COMUNIONE SOLENNE

1.​​ Origine e sviluppo.​​ Fin verso la metà del sec. XVII, la prima ricezione dell’Eucaristia dipende dall’iniziativa dei genitori e si fa senza alcuna cerimonia speciale. Verso i​​ 1214​​ anni i ragazzi cominciano a ricevere l’Eucaristia durante le comunioni generali degli adulti nelle grandi feste. È anche la conclusione dell’istruzione cat., e a poco a poco si tende a solennizzarla con un cerimoniale particolare. Sembra che in Francia questo sia cominciato come una pratica che faceva parte delle missioni popolari, che venivano predicate — come faceva san Vincenzo de’ Paoli — sul modello di un piccolo e di un grande catechismo. Era un mezzo eccellente per commuovere gli adulti. È già attestato, per la città di Metz, negli anni che vanno dal 1635 al 1640. I neocomunicandi ricevevano una esortazione alla vigilia e un’altra durante la Messa, prima della comunione. La sera dello stesso giorno, a volte indossando veli e vesti bianche, partecipavano a una processione con il SS. Sacramento. Al ritorno si cantava il Te​​ Deum​​ e l’indomani vi era ancora una Messa di ringraziamento e una nuova esortazione alla perseveranza.

Nella seconda metà del sec. XVII molti sinodi locali approvano l’uso e lo regolano con leggi. Alle altre cerimonie si aggiunge quella della professione di fede, o rinnovazione dei voti battesimali, fatta durante la processione, nel passare accanto al fonte del Battesimo, oppure di fronte all’altare. In seguito, parteciperanno alla cerimonia anche i ragazzi che avevano fatto la comunione l’anno o gli anni precedenti, e si introdurranno bracciali e veli bianchi. Questo rituale continuerà fino ad oggi in Francia (come pure in Svizzera, Belgio e Canada), e si estenderà nei paesi tedeschi come conclusione del periodo dell’obbligo scolastico, e, in parte, anche in Italia, Spagna e altri paesi. In Francia, l’istruzione e l’istituzione cat. si intensificano ulteriormente dopo la Rivoluzione, per riparare ai guasti che essa aveva portato, e ancor di più dopo l’abolizione (1881-1882) dell’insegnamento religioso nella scuola. Ciò pone la CS in un rilievo ancora maggiore.

2.​​ Dopo il decreto “Quam singulari”.​​ Quando, nel 1910, il decreto​​ Quam singulari​​ anticipò ufficialmente l’età della → prima comunione, collocandola verso i sette anni, sembrò che un duro colpo fosse infetto a tutta questa struttura organizzata dell’ → iniziazione cristiana. I vescovi francesi e tedeschi ottennero dalla S. Sede di conservare la cerimonia della CS al termine del periodo cat. o scolastico, permettendo però ai genitori e sacerdoti di ammettere i fanciulli all’Eucaristia a partire dall’uso di ragione, ma senza particolari solennità. Questa comunione, detta “privata”, secondo la precisazione del​​ Directoire pour la Pastorale des Sacrements​​ francese (1951) «non deve essere privilegio delle famiglie cristiane. Si è constatato che, per un fanciullo di ambiente scristianizzato, il fatto di essersi comunicato con frequenza prima della CS, sempre che l’abbia fatto spontaneamente, è spesso una garanzia di perseveranza”.

L’attenzione veniva tuttavia spostata verso la “professione di fede”, e a poco a poco si creò una situazione di disagio sul senso e il valore della cerimonia, rivelatasi particolarmente acuta dopo la seconda guerra mondiale, come rileva una vasta inchiesta condotta dal​​ Centre de Pastorale Liturgique​​ nel 1951 (cf H. Chéry 1952). Lo stesso centro pubblicava nel 1962, contemporaneamente sulle riviste “La Maison-Dieu” (n. 71,​​ 178193)​​ e “Catéchèse” (n. 9, 475-486) alcune “Riflessioni a proposito della comunione solenne” fatte in seguito a una nuova indagine sui cerimoniali in uso nelle varie diocesi della Francia. Esse riguardavano 1’ → iniziazione cristiana degli adulti e dei fanciulli, le relazioni con la Pasqua, le condizioni attuali dell’educazione della fede, il senso della professione solenne di fede, e la necessità di nuove ricerche pedagogiche, psicologiche e pastorali; si insisteva sul non dare alla CS un carattere terminale e sull’inserirla nella celebrazione pasquale, anche come professione di fede, che si rinnova spesso nella vita, insieme con tutta la comunità.

3.​​ I problemi attuali.​​ Uno studio sociologico-pastorale sulla CS fu pubblicato in Francia nel 1969 (cf S. Bonnet – A. Cottin 1969) e ripreso da vari articoli della rivista “Catéchèse” nel 1973, con esperienze, riflessioni, indirizzi adeguati alle nuove situazioni.

Si cerca di superare l’ambiguità derivante dalla mescolanza di elementi culturali con elementi cultuali, ma al tempo stesso di ricuperare il senso della festa e della celebrazione, fondati su una riflessione teologico-pastorale adeguata, che tiene conto anche dell’apporto delle scienze umane e della varietà delle situazioni.

Bibliografia

S. Bonnet –​​ A. Cottin,​​ La​​ communion solennelle.​​ Folklore​​ païen ou fête chrétienne, Paris, Centurion, 1969; H. Chéry,​​ La communion solennelle en France,​​ Paris, Cerf, 1952, pp. 215​​ (Contiene​​ i​​ risultati dell’inchiesta fatta in preparazione all’incontro di Versailles del sett. 1951 sulla CS sui temi: il nome, l’età, la data, il rifiuto, legame con il battesimo, con l’Eucaristia e con la confermazione, senso della cerimonia, ecc.);​​ Communion solennelle​​ et​​ profession​​ de​​ foi,​​ Vanves 4-7​​ avril​​ 1951, Paris,​​ Cerf,​​ 1952;​​ P.​​ Damü – P. G. Prandina,​​ “Catecumenato”​​ e​​ professione di fede”​​ nella preadolescenza-, una iniziativa quaresimale,​​ in “Note di Pastorale Giovanile” 4 (1970) 2, 19-26; B. Piubello,​​ Comunione di maturità.​​ Dieci incontri con i preadolescenti, Leumann-Torino, LDC, 1974; B. Riccitelli,​​ Per una ratifica degli impegni battesimali,​​ in “Sussidi” 36 (1971) 3, 155-165.

Ubaldo Gianetto

COMUNITÀ DI BASE (America Latina)

Le Comunità Ecclesiali di Base (CEB) ebbero origine nell’America Latina (anni ’50) dalla risposta di alcuni catechisti popolari alla proposta del vescovo della loro diocesi (Barra do Piray, Brasile) di rivitalizzare l’evangelizzazione nei posti dove scarseggiavano i sacerdoti. Altri fattori, soprattutto di ordine sociale, incisero poi sulla loro identità (Marins 1975). Esse sono costituite da poche persone (10-15), in prevalenza di estrazione sociale povera, e si sviluppano soprattutto tra i contadini e nelle periferie delle grandi città. Non intendono contrapporsi alle parrocchie, nelle quali ordinariamente si inseriscono e che contribuiscono a vivificare. Si riuniscono dove possono (case, cappelle, all’aperto), una volta alla settimana, attorno alla Parola di Dio ed eventualmente all’Eucaristia, presiedute da un “animatore” laico o ordinato (C. Boff 1981).

Nel 1968 la II Conferenza Generale dell’Episcopato​​ Latinoamericano​​ (Medellin) affermava già che le CEB erano cellule iniziali della strutturazione ecclesiale, centri di evangelizzazione e fattori primordiali di promozione umana (Doc. 15,10). La III Conferenza Generale​​ (Puebla, 1979)​​ riconobbe in esse uno dei motivi di gioia e di speranza della Chiesa del Continente, come pure uno dei contributi originali della Chiesa​​ Latinoamericana​​ a quella universale (nn. 96; 368; 629). C. Boll ne definisce la fisionomia condensandola in tre tratti fondamentali:​​ evangelismo,​​ che comporta gioia, speranza, libertà;​​ comunione,​​ che si esprime in molteplici forme di rapporti fraterni e di corresponsabilità;​​ militanza,​​ che si manifesta nel tendere attraverso tutta la loro dinamica all’azione e, più concretamente, all’azione liberante (C. Boff 1981, 102-104). Ripetutamente si afferma, in documenti episcopali e in studi teologico-pastorali riguardanti le CEB, che esse costituiscono un nuovo modo di essere Chiesa (L. Boff 1978).

Un nuovo modo che trova la sua ispirazione nelle prospettive del Vaticano IL Le CEB, più per intuizione evangelica che per coscienza riflessa, abbracciarono la proposta ecclesiologica della​​ Gaudium et spes,​​ rileggendola però a partire dalla situazione di estrema, ingiusta e generalizzata povertà del Continente. Esse vogliono essere una Chiesa dei poveri e per i poveri, in ordine alla loro liberazione integrale alla luce del Vangelo (Medelltn,​​ Doc. 14;​​ Puebla,​​ n. 1134). Tale modo di essere Chiesa comporta, tra l’altro, una fede messa a costante confronto con la realtà della vita e della storia. Componente essenziale ne è l’ascolto della Parola di Dio. Non c’è CEB senza questo ascolto e, specialmente, senza il ricorso alla Bibbia che viene, in questo modo, restituita ai poveri (Mesters, 1979); ma neanche senza la convinzione che la Parola di Dio sia presente nella realtà concreta.

È in questo contesto che le CEB diventano degli autentici →​​ luoghi di C.​​ Non però di una C. che tenda prioritariamente ad aumentare la conoscenza dei contenuti della fede, ma di quella che si prefigge di approfondire e far maturare la fede mediante il metodo divenuto ormai classico in esse: analisi della realtà; lettura della Bibbia e conseguente riflessione in ordine alla illuminazione; decisioni per l’azione. Si tratta, quindi, di una C. che potremo chiamare​​ profetica,​​ in linea con quanto propone la GS (Ila) ma esplicitandone l’obiettivo di impegno ivi solo implicitamente presente. Di tale C., di solito per niente sistematica, è destinatario e allo stesso tempo soggetto l’intera comunità e ognuno dei suoi membri. Il che non vieta che ci siano dei ministri specializzati, ordinati o meno, che ne assumano il compito di animazione. Quella delle CEB è, pertanto, una C. essenzialmente comunitaria e orientata all’impegno concreto nell’azione della liberazione integrale. Che comporti dei rischi non è da stupirsi; ma non si possono ignorare i suoi pregi.

Bibliografia

C. Boff,​​ Fisionomia delle Comunità ecclesiali di base,​​ in “Concilium” 17 (1981) 4, 99-109 (625-635); L. Boff,​​ Ecclesiogenesi. Le comunità ecclesiali di base reinventano la Chiesa,​​ Torino, Boria, 1978; Conferenza nazionale dei vescovi BRASILIANI,​​ Comunidades​​ eclesiais de base no​​ Brasil,​​ São​​ Paulo, Paulinas, 1979;​​ Equipo​​ de reflexión del Celam,​​ Las​​ Comunidades​​ Eclesiales de Base en​​ América​​ Latina,​​ Bogotá,​​ Celam, 1977; J.​​ Marins,​​ Comunità ecclesiali di base in America Latina,​​ in «Concilium» 11 (1975) 43-54​​ (571582);​​ Id. – T. Trevisan – C. Chanona,​​ Modelos​​ de Iglesia. CEB en America Latina,​​ Bogotá,​​ Paulinas, 1977; Id.,​​ Comunidade​​ eclesial de base: foco de​​ evangelização​​ e​​ libertação,​​ São​​ Paulo, Paulinas, 1980; C. Mesters,​​ Fior sin defensa. Leer el evangelio en la vida,​​ in SEDOC,​​ Una Iglesia que nace del pueblo,​​ Salamanca, Sigueme, 1979, 329-431.

Luis Gallo

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