DESTINATARI
D. della C., secondo l’accezione ovvia del termine, sono tutti coloro ai quali, di fatto o di diritto, la C. è rivolta.
Da un punto di vista descrittivo, quando nella letteratura cat. si parla di D. della C., si ricorre spesso al criterio dell’etó (→ bambini, fanciulli, adolescenti, giovani, adulti, anziani) o alla condizione socio-culturale (intellettuali, operai, → handicappati, ecc.), oppure alla situazione più propriamente religiosa (simpatizzanti, convertiti, battezzati, lontani, -► indifferenti, ecc.) (cf DCG 77-97; CT 35-45).
È giusto osservare che, in una concezione rinnovata della C., non si dovrebbe parlare di semplici “destinatari”, ma piuttosto di “partecipanti”, in quanto tutti hanno un ruolo attivo da svolgere nel processo di trasmissione e di crescita della fede. In questo senso appare indovinato, invece che parlare di C. a (ai giovani, agli adulti, ecc.), parlare di C. con (con i giovani, con gli adulti, ecc.). Ed è anche per questo che, in alcuni contesti, si mette in risalto come i D. in senso tradizionale siano diventati in realtà veri promotori e agenti di evangelizzazione e C. (cf per es. la vigorosa affermazione del doc. di Puebla dove si parla del “potenziale evangelizzatore dei poveri»: Puebla 1147).
Il tema dei D. della C. suscita oggi non pochi problemi e prese di posizione significative.
1. Le circostanze attuali del lavoro pastorale portano spesso a domandarsi se la C. può essere rivolta a tutti indistintamente gli appartenenti al corpo ecclesiale, o se, nel suo concetto, non bisogna presupporre almeno una jede iniziale. Si dovrebbe distinguere così più accuratamente tra C. e primo annuncio del Vangelo. La distinzione ha un senso, ma investe l’esercizio stesso della C., in quanto non pochi D. della C. hanno di fatto bisogno di essere evangelizzati, o almeno ri-evangelizzati. Ed è in questo senso che si parla oggi di C. evangelizzatrice, o della dimensione evangelizzatrice delia C. (cf DCG 18; CT 19; Medellin, Catechesi 9).
2. Un’istanza importante riguarda il superamento della visione individualistica della C.: D. della C. non sono soltanto gli individui, ma anche le comunità, i gruppi, come chiaramente è stato affermato in DCG 21: “Nell’ambito dell’attività pastorale la C. è quell’azione ecclesiale che conduce le comunità e i singoli alla maturità nella fede”.
3. All’interno della comunità, la C. riguarda non soltanto i bambini e gli adolescenti (come per tanto tempo si è ritenuto), ma tutte le età (“Nessuno nella Chiesa di Gesù Cristo dovrebbe sentirsi dispensato dal ricevere la C.”, CT 45) e in modo del tutto particolare gli adulti (“Gli adulti di qualsiasi età e le stesse persone di età avanzata [...] sono [...] destinatari della C. quanto i fanciulli, gli adolescenti e i giovani”, CT 45). Non solo: la C. degli adulti è ritenuta giustamente la forma principale della C.: “Si ricordino anche [i pastori] che la C. agli adulti, in quanto è diretta a persone capaci di una adesione e di un impegno veramente responsabile, è da considerarsi come la forma principale della C., alla quale tutte le altre, non perciò meno necessarie, sono ordinate” (DCG 20; cf CT 43; RdC 124). È una scelta preferenziale di enorme portata per lo sviluppo della C., e più in generale per il futuro della Chiesa.
4. Altre istanze presenti nell’ambito dei D. della C. riguardano anche la convenienza di non isolare le diverse età o categorie di persone (bambini e genitori, giovani e adulti, diverse generazioni e condizioni sociali, ecc.), come anche l’attenzione particolare che meritano i più poveri ed emarginati. La preferenza per questi ultimi è da considerare segno di autenticità per la C. (RdC 125-126; cf Puebla 1130).
5. Il movimento cat. ha abbondantemente sottolineato l’esigenza che l’attenzione ai D. della C., la necessità cioè di conoscere accuratamente i soggetti della C. e di adeguarvi tutti i suoi elementi, non rappresenti soltanto un fattore metodologicamente importante, ma costituisca un elemento essenziale dello stesso processo cat. come servizio della parola di Dio per l’educazione della fede. In questo senso la “fedeltà all’uomo” è diventata, insieme con la “fedeltà a Dio”, criterio di base del metodo cat. (RdC 160).
6. In riferimento ai D. della C. rimane aperto il problema se la C. debba avere un termine temporale o se vada considerata come un processo che accompagna, almeno di diritto, tutta la vita dei credenti. La posizione più comune considera la C. come un compito sempre aperto, come cammino di crescita verso una maturità mai del tutto raggiunta (cf A. Exeler 1966, 11-66). Si ribadisce, come abbiamo visto sopra, la destinazione della C. a tutte le età, e si parla di conseguenza di C. permanente (CT 45; Puebla 1007; G. Adler – G. Vogeleisen 1981, 422; J. Colomb 1970, 243-246), pur riconoscendo diversità di accentuazioni nel corso dello sviluppo della C. Non mancano però voci che propugnano una C. limitata nel tempo, ben definita nel suo compito di iniziazione alla fede e alla vita cristiana (cf Cat. de la comunidad, 34, 96). Questa posizione sembra identificare C. e “iniziazione cristiana”, ma sia la storia che la riflessione cat. attestano un uso più largo e non improprio di C. come servizio di parola e cammino verso la maturità della fede coestensivo con la durata dell’esistenza delle persone e delle comunità.
Bibliografia
G. Adler – G. Vogeleisen, Un siècle de catéchèse en France 1893-1980, Paris, Beauchesne, 1981, 422425; E. Alberich, Orientamenti attuali della catechesi, Leumann-Torino, LDC, 1973, 29-42; J. Colomb, Al servizio della fede, vol. 2, Leumann-Torino, LDC, 1970, 235-246; Comisión Episcopal de enseñanza y catequesis, La catcquesis de la comunidad, Madrid, EDICE, 1983; B. Dreher et al., La sterilità della catechesi infantile, Modena, Ed. Paoline, 1968; A. Exeler, Wesen und Aufgabe der Katechese, Freiburg, Herder, 1966, 11-66; W. Nastainczyk, Katechese-, Grundfragen und Grundformen, Paderborn, Schöningh, 1983, 49-62.
Emilio Alberich