DISEGNO
Poiché la tecnica ha messo a disposizione strumenti espressivi affascinanti, si è corso il rischio di non valutare nel loro giusto significato le forme di comunicazione da sempre utilizzate nella C., come la parola, il D., il canto, la → drammatizzazione, la → festa. Tuttavia oggi sono evidenti i segni di un’inversione di tendenza, almeno nei gruppi più attenti alle situazioni socio-politiche in cui si opera e alla dinamica della comunicazione umana: da un facile entusiasmo per i nuovi mezzi ci si sta orientando a una loro utilizzazione più critica e al tempo stesso si insiste sul ricupero pieno delle forme di comunicazione dove l’interazione, la corresponsabilità, il dialogo conservino tutto il loro valore. C’è la consapevolezza che i mezzi “potenti” sono necessariamente condizionati dai capitali, dai meccanismi di mercato e dalla politica, mentre gli strumenti poveri sfuggono meglio alla logica del potere, sono sempre disponibili, costruiscono la comunità, dove ciascuno ha parola e corresponsabilità.
Il D. è uno di questi strumenti poveri: esige poca o nessuna spesa, nessuna tecnologia sofisticata; è facilmente disponibile ovunque; può essere utilizzato sia dal maestro che dall’allievo (a volte i migliori risultati sono dell’allievo); è una forma espressiva di base, utilizzabile in forme più articolate: può essere ingrandito, ciclostilato, fotocopiato, stampato, fotografato.
Non è fuori luogo insistere sul fatto che neppure il D. può essere pensato come un linguaggio universale; e tuttavia quando ci si affidi a pochi tratti essenziali, allusivi ad esperienze sufficientemente comuni, il D. è comprensibile ad una cerchia assai più larga di persone di quanto non lo sia un testo scritto; inoltre può essere letto a livelli diversi di profondità, dall’adulto come anche dal bambino.
1. Importanza del D. nella C. dei bambini e dei fanciulli. Il bambino nei primi passi dell’iniziazione cristiana non ha maturato che un’incipiente competenza comunicativa a livello linguistico: non conosce ancora le parole e la grammatica necessarie per nominare e per comunicare le scoperte che va facendo: la lingua non gli consente di esprimersi compiutamente. La competenza comunicativa non è raggiunta neppure a livello di D. In questo campo però i vincoli grammaticali imposti dalla cultura sono meno stretti, e il bambino s’accorge presto di avere maggior libertà: il D. per il bambino diviene gioco, allenamento della destrezza manuale, espressione del suo mondo interiore, scoperta della realtà che lo circonda, comunicazione. Questa sua attività è premiata dall’attenzione dell’adulto, il quale guarda ammirato la novità delle forme, l’arbitrarietà dell’uso dei colori e delle proporzioni. In questo modo il bambino si sente sostenuto, e il suo lavoro diventa come il canovaccio per lunghe spiegazioni verbali.
Il D. può essere anche un’attività con la quale apprendere la capacità di collaborazione. Non è facile che un gruppo di bambini rifletta e dialoghi a lungo su un argomento, così come non è loro facile produrre un testo scritto a più mani. È invece possibile fare in gruppo dei D. (in sequenza o meno), dei cartelloni, dei murales. Il lavoro di progettazione e di ricerca è fruttuoso a livello intellettuale quanto l’esecuzione lo è a livello di interazione e di apprendimento di tecniche manuali. Il D. così concepito può essere un momento di ricerca o di sintesi; può essere utilizzato come strumento per memorizzare i fatti e le idee più importanti; può essere il canale con cui comunicare ad altri le scoperte fatte.
Il D. è strumento significativo anche nella comunicazione del catechista che lavori con fanciulli e bambini: infatti egli sa che la parola non è sufficiente per sostenere l’attenzione, la partecipazione, il dialogo. È importante a questo riguardo evitare le infantilizzazioni, le banalizzazioni (si ricorderanno i segni geometrici per indicare la presenza di Dio); lo stile deve essere coerente con quanto si annuncia (per rendere leggibile il D. non si dovranno scimmiottare le scelte dei fumetti dove i protagonisti buoni sono belli, ricchi, biondi, cittadini della classe borghese...). Il messaggio affidato al D. è meglio non sia facilmente esauribile in un primo colpo d’occhio, ma provochi piuttosto un lavoro di ricerca, di dialogo. Se si vogliono proporre schede con D. da colorare, non si impongano i criteri di utilizzazione dei colori, ma piuttosto si insista perché questa attività divenga una forma di lettura critica e personale del D. stesso, il quale deve lasciare un massimo di spazio all’attività del bambino e del gruppo didattico.
2. Il D. nella C. in genere. Man mano che il bambino cresce, prende consapevolezza delle regole di rassomiglianza, di proporzione, di prospettiva con cui la nostra cultura organizza il D., regole che ora l’adulto aspetta siano rispettate: così il ragazzo è meno sicuro di prima, non si affida più alla spontaneità; si sente valutato. In una parola, il D. non è più un luogo privilegiato di espressione e di comunicazione. Il D. è lasciato ai più dotati.
Non credo tutto ciò sia ragione valida per lasciare perdere questo mezzo espressivo: va usato secondo nuovi contesti comunicativi, secondo nuove esigenze. Anche se il ragazzo, come poi il giovane e l’adulto, si sente più sicuro quando comunica verbalmente che non attraverso un D. personale (la scuola e la vita hanno privilegiato quella forma di comunicazione), tuttavia il cartellone, il manifesto, il D., mantengono la loro funzione di comunicazione per il gruppo: possono essere annuncio, provocazione, sintesi; la vignetta, lo schizzo, il racconto per immagini hanno sempre un posto privilegiato nelle schede didattiche e nei testi per gli incontri cat., come anche nei fogli e nei giornali parrocchiali, scolastici, o di associazione. L’eleganza, la proprietà, l’intelligenza con cui si elaborano questi mezzi poveri vanno coltivate come i segni di una comunità vivace, moderna. Non si apprezzerà mai abbastanza da parte dell’educatore il fatto che attraverso queste attività si favorisce la formazione di un linguaggio visivo valido per esprimere in termini attuali il messaggio religioso, e insieme si incoraggiano, si sostengono i talenti che emergono nella comunità. E la comunità ha bisogno di gusto, di eleganza, di arte.
Bibliografia
O. Dubuisson, Le dessin mi catéchisme expression de la foi, Paris, Le Centurion, 1968; K. Froer, Zeichnung und Bild im kirchlichen Unlerricht, München, Kaiser Verlag, 1966; P. Imberdis, Ditelo col gesso. Il disegno a servizio della catechesi, Leumann-Torino, LDC, 1981; A. Oliverio Ferraris, Il significato del disegno infantile, Torino, Boringhieri, 1973; C. Romanek, Zeichnen im Religionsunterricht, in «Christlich-pädagogische Blätter» 96 (1983) 2, 127133.
Franco Lever