, se sono necessari (1,9,15) e, pur confessando la sua disubbidienza a genitori e a maestri, concludeva che sbagliavano sia questi, spingendo allo studio per scopi di vanagloria, sia egli stesso, che rifuggiva dallo studio per fini parimenti riprovevoli (1,12,19). I castighi erano una prassi usuale​​ (Senn.​​ 70,2), anzi questi «tormenti degli scolari»​​ (Opus Imperf.​​ VI,9)​​ fanno parte del bagaglio di miserie della vita, quali conseguenze del peccato originale. Finisce però coll’accettarli in linea con la Scrittura, e come il mezzo punitivo usato «dai maestri delle arti liberali, dai padri medesimi, e spesso dai vescovi anche nei loro tribunali»​​ (Ep​​ 133,2). Al progresso nello studio riesce però più efficace lo stimolo dell’interesse cordiale e sentito che i castighi. Allo studio della grammatica seguì lo studio della retorica, per cui a 16 o 17 anni venne a Cartagine (III,1,1), ove studiò con appassionato impegno più che i compagni, dissipati e tumultuosi. È più severo il suo giudizio su questi studi che sui precedenti: egli tendeva a eccellere «col fine riprovevole e vano di soddisfare la vanità umana» (III,4,7) in una splendida carriera forense. Allorché in seguito, alla luce della fede, comprenderà che la salvezza non sta nella retorica (VIII,2,5), ma nel verbo, affermerà che è questo che «fa parlare le lingue dei fanciulli» (VIII,5,10; cf Sap 10,21).

Superficiale in religione, non omette che da ragazzo pregò il Signore per il buon esito degli studi, così come da bambino lo aveva pregato per non essere percosso: «Incontrammo allora, o Signore, uomini che pregavano, e da essi, secondo l’infantile possibilità di quei giorni, appresi che tu sei qualcosa di grande, che puoi, anche senza apparire ai nostri sensi, esaudirci e aiutarci, per cui fanciullino cominciai allora a invocarti, o aiuto e rifugio mio; e scioglievo, per invocarti, i nodi della mia lingua; e, piccolo, ti pregavo, ma non con piccola angoscia, di non essere percosso nella scuola» (1,9,14).

Quanto alla sua vita morale riconosceva i propri errori: «Così piccolo fanciullo, così grande peccatore!» (I,12,19). Individua nel mancato sostegno familiare una delle cause delle sue cadute (II,3,7), cui non erano estranei l’ozio e la passione del teatro: «Mi attiravano gli spettacoli teatrali» (III,2,2). Si unì in concubinato con una donna innominata, che gli diede un figlio; ma continuò a studiare con successo. A 19 anni, «seguendo l’ordine usato nell’insegnamento di tali studi», lesse l’Ortensio​​ di Cicerone (III,4,7), che lo introdusse in quella crisi che la lettura di un altro libro, la​​ Lettera ai Romani,​​ a Milano, avrebbe concluso.

 

2.2. La teoria pedagogico-pastorale di Agostino

Oltre che in altre opere, non esclusi i​​ Discorsi,​​ essa si trova soprattutto nel​​ De Magistro​​ e nel​​ De Catechizandis rudibus.

 

2.2.1. Ruolo del maestro umano e del maestro interiore: il De Magistro

L’appassionata ricerca della verità in Agostino è tesa alla scoperta della beatitudine nella verità. È appunto la visione del fine, cui il discepolo deve orientarsi, che stabilisce il rapporto tra maestro e discepolo. I due interlocutori sono Dio e l’uomo e la sapienza è la ricerca orientata a conoscere in modo fruitivo Dio, luogo della beatitudine. Rientra qui il problema della comunicazione semantica, secondo cui si rende necessario verificare l’efficacia didattica del linguaggio nel rapporto maestro-discepolo. Per Agostino la parola ha la natura di segno (De Mag.​​ II), ma egli pare insinuare che nulla è possibile insegnare con i segni e le parole, anche se non nega l’utilità dell’insegnare, né le situazioni concrete del discepolo (T. Gregory). All’interno del discorso, precisamente, del ruolo del maestro umano si evidenziano i limiti costitutivi di una comunicazione didattica realizzata in termini di linguaggio: «Con le parole non si imparano che parole»​​ (ivi,​​ XI,36). Ciò si verifica specie a livello di concetti; pertanto si esige una loro verifica reale alPinterno di noi: «Circa le cose intelligibili noi consultiamo non colui che parla, che risuona dall’esterno, ma la stessa verità che presiede all’interno della mente, forse da quelle parole ammoniti a consultarla. E colui che è consultato insegna quello che è detto il Cristo che abita nell’uomo interiore, cioè l’immutabile (virtù) di Dio e sempiterna sapienza. Sapienza che ogni anima razionale certamente consulta, ma che a ciascuno tanto si rivela, quanto dalla sua buona o cattiva volontà è permesso»​​ (ivi,​​ XI,38). Cristo si fa maestro interiore che unisce tutti quelli che sono fatti condiscepoli suoi. E l’intendere diviene un farsi «interiormente discepolo della verità»​​ (ivi,​​ XIII,41).

Ne deriva che il ruolo del maestro umano è solo quello di insegnare il metodo per scoprire la verità latente all’interno di ogni discepolo, detentore come il maestro della stessa luce di verità. Il maestro umano ha il compito di avviare il discepolo a vivere la sua stessa esperienza sapienziale. «L’opera del maestro perciò è un’azione di amore: condurre il discepolo ad amare la luce, a desiderare vivamente la verità: quella funzione che gli era negata o almeno limitata sul piano intellettuale, ora gli viene rivendicata sul piano affettivo e volitivo: sul piano propriamente spirituale. ... Donde lo sforzo veramente educativo del maestro, per ricercare le parole esatte, per sintonizzare, per così dire, gli accenti linguistici sulla lunghezza d’onda d’ascolto del discepolo e per creare l’interesse al conoscere» (A. Lombardi,​​ S.​​ Agostino educatore,​​ p. 73). La prassi di Agostino sarà la trasposizione perfetta di questa storia.

 

2.2.2. Un manuale di metodologia catechistica: il «De Catechizandis rudibus»

Dei suoi 27 capitoli, i primi 15 sono teorici, i rimanenti pratici (due esempi); esso è la risposta di Agostino a un diacono di Cartagine, catechista scoraggiato, incaricato di accostare i «rudes» o principianti pagani, anche colti, e desiderosi del contenuto essenziale del cristianesimo: unico esempio patristico nel suo genere. L’operetta si compone di tre fasi:​​ Racconto​​ (narratio): con metodo storico-globale si presenti la storia della salvezza dall’inizio della Genesi​​ (narratio piena),​​ mediante fatti essenziali​​ (mirabiliora),​​ mentre i secondari solo a rapidi cenni (III,5): emergeranno i nodi della storia della salvezza​​ (articuli temporis),​​ di cui il principale è «l’evento Cristo», sintesi degli altri e anche la continuità tra AT e NT: «L’AT è il velo del NT e nel Nuovo si manifesta l’Antico» (IV,8). Fine della rivelazione è la​​ charitas,​​ finalizzazione della​​ narratio,​​ in modo che «chi ti ascolta, ascoltando creda, credendo speri, sperando ami» (l.c.). Apice della​​ Charitas​​ divina è Cristo: la Scrittura «narra Cristo e spinge ad amare» (l.c.).

Aprire alla speranza​​ (cohortatio): è la «speranza della risurrezione» (VII, 11): «Sarà difficile a Dio ... restituire al tuo corpo l’insieme dei due elementi, se egli ha potuto crearlo, quando non esisteva?» (XXV,46). La storia della salvezza va pertanto dalla creazione alla risurrezione. Si stabilisca il nesso tra catechesi e vita, anzi si dilati l’orizzonte alla storia universale e ultima: «Le due città» ora sono mescolate secondo il corpo, ma distinte secondo lo spirito; in futuro, nel giorno del giudizio saranno separate anche secondo il corpo» (XIX,31). La speranza del​​ rudis​​ è Cristo risorto, motore della storia.​​ Procurare gioia (Hilaritatis comparano)-,​​ la gioia contro la noia è necessaria al catechista come pure al catechizzando. Agostino espone sei elementi contro la noia, indicandone altrettanti rimedi (X-XV). Deriverà che «(i catechizzandi) pronunciano, per così dire, per bocca nostra le cose che ascoltano; e noi apprendiamo da essi, in certo modo, le cose che insegniamo» (XII, 17). Attenzione all’ascoltatore: «A seconda della varia espressione (del catechizando) il mio discorso prende avvio, procede e termina», secondo la carità (XV,23).

L’opera esercitò notevole influsso in Cassiodoro (sec. IV), Isidoro di Siviglia (sec. VII), Alcuino e Rabano Mauro (sec. IX), Petrarca, Erasmo, Vives, poi in Fleury fino ad oggi. C’è chi la ritiene un manuale di catechetica generale (Capelle, Michel, Seage; notiamo che solo 9 paragrafi su 55 sono di catechetica generale...), chi una teoria di catechesi di prima iniziazione (Van der Meer, Busch, Bareille, H. Leclercq, Combès, Farges). Chi vi coglie la​​ narratio​​ della storia della salvezza come idea centrale, chi invece la manifestazione della Chiesa, rilevando la disposizione del contenuto dottrinale in chiave kerigmatica, non fondatamente (G. C. Negri), chi vi vede infine con maggior ragione la presentazione della​​ charitas​​ divina in Cristo (Istace, C. Oggioni, Trapè).

 

2.3. L’azione educativo-pastorale di Agostino

Egli fu e si sentì sempre pastore ed educatore, espose e attuò i principi di una pedagogia profonda e affascinante fin da quando, ventenne appena, a Tagaste nel 374 aprì la prima scuola di grammatica.

 

2.3.1. Le disposizioni interiori

Nel fatto educativo-pastorale giocò un ruolo decisivo l’indole, la ricchezza della sua umanità e della sua esperienza, i suoi atteggiamenti interiori, in primo luogo l’appassionata ricerca della sapienza (fin dai 19 anni): «Non coglierai la verità, se non sarai entrato con tutta l’anima nella filosofia (= ricerca intellettuale, orientamento religioso, sforzo ascetico)» (Contro Acad.​​ 11,3,8). Le​​ Confessioni​​ ne sono la spiegazione, tra cui per esempio la descrizione della svolta spirituale alla lettura dell’Ortensio​​ di Cicerone (111,4,7-8). In secondo luogo viene la purificazione dell’animo (X) e l’umiltà nella ricerca, effetto dell’esperienza dell’errore e della persuasione che la verità è un bene comune, pubblico. Il desiderio del vivere insieme è motivato dal «cercare insieme, concordemente». «Infatti in questo modo sarà facile a chi ha scoperto per primo la verità condurvi gli altri senza fatica»​​ (Solil.​​ 1,12,20). Infine, altra disposizione interiore è l’aspirazione che l’uomo sia discepolo solo di Dio (che è la Verità e la comunica per illuminazione) senza l’aiuto di maestri esteriori: «La soave attrattiva della verità ci induce a imparare; il dovere della carità ci obbliga a insegnare. Dobbiamo dunque desiderare che questo stato di necessità ... finisca, e venga quella felice condizione nella quale tutti saranno ammaestrati da Dio, e solo da Dio» (De octo Dulcit. quaest.​​ q. 3,5).

 

2.3.2.​​ Azione educativa nella scuola

A 20 anni era «gramaticus» a Tagaste e prima, a Cartagine come studente, ebbe una condotta irreprensibile. I coetanei lo giudicavano un giovane «amante della quiete e dell’onestà» (Ep.​​ 93,13,51), da parte sua ambiva di «essere elegante e raffinato» (Conf. III,1,1) . Non partecipava alle imprese degli studenti turbolenti (Conf.​​ 111,3,6). Fallito il suo tentativo di educare gli scolari di Cartagine alla disciplina e all’onestà, abbandona nel 386 Cartagine, dove aveva aperto nel 376 una scuola di retorica, per trasferirsi a Roma. L’intento educativo era presente in lui già prima di convertirsi. Infatti a Cartagine era riuscito ad allontanare dai giochi del circo Alipio, suo allievo, che era stato presente a una sua lezione, in cui con un paragone preso dai giochi del circo il maestro ne aveva schernito i frequentatori. Da allora Alipio «mi prese per maestro», asserisce Agostino​​ (Conf.​​ V,7,11-12). Fin d’allora nel suo insegnamento Agostino non disgiungeva le regole della retorica da quelle della sapienza (A. Trapè, S.​​ Agostino educatore,​​ p. 27). A Cassiciaco a due giovani studenti, che contendevano per vanagloria in una discussione filosofica, disse: «Se spontaneamente mi chiamate maestro, ricompensatemi: siate buoni»​​ (De ordine​​ 1,10,29).

 

2.3.3. Relazioni epistolari con i giovani

In esse Agostino rivela fine sensibilità educativa e profonde disposizioni interiori alla formazione dei giovani. I suoi interventi, sebbene sempre appropriati, sortiscono esiti diversi. Nel caso di​​ Licenzio,​​ geniale ma superficiale, già suo allievo a Cassiciaco, che, tornato in Africa e abbandonato Agostino, gli aveva inviato un lungo poema chiedendo il suo aiuto (Ep.​​ 26), Agostino gli risponde con cordiale affetto esortandolo a consacrare a Dio l’«ingegno d’oro» e a non seppellire i doni divini sotto il tumulto delle passioni: fu lezione sprecata.

Esito positivo ebbe invece la sua risposta a una lettera del giovane​​ Leto,​​ tentato di abbandonare la vita religiosa e sacerdotale per accondiscendere alla madre. Il giovane ottemperò all’invito incisivo e lucido di Agostino: «Uccidi le ragioni di tua madre con la parola della salvezza, perdi in questo senso tua madre, affinché la ritrovi nella vita eterna... La Chiesa è madre anche di tua madre» (Ep.​​ 243,6-8).

In linea ancora con la disposizione interiore di Agostino è la risposta che questi invia a​​ Fiorentina,​​ una giovane che, per mezzo della madre, gli aveva fatto conoscere il desiderio di avere da lui risposte su problemi di vita cristiana. La sollecita risposta di Agostino, con cui la esorta ad esporgli i suoi problemi, include pure il riconoscimento umile della conoscenza del cristiano che di fronte all’ignoranza di cose necessarie o ottiene da Dio la grazia d’apprendere ciò che non sa, oppure deve rivolgersi a Dio, unica fonte di verità: «Ti risponderò per dirti a chi dobbiamo tutti e due rivolgerci per imparare ciò che tutti e due ignoriamo» (Ep.​​ 266,1). «Io infatti non sono un dottore perfetto, ma un dottore che si va perfezionando insieme a quelli ai quali insegna. ...in verità, sarebbe molto meglio che tutti fossimo discepoli solo di Dio; ciò che certamente avverrà nella patria celeste, quando si compirà in noi quanto ci è stato promesso». Mettendosi a disposizione della giovane, Agostino conchiude: «Perché, tuttavia, tu ritenga fermissimamente che, quantunque potrai imparare da me qualcosa di utile alla salvezza, ti sarà maestro Colui che è il maestro interiore dell’uomo interiore, Colui che nella tua mente ti mostra che è vero ciò che viene insegnato»​​ (Ep.​​ 266,2). Un posto speciale occupa la nota lettera a​​ Dìoscoro (Ep.​​ 118), vero trattateli di pedagogia cristiana a un giovane studente e che sottolinea l’umiltà e la sapienza del cristiano. È risposta a una lettera​​ (Ep.​​ 117, nell’epistolario di Agostino, scritta forse nel 410) di un giovane greco di nascita, studente di «humanae litterae» in Africa e della cui conversione Agostino scriverà ad Alipio​​ (Ep.​​ 227, del 429).

Nella sua lettera Dioscoro aveva presentato ad Agostino molti quesiti intorno ai​​ Dialoghi​​ di Cicerone, pregandolo di rispondergli «senza indugio», perché era in procinto di partire per mare e temeva che, se venisse interrogato colà su tali questioni, non avrebbe saputo rispondere e perciò «sarebbe giudicato un ignorante e uno stupido». Agostino risponde:

1. (1,1-2,12) — Un vescovo non può aver tempo di «spiegare le questioncelle dei Dialoghi di Cicerone a uno studentello» (1,2). Tuttavia gli risponderà, non per risolvere i quesiti inviatigli, ma per «strappare da un legame infelice la tua felicità che tu fai dipendere dal giudizio malsicuro e instabile degli uomini, e per legarla a un cardine assolutamente stabile e inconcusso» (1,3) ...«sul quale edificare la dimora della tua pace» (1,6). Agostino, che «una volta vendeva (codeste) ciance ai ragazzi​​ (Conf.​​ IV,2,2) non desidera «che tu sia ancora un ragazzo, e a me non s’addice più di essere né venditore, né largitore di bagattelle puerili» (2,9). Per insegnare la «dottrina cristiana», unica via alla «speranza della salvezza eterna», non c’è bisogno di conoscere i dialoghi di Cicerone (2,11). Se mai diamoci pensiero «degli eretici che si mascherano sotto il nome di cristiani, anziché di Anassagora e di Democrito» (2,12).

2. (3,13-16) — Agostino discute del fine degli studi e del bene sommo, la cui conoscenza non deve essere differita «nemmeno nel programma ben ordinato dei tuoi studi, soprattutto all’età a cui sei giunto». «Chi infatti cerca come arrivare alla felicità, in realtà non cerca altro che dove risiede la somma perfezione del bene»; in essa «è la gioia più serena dell’amore più completo» (3,13).

3. (3,17-22) — Agostino esorta Dioscoro ad abbracciare la filosofia cristiana, che, unica, ci può far comprendere l’umiltà di Cristo: «A Cristo, caro Dioscoro, vorrei che ti assoggettassi con la più profonda pietà e che, nel tendere alla verità e nel raggiungerla, non ti aprissi altra via che quella apertaci da lui il quale, essendo Dio, ha veduto la debolezza dei nostri passi. La prima via è l’umiltà, la seconda è l’umiltà e la terza è ancora l’umiltà» (3,22).

4. (4,23-31) — Rassegna delle sentenze dei filosofi intorno a Dio e il giudizio di Agostino: «Proprio per insegnare quest’umiltà necessaria alla salvezza, nostro Signore Gesù Cristo umiliò sé stesso: a questa umiltà s’oppone una, chiamiamola così, ignorantissima scienza (quella dei filosofi ionici)» (4,23).

5. (5,32-35) — Gesù Cristo è la verità personificata, cui interi popoli ormai aderiscono. «...il Signore ... ha munito come di una roccaforte l’autorità della Chiesa» mediante numerosissime comunità e l’ha dotata di mezzi di difesa che sono le argomentazioni irrefutabili di persone «piamente istruite e veramente spirituali» (5,32). Agostino conclude asserendo: «Quanto più progredirai nella verità, tanto più apprezzerai la mia esposizione: allora apprezzerai pure questo mio proposito che adesso ritieni poco utile ai tuoi studi» (5,34).

 

2.3.4. Pastorale catechistica

Ai principianti,​​ cf i due esempi in​​ De cat. rud.​​ (XVI-XXV-XXVI-XXVII) tra racconto ed esortazione alla speranza. Per le altre categorie ci sono i​​ sermones.

Ai catecumeni: consegna del Simbolo (pactum fidei)​​ (Serm.​​ 212,1; 214,12) contenente​​ «breviter...​​ tutto ciò che credete»​​ (Serm.​​ 212.1) ; «Symbolum est breviter complexa regula fidei» (Serm.​​ 213,1): Scrittura e Tradizione. Agostino espone la verità su Dio Padre, il Verbo Incarnato «in forma servi», ma glorioso in cielo, lo Spirito S.: «Haec Trini tas unus Deus est» (Serm.​​ 212,1), su la Chiesa, casta come Maria e peccatrice nei figli, infine «finis sine fine erit resurrectio carnis» (Serm.​​ 213,9). Il Simbolo prima trasmesso (Traditio Symboli),​​ imparato a memoria, scritto solo nel cuore, deve essere «reso» recitato a memoria (Reddìtio Symboli): «Singuli hodie reddidistis» (cf​​ Serm. In redditione Symboli​​ 215,1-9).

Ai​​ «competentes», iscritti per prepararsi al battesimo: catechesi morale sui doveri cristiani: «Noi spargiamo la semente della parola, voi rendete i frutti della fede» (Serm.​​ 216,1) per osservare il «patto» e tendere alla vita eterna: «Ut competentes competenter adolescite in Christo, ut in virum perfectum iuveniliter accrescatis» (ivi,​​ 7).

Ai neofiti (infantes,​​ nati a Cristo,​​ Serm. 228.1): la storia del pane e del vino viene rapportata alla storia dei neofiti battezzati e cresimati (mistagogia): «Poi c’è stato il battesimo e siete stati come impastati con l’acqua per prendere la forma del pane. Ma ancora non si ha il pane, se non c’è il fuoco. E che cosa esprime il fuoco, cioè l’unzione dell’olio? Infatti l’olio, che è alimento per il fuoco, è il segno sacramentale dello Spirito S. (Serm.​​ 227,1). «Abbiamo loro spiegato il sacramento dell’Orazione del Signore, con cui debbono pregare; e così anche il sacramento del fonte e del battesimo» (Serm.​​ 228,3). Così la mistagogia circa l’eucaristia: «Dovete conoscere ciò che avete ricevuto, ciò che riceverete, ciò che ogni giorno dovrete ricevere» (Serm.​​ 227). «Ciò che vedete è il pane e il calice: ve lo annunciano anche i vostri occhi; ma per la vostra fede ...il pane è il corpo di Cristo, il calice è il sangue di Cristo» (Serm.​​ 272.1) . Sbocco finale è l’unità: «Se avete ricevuto bene, voi stessi siete ciò che avete ricevuto» (Serm.​​ 227). «Siate ciò che vedete, e ricevete ciò che siete» (Serm.​​ 272,1). «Chi riceve il mistero dell’unità, e non conserva il vincolo della pace, non riceve il mistero a suo favore, ma un testimonio a propria condanna» (Ivi).

Ai fedeli: è la catechesi postbattesimale o permanente che troviamo, oltre che in vari discorsi che meriterebbero di essere individuati con cura, nel​​ De agone christiano liber 1,​​ manuale per i fedeli con spiegazione del Simbolo e precetti morali, in «humili sermone», contenente «regulam fidei et praecepta vivendi» (Retract.​​ 2,3).

 

2.4. Fondamenti e condizioni della pastorale anche giovanile

È possibile individuare alcune linee di fondo in Agostino circa la sua pastorale.

 

2.4.1. La missione

Sull’idea di missione Agostino costruisce la sua teologia pastorale (M. Pellegrino,​​ S. Agostino pastore,​​ p. 319). Unico pastore nella Chiesa è Cristo, pastore invisibile, di cui i pastori visibili sono membra; egli al tempo stesso si fece pecora immolata per noi (7>.​​ in Gv.​​ 46,5.7). Pertanto la fecondità dell’azione dei pastori è rinviata all’azione interiore di Cristo nelle anime: «Noi parliamo dall’esterno, egli costruisce nell’interno. ... È lui che edifica...; e tuttavia anche noi, come operai, lavoriamo»​​ (En. inps.​​ 126,2). I buoni pastori fanno una cosa sola con Cristo, come Pietro che ricevette il primato, perché amava Cristo e divenne così una sola cosa con lui (unità nella carità): «(Cristo) voleva affidare a lui le pecore, in modo che egli fosse il capo, egli portasse la figura del corpo, cioè della Chiesa e, come lo sposo e la sposa, fossero due in una sola carne» (Serm.​​ 46,30). Ne deriva che la missione pastorale si attua solo nella chiesa. «La Chiesa generò dei figli, li costituì, al posto dei loro padri (apostoli), principi su tutta la terra» (En .in ps.​​ 44,32).

 

2.4.2. L’anima della pastorale

È la carità in linea con Paolo (Fil 2,21): «Agostino cercava non le proprie cose, ma quelle di Gesù Cristo» (Possidio,​​ Vita di Agostino,​​ 21,1). «Non siamo vescovi per noi, ma per coloro ai quali dispensiamo la parola e il sacramento del Signore» (Contro Crescono​​ 11,13). Il pastore testimonia il suo amore a Cristo col pascere le sue pecore (Serm. Denis​​ 12,1). Così unito a Cristo il pastore si nutrirà del nutrimento di Cristo e con esso alimenterà il suo gregge: «Se vi dico qualcosa di Cristo, perciò questo vi pasce, perché è di Cristo, perché è il pane comune, di cui pure io vivo, se vivo» (Serm. Guelf.​​ 29,4) . Per Agostino la cura pastorale trae il proprio significato dall’unica mistica fra Cristo e i fedeli, tra il capo e le membra, il pastore e il gregge: un esempio concreto egli l’ha esposto nell’operetta già presentata​​ De catechizandis rudibus.​​ Se poi la carità del pastore sia finalizzata a Cristo o ai fratelli risulta, dopo quanto detto, domanda superflua (M. Pellegrino, S.​​ Agostino pastore,​​ p. 332). Per Agostino, inoltre, la carità è una forma di castità dell’anima che ama Dio, suo sposo, senza ricercare sé stessa (Serm.​​ 137,10). Alla carità egli accompagna l’umiltà. Il pastore deve imitare l’umiltà di Cristo, che è la porta ed è umile: chi entra per questa porta deve umiliarsi (abbassarsi), se non vuole rompersi la testa (7>.​​ in Gv.​​ 45,5). Pur al di sopra dei fedeli per la dignità episcopale, il vescovo rimane loro «compagno di lavoro» (cooperatore;​​ Serm.​​ 49,2), un «conservo»​​ (Serm. Guelf.​​ 9,4): «Per voi siamo come dei pastori, ma, sotto quel pastore, siamo con voi delle pecore. Da questo posto, siamo per voi come dei maestri, ma, sotto quell’unico Maestro, in questa scuola siamo vostri condiscepoli» (En. inps.​​ 126,3). E ancora: «Mentre mi sgomenta ciò che sono per voi, mi conforta ciò che sono con voi. Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano: quello è il titolo di un impegno ricevuto, questo invece titolo di grazia; quello fonte di pericolo, questo fonte di salvezza»​​ (Serm.​​ 340,1). Si avverte il timore d’essere pastore e la gioia di essere cristiano (A. Trapè,​​ Il sacerdote,​​ p. 128).

 

2.4.3. Modalità degli interventi pastorali

Primo impegno del pastore è la testimonianza: imitare Cristo per farlo imitare dagli altri​​ (Serm.​​ 47,12). Importantissimo è lo zelo per la predicazione: la Parola di Dio è il pane che il vescovo, servo di Dio, accosta alle anime​​ (Serm.​​ 339,4). La Parola di Dio può venire fraintesa: «Vedete come sia pericoloso udire, se non s’intende»​​ (Serm.​​ 128,7). Il predicatore quindi è colui che schiude il significato esatto della Scrittura: «Noi siamo i vostri codici»​​ (Serm.​​ 227). Egli deve poi essere coraggioso nel presentare la Scrittura, anche nei suoi testi più esigenti; tacere sarebbe da mercenario e Agostino non tace: «Potrei tacere, ma ho timore di tacere. Sono costretto a predicare. Atterrito, atterisco. Temete con me, per poter gioire con me»​​ (Serm.​​ 40,5) .

Il predicatore deve inoltre saper discernere i destinatari: «A tutti è dovuta la medesima carità; ma non a tutti è da somministrare la medesima medicina»​​ (De cat. rudibus​​ 23). La predicazione di Agostino era popolare, alla portata di tutti, anche dei ragazzi, familiare, comunicativa: «Preferisco essere criticato dai grammatici che non essere compreso dal popolo»​​ (En. in ps.​​ 36;​​ Serm.​​ 3,6). Il popolo lo ascoltava reagendo, applaudendo, interrompendo e al di là delle parole coglieva il cuore di Agostino: «Che cosa voglio, che cosa desidero, che cosa bramo, perché parlo? Perché qui siedo, perché vivo? Se non perché tutti viviamo insieme con Cristo?... Non voglio essere salvo senza di voi»​​ (Serm.​​ 17,3).

Oltre che predicatore, egli fu un esemplare celebrante: celebrava catechizzando e catechizzava celebrando (cf O. Pasquato,​​ Rapporto tra catechesi e liturgia,​​ pp. 61-64). Come il Crisostomo, ha valorizzato al massimo l’eucaristia, luogo privilegiato di pastorale, specie giovanile. L’eucaristia, «vincolo di unità», costruisce la Chiesa, che trova in essa l’idea-chiave per la propria comprensione. Egli si fa celebrante catecheta: la realtà del Corpo mistico (il Cristo totale) è da lui spiegata partendo dalla realtà del pane e del vino​​ (Serm. Denis​​ 6,1-2). I sacramenti gli si rivelano quali segni, perciò cangianti e temporanei​​ (Serm.​​ 57,7,7). «E come il​​ sacramentum​​ della Scrittura gli fa scorgere, al di là della lettera dei salmi, il Cristo e la sua Chiesa, così il sacramento-segno del pane e del vino, simboli di unità, gli fa scorgere il Cristo e il suo Corpo mistico. Appunto in quanto segni i sacramenti esigono di essere oltrepassati, perché venga raggiunta attraverso di essi la realtà significata» (O. Pasquato,​​ Eucaristia e Chiesa,​​ p. 62). Il pane è il Corpo di Cristo (i fedeli): «Se avete ricevuto bene (il sacramento), siete voi che avete ricevuto»​​ (Serm.​​ 227). «Se quindi voi siete il Corpo di Cristo e le sue membra, il vostro mistero è posto sulla mensa del Signore, a ciò che siete rispondete: “Amen” e rispondendo sottoscrivete»​​ (Serm.​​ 272).

La sua teologia pastorale si concretizzava pure nel soccorso ai poveri, agli orfani, alle vedove e ai malati. Donava del suo prima di farsi «ambasciatore dei poveri» presso il popolo​​ (Serm.​​ 61,13; A. Trapè,​​ Il sacerdote,​​ p. 145). Le gioie che egli si ripromette dalla cura pastorale è la vita cristiana dei fedeli: «Tutte le mie ricchezze consistono nella speranza che ho su di voi in Cristo. Non v’è gioia per me, né sollievo, né respiro in mezzo ai pericoli e le prove, se non la vostra vita buona» (Serm.​​ 232,8). Ai fedeli egli chiede l’ascolto, la docilità, l’aiuto (anche materiale), la collaborazione, la preghiera e, in particolare, la imitazione nel fare le veci del vescovo in famiglia, col difendere Cristo, col curare la perseveranza nella fede dei familiari​​ (Serm.​​ 94), con l’influire sui figli, i servi, gli amici allo scopo d’impedire disordini​​ (Serm.​​ 302,19).

La sua azione pastorale è intensa. Pur aspirando alla quiete della contemplazione, deve «invece predicare, rimproverare, correggere, edificare, attendere ai bisogni di ciascuno: è un gran peso, un gran carico, una grande fatica. Chi non rifuggirebbe da questa fatica? Ma mi spaventa il vangelo»​​ (Serm.​​ 339,4) . Fu costretto a scrivere così: «...siamo assillati da tante questioni che a stento riusciamo a respirare»​​ (Ep.​​ 48,1) e «...mi stillano appena pochissime gocce di tempo»​​ (Ep.​​ 110,5).

In questo contesto più ampio della vita del popolo di Dio Agostino, al di là degli specifici interventi verso i giovani presentati sopra, esercitava la sua pastorale anche verso questi insieme agli adulti, in seno a tutta la Chiesa, dove tutti sono figli di Dio.

 

Bibliografia

Fonti:​​ Possidio,​​ Vita di Agostino,​​ a cura di M. Simonetti, Città Nuova Ed., Roma 1977; Agostino,​​ Le Confessioni,​​ Città Nuova Ed., Roma 1965; Id.,​​ Il maestro,​​ a cura dì A. Mura, Ed. Atena, Roma 1965; Id.,​​ La catechesi dei principianti. De catechizandis rudibus,​​ Ed. Paoline, Roma 1984; Id.,​​ Esposizioni sui salmi-, Discorsi,​​ Città Nuova Ed., Roma 1967... (vari volumi); Id.,​​ Antologia pedagogica,​​ a cura di V. Miano, S.E.I., Torino 1958.

Studi:​​ Pasquato O.,​​ I Padri educatori alla fede, pastori e guide del popolo di Dio,​​ in «Credere Oggi»​​ 21-3 (1984) 74-93; Id.,​​ Rapporto tra catechesi e liturgia nella tradizione biblica e patristica,​​ in Riv. Lit.​​ 1 (1985) 39-73; Id.,​​ Eucaristia e Chiesa in Agostino,​​ in Eph. Lit.​​ 102 (1988) 46-63; Trapè A.,​​ Agostino Aurelio, in Bibl. Sanct.​​ I, Soc. Graf. Rom., Roma 1961, coll. 428-596; Id.,​​ Agostino d’I.,​​ in Diz. Patr. eAnt. Crist. I, Marietti, Casale Monf. 1983, coll. 91-104; Van der Meer F.,​​ Sant’Agostino pastore d’anime,​​ Ed. Paoline, Roma 1971; Trapè A.,​​ Il sacerdote uomo di Dio al servizio della Chiesa,​​ Città Nuova Ed., Roma​​ 21985; Id.,​​ S. Agostino. L’uomo, il pastore, il mistico,​​ Ed. Esperienze, Fossano (CN) 1976.

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