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DECALOGO

 

DECALOGO

1.​​ Origine biblica.​​ Il “decalogo” (LXX: decalogo!) è una lista di dieci (o più) comandamenti e proibizioni che — a differenza di altre prescrizioni giuridiche di natura generalmente casistica — sono formulati in forma sintetica e apodittica; qualche parte però è più ampiamente sviluppata e fondata (per es. la proibizione di farsi delle immagini​​ e​​ il comandamento del sabato). Il testo è grosso modo identico, comunque con due differenze importanti (nella fondazione del comandamento del sabato e nell’enumerazione degli oggetti del desiderio peccaminoso), in due passi biblici:​​ Es​​ 20,1-17 e​​ Dt​​ 5,6-21.

Simile nella forma letteraria ai trattati dei vassalli dell’antico oriente, il decalogo (D.) costituisce il più antico codice dell’ → alleanza di Israele: il solenne obbligo del popolo verso Iahvè, il quale nella liberazione dall’Egitto si è manifestato il Dio di Israele. Il D. ha pertanto la sua collocazione cultuale nella festa annuale del rinnovamento dell’alleanza. Nella prima parte (Es​​ 20,2-11;​​ Dt​​ 5,6-15) viene determinato il rapporto particolare di Israele con Dio; la seconda parte (Es​​ 20,12-17;​​ Dt​​ 5,16-21) regola le relazioni con il prossimo presentandole come conseguenze etiche che scaturiscono dalla fede in Iahvè. Quanto al contenuto, i comandamenti della seconda parte risalgono all’epoca preisraelitica. All’origine si è trattato di regole per determinati casi (rifiuto di curare i vecchi genitori, vendetta di sangue, adulterio della donna sposata, vendita di un israelita come schiavo per estinguere i debiti, falsa testimonianza di fronte al tribunale, falsa appropriazione di beni), che potevano mettere in pericolo la vita comune del clan o della tribù. Soltanto gradualmente e perché considerati obblighi che scaturivano dall’alleanza religiosa, il loro significato si è ampliato, per diventare un ordinamento generale per il popolo e per i singoli: protezione delia vita, della famiglia, della libertà, del diritto e della proprietà.

Nel NT i comandamenti sono stati radicalizzati (per es. la proibizione di uccidere e di commettere adulterio:​​ Mt​​ 5,21-30); e poi riassunti e “superati” nel “nuovo comandamento” dell’amore (Rm​​ 13,8-14).

2.​​ Eormula catechetica.​​ Già nel tardo ebraismo il D. (insieme con lo Shema Israel:​​ Dt​​ 6,4ss) faceva parte dei testi che si dovevano imparare a memoria e recitare quotidianamente. Pare che anche nel → catecumenato cristiano primitivo i contenuti del D. — insieme con altre prescrizioni, generalmente bibliche — fossero fondamento dell’etica cristiana (cf​​ Didacbé​​ II, 2ss).

Soltanto in seguito all’allargarsi della C. penitenziale, in connessione con l’obbligo della confessione, a partire dall’VIII secolo, il D. acquista il suo vero significato di formula cat. Nella liturgia domenicale medievale il D finisce con l’aggiungersi al Credo apostolico e al Padre nostro, come terza formula che viene recitata in comune nella lingua del popolo. Il primo catechismo a grande diffusione popolare (Martin → Lutero, 1529) inizia addirittura con i 10 comandamenti, certamente non con lo scopo di stabilire un’etica positiva, ma per dimostrare che l’uomo è peccatore e può essere giustificato soltanto nella fede. Da quel momento il D. rimane una delle parti centrali (generalmente sono quattro) del → catechismo; nella tradizione cattolica è la terza parte dopo il Credo apostolico e i sacramenti (→ Canisio;​​ Catechismo Romano),​​ oppure la seconda parte (→ Deharbe). A partire da Canisio si antepone al D. il comandamento principale del NT sull’amore di Dio e del prossimo, oppure questo comandamento viene inserito nel D. (l’amore di Dio nel primo comandamento; l’amore del prossimo come formulazione positiva del quinto comandamento). In questo modo il D. è fino a oggi (cf per​​ es.​​ Botschaft​​ des​​ Glaubens,​​ 1977) l’unico ed esclusivo schema per presentare l’intera etica. Il testo biblico del D. non offre una numerazione dei comandamenti. La più antica enumerazione in due gruppi di cinque che si conosce è quella di Filone (De​​ decalogo,​​ 12). In questo schema le singole prescrizioni vengono numerate nel seguente modo: 1) Non avere altro Dio. 2) Non farti una raffigurazione di Dio. 3) Non usare invano il nome del tuo Dio. 4) Ricordati di santificare il sabato. 5) Tu devi onorare il padre e la madre. 6) Non uccidere. 7) Non commettere adulterio. 8) Non rubare. 9) Non dare falsa testimonianza. 10) Non desiderare la casa del tuo prossimo. In queste e altre formule brevi — interpretate a volte come ricostruzione di una presunta formula originaria del D. (per​​ es.​​ B. H. Schneider, LThK III, 200) — il D. è stato usato come formula cat., in cui il numero dieci aveva anche una funzione mnemotecnica. La enumerazione di Filone è rimasta nella Chiesa greca. Con un ritorno alla formulazione biblica (Es​​ 20) è stata assunta anche dalla Chiesa Riformata di Calvino (cf​​ Catechismo di Heidelberg,​​ 1563). La tradizione cat. della Chiesa occidentale, seguita anche da Lutero, ha una diversa enumerazione. Lo spostamento dei numeri è dovuto all’omissione della proibizione sulle raffigurazioni di Dio (il 2° comandamento in Filone) e al duplicato della proibizione sul desiderio, secondo​​ Dt​​ 5,21. Questo duplicato ha avuto come conseguenza nella C. e nei catechismi, a partire dall’inizio di questo secolo, l’abbinamento tra il sesto e il nono, come pure tra il settimo e il decimo comandamento.

3.​​ Critica catechetica.​​ Questa prassi che riduce il testo biblico al contenuto principale dei comandamenti secondo il modello delle tre formulazioni più brevi (Es​​ 20,13-15), mostra chiaramente che il D. è stato usato nella C. (e anche nella teologia morale) principalmente per ordinare le prescrizioni etiche secondo i diversi ambiti della vita. Le norme etiche concrete, che nei catechismi e nei manuali sono raggruppate attorno ai singoli comandamenti, non possono essere considerate spiegazioni del testo biblico, né possono valere come direttamente derivate da queste prescrizioni molto generali, anche se nella presentazione vogliono suscitare tale impressione. In realtà si tratta di contenuti normativi, che vengono stabiliti sulla base della riflessione attorno al diritto naturale, e che vengono inseriti nella cornice preesistente del D. In questo modo era possibile, nell’ambito della C., ricondurli direttamente alla volontà di Dio, il quale si era rivelato sul Sinai. Nella C. si strumentalizzano frequentemente i fenomeni terrificanti che accompagnano la teofania (temporale, terremoto), elencati nel racconto di​​ Es​​ 19ss, per illustrare l’enorme potere di Dio che comanda, e per generare la corrispondente paura del peccato.

Tale sfruttamento didattico del D. non si giustifica oggi né dal punto di vista esegetico né dal punto di vista cat. Il suo significato dovrebbe essere visto assai più nel fatto che fede e morale sono inseparabilmente connesse tra loro. La spiegazione delle singole prescrizioni dovrebbe prendere lo spunto dal preambolo (Es​​ 20,2;​​ Dt​​ 5,6). La fiducia nel Dio che crea vita e salvezza, libera e salva, ha le sue conseguenze per l’impostazione della vita. Colui che deve a Dio se stesso, la vita, la libertà, il diritto, la felicità, la proprietà, dovrà a sua volta rispettare e garantire vita, libertà, diritto, felicità e proprietà del prossimo suo. In questo modo l’intera vita del credente diventa culto di Dio, realizzazione dell’amore di Dio nella convivenza quotidiana con gli altri.

Il D. può funzionare ancora oggi come utile formula breve delle regole essenziali della vita, tuttavia l’etica cristiana dovrebbe orientarsi di preferenza sul duplice comandamento dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo (Afe 12,29-31). È vero che anche da questa formula non si possono dedurre concrete norme di vita. Tali norme scaturiscono dalla comprensione delle strutture oggettive della realtà (ordine della creazione). Anche nella C. le norme concrete devono essere scoperte e fondate in questa prospettiva. Questo corrisponde alla dottrina cattolica sulla “legge morale naturale”. Queste norme ricevono la loro configurazione specificamente cristiana quando, al di là della loro fondazione oggettiva basata sull’intelligenza, vengono rapportate al principio globale dell’amore e concentrate sulle prescrizioni di Gesù​​ (cf​​ Grundriss des Glaubens,​​ 1980, 205-252).

Bibliografia

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Wolfgang​​ Langer