DINAMICA DI GRUPPO

1.​​ Origine del concetto.​​ L’espressione DG è stata usata per la prima volta dallo psicologo sociale tedesco Kurt Lewin, in un articolo del 1944 dedicato ai rapporti tra la teoria e la pratica della psicologia sociale. Con questa formula Lewin faceva riferimento a un metodo per studiare i fenomeni dei piccoli gruppi. Proponeva di sostituire con DG l’espressione allora corrente di “psicologia di gruppo” per sottolineare due aspetti importanti di una corretta teoria sui gruppi: il gruppo implica dei fenomeni non solo di ordine psicologico; la caratteristica fondamentale dei gruppi è la loro dinamicità.

La ragione di questi orientamenti era costituita per Lewin dal collegamento di interdipendenza esistente tra comportamenti e contesto; esso portava a concludere che “le proprietà di ogni evento sono determinate dai suoi rapporti con il sistema di eventi di cui esso fa parte”. Nasceva così un metodo per studiate i fenomeni dei piccoli gruppi che si ispirava alla “teoria del campo”, tipica della fisica: gli elementi presenti in un campo di forze si caratterizzano in funzione del campo stesso. Con le stesse parole di Lewin, DG è “lo studio delle condizioni della vita di gruppo e delle forze che possono provocare dei cambiamenti o resistere ai cambiamenti. Il termine dinamica si riferisce a queste forze”.

Alla prova dei fatti il contributo di Lewin è risultato decisivo. Oggi ogni ricerca sui gruppi parte dal presupposto che il gruppo non è un insieme di individui, ma un insieme dinamico di rapporti tra individui reciprocamente interagenti.

2.​​ L’uso attuale.​​ Dallo sviluppo delle teorie di Lewin si è giunti oggi a un uso allargato della espressione DG, che approfondisce e supera le indicazioni offerte dal suo inventore. Possiamo sintetizzare l’attuale pluralismo in tre linee tendenziali.

Una prima definizione presenta la DG quasi come una ideologia antropologica e politica. Essa parte dall’ipotesi che tutto quello che avviene nel gruppo è sempre migliore dell’azione individuale. Di conseguenza suggerisce modelli di organizzazione sociale e di gestione gruppale a carattere fortemente democratico e partecipativo.

Una seconda definizione, molto diffusa oggi, fa della DG un insieme di tecniche utili per la conduzione dei gruppi terapeutici o, più generalmente, formativi. Obiettivo di questi processi è la capacità di comprensione reciproca e di totale apertura.

Una terza definizione fa della DG una delle scienze sociali: quella che studia la natura dei gruppi, le leggi del loro sviluppo, le relazioni interpersonali nel gruppo e del gruppo con le altre organizzazioni. In questa accezione, alcuni autori preferiscono limitare la loro ricerca alla comprensione dei fenomeni di gruppo; altri invece suggeriscono anche metodi di intervento sugli individui in gruppo e/o sul gruppo stesso, per ottenere un mutamento negli atteggiamenti e nei comportamenti personali e/o nella fisionomia del gruppo.

In tutti i casi è tipico della DG il bisogno di esplorare i fenomeni in chiara interdipendenza e con largo uso di metodi di verifica sperimentale.

3.​​ Dinamica di gruppo e gruppi ecclesiali.​​ I gruppi ecclesiali sono costitutivamente dei “gruppi”: al loro interno si scatenano fenomeni che derivano dalle interazioni interpersonali e istituzionali. In questo senso, anch’essi, a pieno titolo, sono oggetto di studio da parte della DG, soprattutto quando essa è compresa nella terza delle tre linee di tendenza appena ricordate. Sarebbe perciò rischioso ignorare, nella comprensione della loro vita, quello che suggeriscono i manuali di DG, attraverso generalizzazioni scientifiche di rilevamenti a carattere empirico.

La DG non è però solo questa rilevazione neutrale di fenomeni. Soprattutto nella sua dimensione progettuale, essa è influenzata dalle precomprensioni del suo autore. Una rapida scorsa ai diversi manuali di DG lo conferma immediatamente. Modelli antropologici differenti portano a valutare in modo diversificato quello che si constata e di conseguenza spingono a intervenire in direzione di mutamento o di consolidamento.

Per i gruppi ecclesiali si richiede là definizione di categorie interpretative e progettative, molto fedeli alla fondamentale ispirazione ecclesiale, anche se costruite in un confronto ampio e disponibile con le esigenze di una corretta DG.

Se vogliamo coniugare la normatività ecclesiale con l’accoglienza piena del gruppo, dobbiamo prendere le distanze nel cuore stesso della implicazione. Non è praticabile perciò né l’ipotesi di mantenere gli eventuali effetti indesiderati in 'limiti sopportabili, né il tentativo di censurare le sue logiche senza snaturarlo: in ambedue i casi la vita del gruppo riprende presto il sopravvento. È necessario invece possedere strumenti di interpretazione e elaborare alternative che dicano il nuovo nel linguaggio tipico del gruppo. Ma questo, in buona parte, è ancora un compito aperto.

Bibliografia

J. Le Du,​​ Catéchèse et dynamique de groupe,​​ Paris, Fayard-Mame, 1969; J. Luft,​​ Introduzione alla dinamica di gruppo,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1973; J. Maisonneuve,​​ La dinamica di gruppo,​​ Milano, Celuc-Irips, 1973; G. F. Minguzzi,​​ Problemi di psicologia di gruppo,​​ Bologna, Cooperativa Libraria Universitaria, 1970; In.,​​ Dinamica psicologica dei gruppi,​​ Bologna, Il Mulino, 1974; R. Mucchielli,​​ La dinamica di gruppo,​​ Leumann-Torino, LDC, 1970; P. Scilligo,​​ Dinamica dei gruppi,​​ Torino, SEI, 1973; R. Tonelli,​​ Gruppi giovanili e esperienza di Chiesa,​​ Roma, LAS, 1983.

Riccardo Tonelli

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GRUPPO: dinamica di

Per dinamica di g. si intende lo studio della natura dei g., le leggi del loro sviluppo, le relazioni tra individui e g., le relazioni reciproche tra i g. e le loro organizzazioni. Altre due accezioni trovano notevole consenso tra gli studiosi: a) la dinamica di g. come ideologia politica riguardante il modo di organizzare e dirigere i g.; acquistano importanza in questa concezione la leadership democratica, la partecipazione di tutti nel processo decisionale, i vantaggi della mutua collaborazione sia per l’individuo che per la società in generale; b) la dinamica di g., soprattutto dopo gli anni ’70, è stata vista spesso come processo di sensibilizzazione, di esperienze di g., di discussioni non strutturate che dovrebbero portare alla capacità di comprensione reciproca e di apertura in un ambiente pluralistico (Scilligo, 1992).

1.​​ La produttività nel g.​​ Le persone si inseriscono nei g. per ragioni funzionali. Tipiche ragioni funzionali sono le seguenti: l’​​ ​​ appartenenza,​​ cioè per ritrovarsi con persone ed amici; il​​ confronto sociale,​​ per avere un luogo di riferimento nelle situazioni di incertezza; la​​ realizzazione di​​ ​​ valori,​​ per sentirsi protette e accompagnate nell’attuazione di valori importanti;​​ la produttività,​​ per vantaggi di lavoro mediante la divisione dei compiti; la​​ ​​ stima di sé,​​ per lo status proveniente dall’appartenenza; la​​ protezione,​​ per difendersi da minacce esterne. Spesso solo la presenza di altri aumenta la produttività se i compiti sono relativamente facili (l’effetto della facilitazione sociale), ma la produttività tende a diminuire se i compiti sono difficili (l’effetto della inibizione sociale) (Zajonc, 1965). Il lavoro fatto interagendo con altri viene ritenuto di solito come vantaggioso, anche se non è sempre così: spesso infatti si produce il fenomeno della deresponsabilizzazione di alcune persone nel g. Nel lavoro di g. si possono avere risultati più efficienti se i compiti sono suddivisibili e si introduce un’adeguata organizzazione, altrimenti il lavoro di g. può diminuire la produttività. Perché il g. sia produttivo, occorre adeguata motivazione e organizzazione. Se i membri del g. hanno bassi livelli di difensività, si abbassano i livelli di esclusione competitiva dell’altro e aumenta la capacità di collaborazione assertiva che tiene conto della protezione di sé e dell’altro.

2.​​ La struttura del g.​​ Nei g. interattivi molto presto si produce struttura, cioè avviene una suddivisione di ruoli definiti da precise regole di comportamento che stabiliscono le norme che deve osservare la persona che occupa il ruolo; ad es. in un ristorante ben presto ci sarà chi fa da cuoco, chi fa da cassiere, chi prende gli ordini dai clienti, chi li serve. Per mantenere la struttura del g. sono importanti la comunicazione e l’attrazione tra i membri. Normalmente emergono due capi diversi: il capo che si incarica dell’organizzazione e il capo che si cura delle relazioni tra le persone (Bales e Slater, 1955).

3.​​ Il​​ capogruppo o leader.​​ Quando i g. crescono nella numerosità dei membri, si sviluppa necessariamente una struttura ed emerge un capogruppo. Di solito per l’affermarsi del capogruppo, oltre alla numerosità dei membri (= più di quattro o cinque persone), occorre anche che il g. abbia la sensazione che può riuscire nel suo compito, che la riuscita è apprezzata, ed è presente una persona che sia in grado di assumersi la funzione di leader. Il g. nel creare il leader rinuncia a una parte del potere e quindi il leader emerge solo sotto condizioni particolari, ad es. se c’è il pericolo che non si riesca a portare a termine i compiti che il g. si propone e se c’è bisogno di distribuire equamente i risultati del lavoro di g. Oggi si sa anche (Fiedler, 1978) che l’emergere del leader e lo stile richiesto nel leader dipende dalle caratteristiche della situazione. Tipicamente si riscontrano due tipi di leader, quello orientato alle relazioni con le persone e quello orientato alla soluzione dei problemi riguardanti i compiti del g. Le situazioni possono essere favorevoli, in quanto i compiti sono relativamente semplici, il rapporto leader-membri è buono e il leader ha potere nell’ottenere benefici per i membri; se queste condizioni non si verificano allora le condizioni sono sfavorevoli. In generale nelle condizioni molto favorevoli e molto poco favorevoli emerge un leader capace di organizzare e gestire i compiti, mentre invece nelle situazioni mediamente favorevoli tende ad emergere il leader che è capace di gestire le relazioni tra le persone. I g. di solito hanno bisogno della presenza di tutti e due i tipi di leader e difficilmente i due stili di leader si possono riscontrare nella stessa persona. Di qui non solo la difficoltà di avere un solo leader che faccia tutto in un g., ma anche la pratica impossibilità di avere un leader uguale per tutte le situazioni.

4.​​ La comunicazione nei g.​​ Esistono diversi modi di comunicare nei g. Prototipici sono due: la rete di comunicazione centralizzata e la rete circolare. Nella rete centralizzata la comunicazione passa necessariamente attraverso un distributore centrale per arrivare agli altri membri. Nelle reti circolari la comunicazione passa da un membro all’altro senza passare necessariamente attraverso un distributore centrale dell’informazione. Si è riscontrato che nelle situazioni di compiti semplici le reti centralizzate sono più efficienti, mentre sono più efficienti quelle circolari per compiti complessi (Shaw, 1964). Con problemi complessi nella rete decentralizzata, rispetto a quella centralizzata, tende ad essere presente maggiore soddisfazione nel g. Quando l’informazione da passare è eccessiva le reti centralizzate tendono ad intasarsi e a creare inefficienza.

5.​​ Conformismo sociale nei g.​​ Soprattutto nelle situazioni ambigue, le persone, di fronte ai pareri degli altri con i quali fanno g., cambiano idea e trasformano le proprie opinioni, e tale cambiamento tende a permanere anche dopo l’avvenuta pressione di g. (Jacobs & Campbell, 1961). Nelle situazioni dove il g. sostiene in maggioranza un’opinione di fronte a un individuo che non può consultarsi con altri, l’individuo può talora accettare come corretto anche ciò che è ovviamente incorretto (Asch, 1951). Sembra che il fenomeno si verifichi perché la persona si fida di più degli altri che di sé (influsso informativo) o per il suo desiderio di essere come gli altri e di non essere rifiutato (influsso normativo). Moscovici (1976) ha dimostrato che una minoranza compatta può avere un grande impatto nel provocare un cambiamento verso l’innovazione, anche se va contro il parere della maggioranza. L’impatto della minoranza coerente sembra particolarmente forte se essa si presenta flessibile nelle sue negoziazioni; la minoranza coerente ha meno impatto se è rigida e dogmatica. Secondo Moscovici l’opinione della maggioranza provoca un processo di confronto sociale in cui la persona confronta la propria risposta con quella degli altri, mentre l’opinione della minoranza coerente provoca un processo di verifica, cioè un processo cognitivo avente lo scopo di capire perché la minoranza persiste con coerenza nel mantenere le opinioni che sostiene.

Nelle discussioni di g. si è riscontrato che avviene uno spostamento verso i pareri inizialmente mediamente condivisi dal g. (Myers, 1982), provocando spostamenti verso posizioni estreme e di maggiore rischio o maggiore cautela; il fenomeno è comunemente conosciuto sotto il nome di polarizzazione di g. Il fenomeno si verifica nelle più svariate situazioni: nell’uso degli stereotipi, nelle impressioni interpersonali, nel comportamento prosociale o antisociale, nelle contrattazioni, nelle decisioni delle giurie, nei g. di consulenza, nei g. di sostegno sociale, nei g. religiosi e nei giochi d’azzardo. Alla base dello spostamento di opinione verso posizioni più estreme sembra ci siano i fenomeni dell’influsso informativo e normativo ai quali è stato accennato parlando del conformismo. Le implicanze del fenomeno sono importanti, soprattutto in riferimento ai g. nei quali i membri pensano la stessa cosa: nelle decisioni delle giurie, dei comitati, dei governi, avviene una polarizzazione anche verso posizioni sbagliate, poco sagge e talora disastrose; di qui l’utilità della presenza di g. di opposizione. Una conseguenza pericolosa dei processi implicanti il conformismo è l’ubbidienza cieca all’autorità nelle dittature e nei plagi di g.; alcune conseguenze sono ben note nei comportamenti implicanti pulizie etniche, stermini nei campi di prigionia e suicidi di massa. Come si può vedere, nelle pressioni di g. sono implicati gravi problemi di natura etica e morale (Milgram, 1974).

Bibliografia

Asch S. E., «Effects of group pressure on the modification and distortions of judgments», in H. Guetzkow (Ed.),​​ Groups,​​ leadership and men,​​ Pittsburg, Carnegie, 1951; Bales R. F. - P. E. Slater, «Role differentiation in small decision-making groups», in T. Parsons - R. F. Bales (Edd.),​​ Family,​​ socialization and interaction process,​​ Glencoe, Free Press, 1955; Jacobs R. C. - D. T. Campbell,​​ The perpetuation of an arbitrary tradition through several generations of a laboratory microculture,​​ in «Journal of Abnormal and Social Psychology» 62 (1961) 649-658; Moscovici S.,​​ Social influence and social change,​​ London, Academic Press, 1976; Myers D. G., «Polarizing effects of social interaction», in H. Brandstätter - J. H. Davis - G. Stocker-Kreigauer (Edd.),​​ Group decision making,​​ New York, Academic Press, 1982; Scilligo P.,​​ G. di incontro: teoria e pratica,​​ Roma, IFREP, 1992; Zanardi A.,​​ Dinamiche Interpersonali e sviluppo del sé, Milano, Angeli, 2001.

P. Scilligo

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