AGENZIE FORMATIVE
1. Che cosa si intende per agenzie formative
2. Problematica
3. Prospettive
3.1. Compiti delle agenzie formative
3.2. Condizioni educative
1. Che cosa si intende per agenzie formative
Non è facile incontrare nel linguaggio pedagogico il termine «agenzie formative». Gli studi di pedagogia generale e i lessici utilizzano l’espressione «ambienti educativi» o preferiscono analizzare separatamente alcuni di questi ambienti, come la famiglia (*), la scuola, i centri giovanili, i gruppi, la parrocchia... quasi a significare che ognuna di queste «istituzioni» è incaricata di un aspetto particolare della formazione della personalità. Ritorneremo più avanti su questo concetto.
Il termine «agenzia» (da agente) si riferisce generalmente ad una impresa che ha per scopo l’esercizio di funzioni intermediarie per l’assunzione e trattazione di affari di un certo tipo.
L’attributo «formativa» qualifica il tipo di servizio, riconoscendolo «in grado di formare», capace di «mettere insieme» le potenzialità del soggetto e le offerte dell’ambiente. Per comprendere meglio la natura che può assumere un’agenzia formativa si può ricorrere ad una distinzione già utilizzata da Bogdan Suchodolsky (1974) tra educazione naturale, educazione tutelare, educazione organizzata intenzionalmente.
L’educazione naturale è quella che si svolge senza interventi «positivi» di «maestri» o di istituzioni specifiche, ma attraverso la vita stessa.
Il semplice fatto di appartenere ad un gruppo sociale e di parteciparvi attivamente contribuisce in questo caso a far acquistare le strutture di condotta necessarie per una integrazione e relazione. Questo tipo di educazione non si riferisce solo alla società primitiva in via di sviluppo. Una gran parte dell’educazione dell’uomo moderno continua ad essere «naturale», acquisita per il semplice fatto di appartenere ad un ambiente concreto. L’educazione tutelare si fa presente là dove si rende necessaria una preparazione per svolgere determinate funzioni. Questa formazione, pur svolgendosi a contatto con la vita «reale» (per esempio il lavoro) resta sotto la «tutela» di un professionista che pur esercitando il suo lavoro, orienta l’apprendimento di chi si sta iniziando alla professione. Per molto tempo questo tipo di educazione è stata l’unica formula per potersi inserire in una professione e svolgere un ruolo sociale. Ancora oggi vige questo procedimento educativo che fa riferimento soprattutto ad una relazione tra un individuo che sa e sa fare, e un altro che vuole sapere ed ha la capacità per saper fare.
Ciò che contraddistingue l’educazione organizzata dalle prime due è il realizzare sistematicamente in modo cosciente e con un obiettivo determinato un’attività impartita da persone preparate in strutture create appositamente per questa finalità. È intenzionale come la tutelare; però la funzione dell’adulto non si divide tra lo svolgimento della professione e l’insegnarla. Suo compito è informare, insegnare, guidare un’esperienza di apprendimento. È il caso tipico, ad esempio, della scuola.
Questi tre tipi di educazione (naturale, tutelare, organizzata) sono apparsi generalmente in modo successivo nello sviluppo di qualsiasi comunità umana. Oggi le tre coesistono e spesso si incrociano.
Nonostante siano sorti complessi sistemi educativi organizzati, in vari ambienti continua ad avere la sua importanza l’educazione tutelare e l’educazione naturale e spontanea.
2. Problematica
Ci potrebbe essere la tentazione di vedere una contrapposizione tra le «forme» naturali dell’educazione (es. la famiglia) e le forme «artificiali» (di cui la scuola è la tipica rappresentante).
Come osserva Clausse (p. 165) «le cose non sono così semplici come potrebbero sembrare a prima vista. In molti casi la famiglia persegue obiettivi ben precisi e adegua il suo modo di agire in modo da raggiungere i fini proposti. E la scuola a volte promuove apprendimenti che non rientrano direttamente nei suoi schemi». Più che chiedersi se predominano le forme artificiali o naturali si tratta di individuare «quali sono i rapporti di armonia o di conflitto, di collaborazione o di opposizione» (p. 166).
È un fatto che ogni persona è in relazione con uno o più ambienti, nessuno dei quali può riunire in sé stesso tutti gli stimoli, le proposte e le risposte necessarie per una realizzazione umana.
Alcune di queste agenzie è anche vero che hanno più significato in certe età e non in altre, ma oggi il criterio della «delega» (la famiglia «educa», la scuola istruisce, i gruppi o il Centro giovanile «occupano il tempo libero») ha ceduto il posto a quello della «partecipazione» e della «corresponsabilità». Scuola, famiglia, associazionismo, parrocchia che un tempo si rispettavano o si ignoravano nello svolgimento di un ruolo socialmente riconosciuto stanno passando o sono passate attraverso una crisi di identità.
Il pluralismo culturale ha comportato il moltiplicarsi e l’intrecciarsi di varie proposte globali o parziali. E con esse la coscienza che nessuna agenzia formativa detiene il monopolio della proposta. In un clima di confronto, di competitività (e a volte di conflittualità) si è posto con maggior forza il problema della identità delle agenzie formative, la ricerca oggettiva e razionalizzata della propria proposta atta a garantire il diritto di una coesistenza all’interno della società.
A volte si è pure vissuto il rischio di svolgere ruoli di supplenza quando le altre agenzie non erano in grado di svolgere il loro compito. Il criterio maggiormente diffuso oggi è quello di una «società educante» in cui ogni agenzia formativa è responsabile di tutto pur riconoscendo un suo ruolo specifico. Ciò è maggiormente in sintonia con il concetto stesso di educazione che ha un riferimento diretto alla maturità globale della persona.
Scuola, famiglia, gruppi, centri giovanili acquistano il loro diritto di cittadinanza come luoghi in cui «si fa» formazione ( = agenzie formative) nella misura in cui la proposta di valori che lì si vive si aggira attorno all’aspetto educativo, l’unico che permette un confronto e la possibilità di vedere dove ciascuna può arrivare.
Termini come «proposta - progetto - ideario - partecipazione - corresponsabilità - comunità educativa - comunità educante» sono il tessuto in cui si intreccia l’identità credibile di ogni agenzia formativa.
3. Prospettive
3.1. Compiti delle agenzie formative
La capacità di decisioni responsabili, caratteristica dello stato adulto, è la meta di ogni intervento educativo. Il cammino per arrivarvi è ostacolato dalla dispersione e dal frammentarismo, dal rischio di consumare i pezzetti della propria vita (soprattutto nell’età adolescenziale) o dal farli pacificamente coesistere tra loro.
Una condizione indispensabile è l’essere aiutati ad unificarsi attorno ad un «qualche cosa» che dia senso e significato a ciò che si vuole e a ciò che si fa. Ed è su questa condizione che si gioca la competenza educativa della famiglia, della scuola, dei gruppi, visti come «ambienti», «comunità», «clima». Non è più pensabile l’opera educativa affidata all’azione del singolo. È nell’ambiente che l’individuo si educa, e la storia ha dimostrato da tempo che le sorti dell’educazione partecipano alle vicende della società nel suo sviluppo culturale, economico, sociale e politico.
La società viene interpellata, sia pure in modo diversificato, a partecipare nella comune responsabilità educativa.
La «comunità educativa» e l’«inserimento nel territorio» si presentano come le forme più corrette per tradurre queste esigenze nella realtà concreta.
Il processo di maturazione ha luogo attraverso il rapporto reciproco della persona con il suo ambiente socio-naturale, e cioè nell’incontro tra le potenzialità naturali ed ambientali.
La mediazione educativa favorisce l’incontro tra la personalità in formazione ed il mondo esterno.
È una mediazione che invita a soffermarsi sul significato, il valore che gli avvenimenti, le persone, gli oggetti possono assumere. Ed è pure una mediazione che invita a condividere, a comunicare agli altri le proprie esperienze. Pur aiutando a crescere nella relazione comunitaria sa far percepire l’irripetibilità della propria personalità, nella sua ricchezza delle differenze individuali.
Nello stesso tempo c’è una mediazione verso la novità e la complessità. Secondo Feuerstein (cit. Bonansea, p. 142) «solo un ambiente che offra stimoli nuovi, complessi, non familiari è in grado di creare la situazione più favorevole allo sviluppo dell’intelligenza. Al contrario un ambiente in cui prevalgono l’abitudine e l’omogeneità inibisce la capacità dell’individuo di modificarsi, nel senso che crea le condizioni per cui egli non avverte più l’esigenza di vigilare, di restare all’erta di fronte alla necessità di adattarsi all’ambiente».
Forse è proprio nella constatazione di queste esigenze che oggi si riconosce l’impatto delle istituzioni alternative. Basterebbe pensare alla «strada», luogo di incontro di molti giovani, o ai mass media e alla forza propositiva dei loro messaggi.
Nella ricerca ed esperienza della propria autonomia il giovane prende da ogni agenzia specifica attraverso cui passa ciò che gli serve. Il rischio dello spezzettamento della propria esperienza vitale è sempre sotteso a questo processo di crescita.
Il riconoscere da parte di tutte queste agenzie formative una piattaforma comune, la educativa, oltre a far cadere un discorso settoriale (e quindi parziale) potenzia alcune condizioni indispensabili per una proposta che può aiutare nell’unificazione della vita. Il fenomeno del volontariato è una delle espressioni più significative che viene dal mondo giovanile: la scelta personale di un impegno gratuito per gli altri, rafforzando al tempo stesso la propria identità personale.
3.2. Condizioni educative
Una delle prime condizioni che il denominatore comune «educativo» richiede alle singole agenzie è che ci sia una corretta informazione, una istruzione che aiuti a situare la realtà in una dimensione oggettiva. Ciò comporta una trasmissione di tecniche, di norme di comportamento, di capacità di ricerca e di confronto che possono abilitare una persona nella ricerca costante della verità. Un’altra condizione privilegia due aspetti organizzativi: la continuità e la convergenza dei criteri e dei principi educativi da parte degli educatori. Mentre la prima fa riferimento ad una dimensione temporale, la seconda mette l’accento sulla possibilità di conoscenza e di dialogo «qui ed ora» a livello di tutti gli operatori educativi.
Il progetto educativo è la traduzione di queste due coordinate, come tentativo di creare una piattaforma di consenso in base ad una proposta educativa.
È il progetto che dà senso alla comunità educativa, che ne costituisce il motivo dominante di azione. È proprio grazie ad un progetto che si va elaborando, che si costruisce pure una comunità educativa. Il formalizzare il progetto in una stesura scritta, ogni anno, non è una meta, ma un documento che accompagna la crescita o la stasi di un gruppo di persone che cercano di mettere in comune la loro preoccupazione educativa.
Il riuscire a «creare» spazi per i destinatari, i giovani, nella costruzione di un qualcosa che li riguarda personalmente, aiuta a farli passare dallo stato di «oggetti» a soggetti corresponsabili.
Un’agenzia diventa, di fatto, formativa nella misura in cui ciò che propone diventa prima di tutto un fatto esperienziale. Per questo motivo un’altra condizione che sembra fondamentale è il riuscire a creare un ambiente ricco di «vita» di fascino, dove i valori con cui si entra in contatto acquistano una forza propositiva. Un esempio in questa direzione è costituito da Don Bosco che ha saputo creare una proposta alternativa non solo grazie ad un ambiente che accoglieva i giovani, ma soprattutto perché in quell’ambiente si sentivano a proprio agio, facevano esperienza di vita di «famiglia», si sentivano «a casa». Un ambiente dove si respira calore, accoglienza, gioia di vivere, risulta ricco di fascino ed è anche capace di essere luogo di identificazione. È un ambiente che privilegia le relazioni personali, grazie ad uno stile inconfondibile da parte degli adulti.
Potremmo a questo proposito ricordare alcuni principi conosciuti e sempre nuovi, punti di riferimento nell’azione educativa:
— l’individualizzazione o la capacità di arrivare a ciascuno nella sua peculiarità irripetibile;
— la socializzazione come capacità di far crescere comunitariamente grazie anche ad un riferimento costante al territorio;
— l’attività come capacità di rendere il giovane stesso protagonista della sua crescita. Sono tutti principi che ruotano attorno ad un concetto fondamentale: al centro di tutta l’azione educativa sta la persona con le sue possibilità e la sua sete di vivere, le sue attese di proposte significative e la necessità di essere aiutata nel suo processo di realizzazione.
Bibliografia
Clausse G., Avviamento alle scienze dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1970; Coen R., Ambiente ed educazione, La Nuova Italia, Firenze 1965; Flores D’Arcais G., L’ambiente, La Scuola, Brescia 1962; Giannatelli R. (a cura di), Progettare l’educazione oggi con Don Bosco, LAS, Roma 1981; Giugni G., Introduzione allo studio della pedagogia, S.E.L, Torino 1981; Spranger E., Ambiente e cultura, Armando, Roma 1968.