AGIRE ETICO
I. L’idea di “apprendimento dell’agire etico” è basata sui seguenti princìpi:
2. Occorre anzitutto determinare che cosa rende buona un’azione, poiché è proprio questo che deve essere appreso. Che l’azione diventi buona a causa della buona volontà è un principio già insegnato da Tommaso d’Aquino. Kant si è servito del concetto di autonomia per formalizzare e sviluppare la seguente dottrina: soltanto una buona volontà può essere chiamata buona; la buona volontà si orienta secondo princìpi (leggi) che l’uomo libero pone a se stesso; il contrario dell’agire buono e libero è l’agire in forza dell’inclinazione. Per Tommaso come per Kant l’apprendimento non riguarda tanto princìpi e norme, quanto primariamente qualità umane fondamentali (autonomia, libertà, uso della buona volontà). Certo, il principio della volontà libera e buona richiede il contenuto di una “etica materiale dei valori” (Scheler). In nessun caso ci si libera per la libertà, se non si apprendono “atteggiamenti di valore”, che nella scolastica vengono caratterizzati come “virtù”.
3. Occorre riconoscere che la finalità della pedagogia consiste appunto nell’educare “l'uomo buono”. È il principio fondamentale formulato da J. F. Herbart (1776-1841). Herbart pensa soprattutto alla “formazione morale” dell’allievo. È necessario formare gli “atteggiamenti”; occorre acquisire il “forte carattere della moralità”. Tale pedagogia è basata sulla filosofia pratica e sulla psicologia. Essa cerca di individuare i mezzi per raggiungere il fine e di conoscere gli ostacoli che ostruiscono la strada per raggiungerlo.
4. Anche F. W. Förster (1869-1966) ha sviluppato una “pedagogia morale”; essa è parallela alla pedagogia religiosa di J. → Göttler. Secondo Förster non c’è pedagogia morale senza religione (come per Göttler la pedagogia religiosa è anche pedagogia morale).
5. La “moral education” di cui si parla nell’ambito della lingua inglese, merita una segnalazione a parte. Recentemente la sua “lifeline” e “startline” è stata sviluppata in vista delle possibilità scolastiche e munita anche di materiali didattici.
6. Sulla base di studi psicologici e teologico-filosofici, di cui sopra, come pure sulla base della tradizione pedagogica, G. Stachel, in collaborazione con D. Mieth (“autonome Moral”), ha sviluppato il concetto di “apprendimento dell’agire etico”. Esso cerca di rispondere al problema psicologico, cioè al problema del come e del dove della pedagogia morale. Il problema dei contenuti e della loro validità è lasciato all’etica filosofica e teologica.
II. Metodi di apprendimento.
1. Il più vecchio metodo dell’apprendimento etico è basato sull’ottimismo socratico-platonico, il quale afferma che “si può insegnare la virtù”. L’importante è che l’allievo “conosca” il bene come bene, e lo “riconosca” nel quadro di un colloquio didattico. L’allievo dispone di libera volontà. Inoltre il conoscere precede il volere. Perciò ci si può aspettare che, riconoscendo il bene, l’allievo acconsenta anche con la volontà, e cerchi di agire in conseguenza. Tale conoscenza e riconoscimento vengono più tardi inquadrati in un sistema disciplinare di premio e castigo. Anche la paura delle gravi conseguenze del peccato, in particolare delle pene dell’inferno, è stata utilizzata come mezzo educativo.
Ora già san Paolo, Rm 7,19, afferma: “Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio”. Quindi per Paolo la volontà non è libera a tal punto da riuscire a tradurre anche nella prassi tutto il bene che viene riconosciuto come tale.
Vale oggi come prima il principio secondo cui l’agire etico è basato sulla conoscenza del bene. Di conseguenza “l’apprendimento dell’agire etico” è anche un apprendimento cognitivo. Già da tempo la prassi dell’apprendimento etico non è più concepita come deduzione da princìpi, ma procede per via induttiva a partire dalla vita concreta. Non viene più trasmesso sotto forma di prescrizioni autoritarie, ma lungo il canale del colloquio. È vero però che i cambiamenti negli atteggiamenti (apprendimento cognitivo e affettivo) non implicano necessariamente che il soggetto agisca anche nel senso di questi cambiamenti. Di conseguenza occorre esaminare su quale fondamento è basata la connessione tra conoscere, valorizzare e agire.
J. Piaget e L. Kohlberg hanno cercato di descrivere lo → sviluppo del giudizio morale. È errato però affermare che il giudizio morale a un livello più elevato si traduce anche in un agire migliore, perché vi è il fenomeno della “dissonanza cognitiva” (Festinger). In ogni caso, una conoscenza che non si traduce in agire è priva di valore. Secondo il parere del fondatore del prammatismo, Ch. S. Peirce, il pensiero “si conosce dai frutti”, cioè nella prassi operativa che da esso scaturisce. Pensieri e concetti servono dunque per produrre “habits of actions”. Un pensiero che non si traduce in agire deve essere criticamente esaminato. Modelli di pedagogia morale, in cui l’agire non ha un posto fondamentale, sono deficitari. Sono intellettualistici.
2. Dal lato opposto si trova la posizione unilaterale all’apprendimento behavioristico. Non basta dire che uno stimolo provoca una reazione (response). Piuttosto, se la reazione è seguita da uno stimolo che la rinforza (reinforcement), aumenta la probabilità che la reazione venga ripetuta, finché la reazione è appresa (Thorndike, Skinner). Applicato all’apprendimento umano, l’apprendimento behavioristico appare come un sistema primitivo di addestramento che va contro l’autonomia. L’influsso della “psicologia gestaltistica”, emigrata negli USA, ha portato alla teoria del neo-behaviorismo. Esso riconosce che oltre la reazione e lo stimolo intervengono anche altre variabili. Di conseguenza diventa attento alla problematica della motivazione. C’è qualcosa di vero nel concetto behavioristico: l’agire etico non si apprende senza lode o riconoscimento per un’azione buona, e senza privazione di riconoscimento o castigo per un’azione cattiva. Chi affermasse il contrario, ignora le realtà dell’uomo. Questo ovviamente vale anche per la società e le sue leggi, come pure per le violazioni di queste leggi e per i crimini. L’educazione etica e la formazione secondo il modello sociale, in quanto parte della socializzazione globale, si realizzano per mezzo di “reinforcement” o “privazione di reinforcement” nei gruppi sociali. Il riconoscimento o la mancanza di riconoscimento da parte del gruppo ha un forte influsso sulla formazione del carattere.
3. L’influsso socializzante ed educativo del micro-gruppo che è la famiglia è di notevole importanza. L’apprendimento dell’agire etico inteso come agire in forza dell’amore si acquisisce fondamentalmente nella fanciullezza nei rapporti tra figli e genitori, e nei rapporti reciproci tra fratelli. Nel periodo della maturazione l’influsso dei genitori retrocede in favore dei peer groups. Esso però si fa sentire per tutta la durata della vita. La famiglia moderna assicura generalmente una sufficiente misura di libertà, che è indispensabile per il raggiungimento dell’autonomia personale. Invece si pratica sempre di meno l’orientamento nel mondo dei valori, non si esprime la preferenza per determinati valori, perché i genitori si sentono insicuri, oppure si conformano alla società dei consumi. La crescente permissività della casa paterna, e in eguale misura, anche quella della scuola, lasciano che gli stessi fanciulli e giovani decidano per conto proprio quali valori vogliono accogliere, anche se non sono in grado di prendere tali decisioni. Di conseguenza uno dei compiti della catechetica e della pastorale consiste nell’aiutare i genitori e gli insegnanti ad acquisire una maggiore sicurezza nei confronti dei valori e una più chiara difesa dei valori preferenziali.
4. L’influsso degli educatori, dei gruppi e dei mezzi di comunicazione sociale sull’agire etico si realizza soprattutto attraverso “l’apprendimento di modelli” (“models”). Questo compensa in qualche misura la parziale mancanza di apprendimento basato su comprensione (cognitiva e affettiva) e reinforcement.
L’apprendimento di aggressività per mezzo di imitazione è stato dimostrato da A. Bandura. L’apprendimento a partire da modelli amorevoli è documentato da J. Aronfreed. limitazione è indispensabile per lo sviluppo, ma non è possibile valutarla eticamente, perché manca la libertà. Nella misura in cui gli educatori rinunciano all’addestramento, garantiscono la dovuta distanza, e rendono intelligibile il proprio comportamento, si realizza già nei fanciulli la “identificazione” con modelli. Sulla base di modelli personali, letterari e audiovisivi, è possibile realizzare un agire creativo che confluisce nell’agire sulla base di comprensione intellettuale.
5. È molto importante l’apprendimento basato su tentativi e sbagli. Il dolore che uno si tira addosso cambia il suo comportamento in forma molto più duratura che qualsiasi insegnamento, a condizione però che lo sbaglio sia riconosciuto come causa del dolore. L’educazione tradizionale stenta a riconoscere che tentativi e sbagli sono un elemento indispensabile nel corso dello sviluppo, anche nell’ambito della sessualità. Anche il corretto modo di agire con gli amici si impara soprattutto per mezzo di tentativi e sbagli. È però necessario che la parola intelligente illumini lo sbaglio, quando ha causato danni.
6. L’apprendimento dell’agire etico si realizza come una specie di terapia. Si può intendere per terapia ogni forma di miglioramento di un comportamento nocivo o depravato, o di una incapacità di fare il bene. La terapia più importante è l’incoraggiamento a cercare e a trovare un significato, e l’esercizio rinforzante di un agire significativo (V. E. Frankl). Con questo criterio si possono anche valutare le numerose offerte di terapia individuale e sociale.
Il contatto con persone che con la vita dimostrano il corretto agire, ha un influsso trasformatore (II.4). Esso ha una forza terapeutica.
Un’ottima terapia è il silenzio. Chi pratica il silenzio si svuota della pressione consumistica e dell’assuefazione. Il silenzio è un modo per liberare se stesso e per diventare libero per gli altri. In questo senso senza il silenzio non è possibile una società libera (L. Marcuse).
III. Un miglioramento delle condizioni dell’apprendimento etico è unicamente possibile attraverso cambiamenti strutturali. Soltanto dietro l’affermarsi di un profondo cambiamento della convivenza, dell’essere cristiano nella Chiesa, dell’agire politico, diventa significativa una efficace e concreta trasmissione dei valori. Non c’è apprendimento che possa andare contro la cultura. Il gruppo che vuole rinnovare la società incomincia a stabilirsi come “subcultura”. Una subcultura è in grado di realizzare una → socializzazione che è contraria a determinati elementi della cultura. Normalmente il prezzo da pagare è la rinuncia a partecipare culturalmente ai valori della maggioranza della società. Piuttosto che isolarsi dalla società, è preferibile rinnovarla “dall’interno”.
Bibliografia
C. Brusselmans (ed.). Toward Moral and Religious Maturity. First International Conference..., Morristown, Silver Burdett Company, 1980; G. Gatti, Fede ed impegno morale, in “Catechesi” 51 (1982) 3, 3-22; E. Geissler, J. F. Herbart, in Klassiker der Pädagogik, vol. I (ed. H. Scheuere), München, C. H. Beck, 1979; J. Hoffmann, Moralpädagogik, vol. I, Düsseldorf, Patmos, 1979; P. McPhail et al. Lifeline. Schools Council Project in Moral Education, London, Longman, 1978; Id., Startline. Moral Education in the Middle Years, ivi, 1978; Id., Social and Moral Education, Oxford, Basil Blackwell, 1982; F. Oser, Moralisches Urteil in Gruppen (Taschenbuch Wissenschaft 335), Frankfurt, Suhrkamp, 1981; G. Stachel – D. Mieth, Ethisch handeln lernen, Zürich, Benziger, 1978.
Günter Stachel