CINEMA

1.​​ Storia.​​ La parola «cinema» trae origine dal nome dato a un apparecchio “Cinématografe” (cinematografo) brevettato in Francia il 13-2-1895 dai fratelli Louis e Auguste Lumière, e usato per la prima proiezione pubblica il 28-12-1895. Il sonoro (musica e parlato) si aggiunge, dopo varie sperimentazioni, nel 1929-1930. La possibilità di filmare anche a colori è affrontata fin dal 1903 dagli stessi fratelli Lumière. Si susseguono, nei primi anni del secolo, vari tentativi sia in Europa che negli Stati Uniti. Soltanto nel 1935 si ha il primo film di rilievo artistico (quindi non sperimentale): è “Berky Sharp” di Rouben Mamoulian, che segna ufficialmente per la storia del cinema la nascita del film a colori.

2.​​ Definizione.​​ La definizione di cinema come “linguaggio di immagini in movimento” o forma di comunicazione sociale basata sulla proiezione fotoschermica di immagini in movimento, è una delle più complete, nel senso che ne specifica il genere prossimo: linguaggio, e la differenza specifica: immagini in movimento, che possono essere o meno accompagnate da riproduzioni sonore.

a) Come “linguaggio” il cinema è avvicinabile a tutti gli altri linguaggi (orale, scritto, mimico, musicale, ecc.) e con essi ha delle affinità. Come “linguaggio di immagini in movimento” ha una caratteristica che lo differenzia da ogni altro mezzo di espressione: la possibilità di sintetizzare in uno solo tutti i linguaggi oggi conosciuti dall’uomo. Il cinema, infatti, oltre che dell’immagine si avvale dello scritto, della parola, del gesto, della musica, dei rumori. Per questo il cinema nel suo continuo perfezionarsi costituisce oggi, per l’uomo della cultura di massa, uno dei richiami più “totali”, in quanto per il suo potere di influsso e suggestione investe e coinvolge tutto l’essere.

b) Gli elementi che caratterizzano qualsiasi linguaggio sono i​​ segni, e​​ i​​ criteri​​ di associazione dei segni. Già Pio XII nell’enc.​​ Miranda prorsus​​ scriveva: “L’uomo, per esigenza della sua stessa natura, fin dal mattino della sua esistenza prese a comunicare agli altri i suoi beni spirituali per mezzo di segni che, mutuati dalle cose sensibili, egli si è ingegnato di perfezionare sempre di più”. Nel cinema i segni del linguaggio sono le​​ immagini,​​ e i criteri di associazione dei segni sono le​​ regole di montaggio​​ cinematografico; infatti, se il cinema è linguaggio, deve di necessità manifestare pensieri e sensazioni di un discorso.

Nel cinema si hanno quindi dei discorsi compiuti dove le immagini​​ denotano​​ il segno, e il montaggio ne​​ connota,​​ cioè ne esprime i significati. Si può allora concludere che un testo cinematografico (film) è un discorso quanto mai coinvolgente fatto per immagini (denotazione) o, ancora, che esso è una riunione, ordinata strutturalmente, di immagini avente senso compiuto (connotazione). L’immagine allora è un segno attraverso il quale l’autore cinematografico (regista) rappresenta visivamente una realtà per esprimere un’idea (tema).

3.​​ Rapporto cinema – C.​​ Il cinema trova nel Magistero ecclesiastico una duplice posizione di difesa e di promozione. Un lungo cammino di stimolanti riflessioni, iniziato il 10-12-1912 con un intervento disciplinare della S. Congr. Concistoriale che vietava le proiezioni cinematografiche nelle chiese, passando attraverso i discorsi sul film ideale e Tene.​​ Miranda prorsus,​​ va fino al decreto conciliare​​ Inter mirifica​​ e all’istruzione​​ Communio et progressio​​ (1971). Dalle indicazioni del Magistero della Chiesa appare evidente che una pastorale e una azione cat. condotta nel cinema e con il cinema, implica l’assunzione di scienze ausiliarie quali la sociologia, la psicologia, la pedagogia, ecc., le quali riflettono e aiutano a cogliere le condizioni attuali di una cultura e di una civiltà che si caratterizza come “civiltà delle immagini”. È assodato che il cinema coinvolge anche la morale, ma si può dire che oggi interessa e coinvolge soprattutto la​​ fede​​ e, di conseguenza, l’educazione alla fede.

Nel fenomeno cinematografico sono implicati problemi di estetica, di semiologia, di filosofia, di etica, ecc., tutti presenti e tutti interdipendenti al punto da configurare il fenomeno stesso come uno dei più complessi e, perciò stesso, uno dei più influenti sulla società contemporanea. Esiste influsso ogni qualvolta un fenomeno condiziona il modo di essere di qualche cosa o di qualcuno. Che un influsso del cinema sullo spettatore esista è cosa nota, tanto da ritenerla in questo contesto, e per ragioni di brevità, già scontata. L’influsso del cinema è visibile soprattutto negli atteggiamenti, e nei modi di vita dei singoli e della società in generale. Un’azione cat. che volesse portare avanti il suo discorso di “annuncio della fede oggi” prescindendo da questi mutamenti e influssi, o non ritenesse l’immagine compatibile con il messaggio della salvezza, correrebbe certamente il rischio di non raggiungere le sue mete.

a)​​ Dibattito cinematografico-, una forma di C.​​ Il catechista che assume il film come strumento di comunicazione per educare alla fede, deve soprattutto aiutare il giovane o l’adulto a formarsi uno spirito critico di fronte alla comunicazione cinematografica. L’uomo di oggi, bombardato fin dall’infanzia dalle immagini e dai suoni, ha bisogno di qualcuno che gli insegni a leggere l’immagine per quella che​​ è​​ e non per quella che​​ appare.​​ Ciò è possibile soltanto attraverso una guidata, ma personale e cosciente analisi critica che conduca alla formulazione di giudizi atti a “distaccare” dall’opera filmica, a vederla nel suo rapporto con i veri valori cristiani. E sarà il dibattito cinematografico che aiuterà a eliminare i falsi valori e ad assumere i valori autentici, integrandoli con le prospettive personali.

Se il linguaggio cinematografico è “il dire” di un essere umano (l’autore del film), c’è l’obbligo per lo spettatore di rispondervi da persona a persona; e dunque, da persona — secondo l’accezione dettata da Maritain — profondamente libera, non legata alle proprie emozioni, non psichicamente dipendente o condizionata.

b)​​ Ruolo del catechista.​​ Il catechista educatore deve essere in grado di risvegliare nel soggetto la capacità di analizzare, collegare, rapportare e sintetizzare le situazioni, i diversi momenti, le realtà che l’opera cinematografica rappresenta, per raggiungere lo spirito, il “verbum” del film. Se poi l’opera cinematografica è stata realizzata per far conoscere i contenuti della fede, allora se ne potrà far emergere, nel dialogo-dibattito, la risonanza che ha avuto nell’animo dello spettatore.

Si realizza allora un reale dialogo, un vero colloquio e un rapporto, senza soggettivazioni di sorta, che immette nella contemplazione sapiente e nel confronto tra la realtà rappresentata e il messaggio della salvezza, tra​​ l’oggi dell’uomo e la Parola di Dio.​​ Il cinema offre all’incontro catechistico soprattutto le problematiche umane, le uniche che toccano profondamente le fibre più nascoste dell’uomo: la propria vita, la realizzazione di sé come persona libera, tesa in comunione con gli altri e in reciproco potenziamento, nell’attuazione del destino proprio di ciascuno, che è amore salvifico di Dio.

c)​​ Sussidio” o “metodo” di comunicazione?​​ Il discorso, a livello cat., sembra facile, ma l’esperienza insegna che non lo è affatto. Le difficoltà da superare non sono poche, non ultime certi pregiudizi radicatissimi o certi semplicismi riguardanti il cinema quando lo si pone in prospettiva cat.-educativa. Il problema non è tanto quello di accettare o no il cinema come strumento per la C. Si tratta invece di porsi un problema molto più concreto e impegnativo: cioè di rispondere con un’attitudine positiva e creativa alle diverse possibilità che il cinema offre per comunicare Dio all’uomo del nostro tempo. Oggi si comincia a dubitare che gli strumenti audiovisivi (cinema, televisione, ecc.) siano soltanto un “sussidio” a “servizio” della C. e dell’educazione. Si concretizza ogni giorno di più il dubbio che tale concezione sia viziata in partenza, quindi non solo sia superata, ma contenga in se stessa una certa ambiguità frenante e perciò stesso negativa, rispetto ai fini di una C. fondata su una nuova pedagogia che tenga conto dell’uomo di oggi. L’assunzione del linguaggio delle immagini come semplice “sussidio” rischia di darci una C. non coinvolgente l’uomo e il giovane di oggi. Più che un sussidio si ritiene necessario considerare il cinema un “metodo di comunicazione”, alla pari degli altri linguaggi.

Tardy afferma che “cinema e televisione lanciano una sfida alla pedagogia e sono un invito costante a metterla in discussione, e a esercitare una critica radicale al riguardo” (cf M. Tardy,​​ Per una didattica dell’immagine,​​ Torino, SEI, 1968). La Chiesa e la C. si trovano di fronte a una umanità immersa nell’immagine e che dall’immagine trae la propria visione della vita e la gerarchia dei valori. Al punto in cui siamo, non è possibile limitarsi a disciplinare le cose offerte ai nostri occhi.​​ Bisogna educare lo sguardo.​​ La massima che Gide fa meditare a Nathanaele dice: “Che l’importanza sia nel tuo sguardo, non nella cosa guardata” (cf A. Gide,​​ Les​​ nourritures​​ terrestres,​​ Paris, Gallimard, 1921).

Il cinema offre agli educatori e ai catechisti la possibilità di “incarnare la Parola di Dio” nelle realtà del nostro tempo. Questo, è superfluo dirlo, non significa accettazione acritica del cinema e delle opere cinematografiche in particolare (cioè senza una analisi delle ideologie sottostanti, degli imperialismi culturali, della rettifica degli ideali di vita presentati); ma neppure è giustificabile il rifiuto totale, o la diffidenza ad oltranza, perché la creatività e la ricerca di una metodica e di una pedagogia, ancora tutte da inventare, vengono troppo a scuotere il letargo delle nostre certezze.

Bibliografia

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Barbara Giacomelli

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